Utilizzato per la prima volta in Italia innovativo catetere per “vedere” le coronarie dall’interno

La procedura è stata eseguita dal gruppo del professor Carlo Trani, del Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.

E’ stato utilizzato per la prima volta su iun paziente in Italia l’innovativo catetere di OCT Dragonfly OpStar, la metodologia più avanzata e innovativa di imaging endovascolare delle coronarie (le altre sono la classica angiografia coronarica e l’ecografia intravascolare o IVUS). La procedura è stata eseguita dal gruppo del professor Carlo Trani, direttore dell’Unità operativa complessa di Interventistica cardiologica e diagnostica invasiva della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e professore aggregato del Dipartimento di Scienze cardiovascolari e pneumologiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Campus di Roma.

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L’OTC (Optical Coherence Tomography), introdotta nella pratica clinica circa 15 anni fa, consente di studiare la struttura e le patologie delle coronarie dall’interno, ottenendo dettagli della parete delle arterie che in passato era possibile osservare solo con i microscopi nelle autopsie. “Il nostro centro – spiega Trani – ha abbracciato da anni l’uso dell’OCT: vedere in maniera dettagliata le coronarie dall’interno ci consente di personalizzare il trattamento dei pazienti con cardiopatia ischemica. In particolare, l’OCT permette di definire le caratteristiche anatomiche delle placche aterosclerotiche (gravità, composizione) e di ottimizzare il trattamento nel caso di debba ricorrere all’angioplastica con impianto di stent. L’OCT è una metodica relativamente giovane, che nell’arco degli anni è andata incontro a una serie di evoluzioni tecnologiche. Il nuovo catetere Dragonfly OpStar in particolare consente di ottenere immagini intra-coronariche di miglior qualità ed è stato strutturato in maniera da facilitarne l’applicazione nelle anatomie coronariche più difficili”.

“Abbiamo utilizzato Dragonfly OpStar in diversi casi senza alcun problema e ottenendo sempre immagini chiare, facili da interpretare – commenta Francesco Burzotta, responsabile UOS Trattamento percutaneo delle cardiopatie strutturali, coordinatore Percorso clinico-assistenziale del paziente con valvulopatia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore aggregato di Cardiologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Campus di Roma –. Tra le caratteristiche più promettenti, c’è sicuramente il fatto che questo catetere faciliterà l’esecuzione dell’OCT nei vasi tortuosi e calcifici o con placche più serrate o periferiche, permettendoci così di offrire i vantaggi dell’OCT anche ai pazienti più complessi, che vengono spesso riferiti per il trattamento al nostro centro. La semplice angiografia non consente purtroppo in molti casi di visualizzare dei dettagli che possono essere importanti, e questo soprattutto nei pazienti più fragili e a maggior rischio di complicanze”

.

In Italia l’uso delle tecniche di imaging intracoronarico in generale e dell’OCT in particolare è ancora poco diffuso anche a causa del costo addizionale che comportano. “Ma la nostra esperienza con l’OTC – afferma Trani – è assolutamente favorevole e in molti casi l’OCT ci aiuta a prendere decisioni migliori e ad eseguire interventi più precisi”.

L’aterosclerosi coronarica è la principale causa di morte nei Paesi occidentali e le procedure di cardiologia interventistica (coronarografia e angioplastica) permettono di individuare i pazienti a maggior rischio e di trattarli efficacemente. L’OCT rappresenta una delle tecnologie più moderne per “guardare” all’interno delle coronarie, utilizzando una luce con frequenze vicino all’infrarosso per ottenere immagini intravascolari ad alta risoluzione.

Il minuscolo catetere di OCT che viene inserito nel vaso da studiare ruota rapidamente al suo interno, illuminandone le pareti con la sua luce speciale; questo consente di acquisire in pochi secondi e con precisione microscopica, un’immagine del versante interno della coronaria e di conoscere la composizione della placca aterosclerotica. Le strutture “illuminate” riflettono o assorbono in modo diverso la luce dell’OCT in modo diverso, a seconda della loro composizione (la placca può essere calcifica, fibrotica o lipidica).

Le informazioni ottenute con l’OTC consentono ai cardiologi di avere un’idea molto precisa della posizione e della struttura delle placche aterosclerotiche, permettendo loro di programmare il trattamento di rivascolarizzazione con maggior precisione e dettaglio. Consentono inoltre di scegliere con precisione i segmenti di coronaria da trattare con gli stent e di selezionare terapia antitrombotica o tecniche per l’aspirazione di trombo.

Le placche con componente lipidica (soft) consentono di solito un più agevole posizionamento dello stent. Quelle fortemente calcifiche sono più difficili da dilatare e richiedono invece una preparazione più complessa (litotripsia coronarica, aterectomia rotazionale). Nelle sindromi coronariche acute infine l’OCT rappresenta a oggi il miglior modo per identificare la lesione “colpevole” dell’infarto e l’eventuale presenza di accumuli di trombo.

Redazione Nurse Times

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