Dichiarazioni che non arrivano dal mondo dell’infermieristica, ma sono espresse da un medico del sistema di emergenza-urgenza. Il dottor Alessandro Vergallo è, ancor di più, il presidente nazionale dell’AAROI (l’associazione dei medici di anestesia e rianimazione), quindi è voce autorevole nel dibattito di queste settimane sulla necessità di ridisegnare il sistema italiano di emergenza-urgenza, vecchio di 30 anni.
Un contributo alla discussione, anche per il cammino parlamentare del nuovo disegno di legge, è arrivato dal recente secondo congresso nazionale dell’emergenza-urgenza, ospitato a Riva del Garda.
“In regioni più avanzate – spiega – sappiamo che negli ultimi anni si è assistito ad un’evoluzione del sistema di emergenza-urgenza che ha dato il giusto riconoscimento professionale al personale infermieristico che proviene, generalmente, da aree cosiddette critiche dell’ospedale e che si occupa di pazienti critici o comunque in condizioni tali da richiedere tempestività e specificità d’intervento. Stiamo parlando di infermieri che provengono dai pronto soccorso e dalle rianimazioni.
E’ evidente – aggiunge il dottor Vergallo – che proprio sulla professionalità degli infermieri impiegati nel sistema di emergenza territoriale 118 deve basarsi la ridefinizione di un sistema che, anche nella parte medica, non può non avere altrettanta specificità”.
Concetto che viene dettagliato dal presidente nazionale di AAROI: “Non possiamo pensare che se i professionisti infermieri che lavorano in questo sistema, nella stragrande maggioranza d’Italia, sono di provenienza ospedaliera, mentre i medici, soprattutto nel sud Italia, provengano dalla medicina del territorio perché si creerebbe una discrasia fra le due figure nell’espletare l’attività in team multidisciplinare”.
Ragionamento che ha già attirato sul presidente dell’AAROI le critiche per una presunta demedicalizzazione del sistema di emergenza-urgenza.
“Dobbiamo alzare le varie asticelle dei mezzi di soccorso – spiega Vergallo – ad un livello più alto di prestazioni, in relazioni a chiamate che siano appropriate”. E qui torna l’esempio sui sistemi più avanzati (quelli di Lombardia, Toscana, Veneto ed Emilia Romagna): “Dove non c’è il medico a bordo del mezzo di soccorso, l’infermiere può agire in una sorta di autonomia relativa, ricordando che diagnosi e terapia conseguente sono di competenza medica. Ma la valutazione dei parametri vitali e poter praticare dei farmaci salvavita nelle situazioni più critiche, dopo l’inquadramento del caso quello è compito che possono svolgere gli infermieri. E’ ovvio – conclude Vergallo – che laddove serve il medico, nelle situazioni che investono il servizio 118, è evidente che deve poter intervenire con altri livelli di competenza rispetto a quelli che sono propri”.
Redazione Nurse Times
Pollachiuria
Pietro Mortini, primario di Neurochirurgia dell'ospedale San Raffaele di Milano, interpellato da Adnkronos Salute, parla…
Il Policlinico "Paolo Giaccone" le infezioni sono state curate con interventi di chirurgia mininvasiva. Due…
Approfondiamo il tema della vitiligine, malattia dell'epidermide di cui ancora non si sa tutto. La…
L’alimentazione gioca un ruolo importante nella prevenzione e nella cura della pancreatite acuta, disturbo che…
Di seguito la lettera che gli operatori socio-sanitari del "Comitato idonei concorsi" hanno inviato al…
Leave a Comment