Senza infermieri non c’è salute: contro la carenza infermieristica i Dirigenti delle Professioni Sanitarie ribadiscono l’urgenza di soluzioni efficaci e strutturali per sviluppo della Professione. Il SIDMI (società italiana per la direzione e management delle professioni infermieristiche) offre ai nostri lettori alcune riflessioni per rilanciare la professione
Nell’anno 2021 il personale dipendente del SSN ammontava a 617.246 unità di cui 69,1% donne e 30,9% uomini. A livello nazionale, la composizione per ruolo risultava essere così strutturata: il 72,5% è rappresentato dal ruolo sanitario, il 17,7%, dal ruolo tecnico, il 9,6% dal ruolo amministrativo e il restante 0,2% dal ruolo professionale.
Del ruolo sanitario il 59,2% risultava essere costituito da personale infermieristico.
Possiamo quindi affermare, senza ombra di dubbio, che l’infermiere è la figura professionale destinata a sostenere e garantire l’assistenza al cittadino, attraverso la presenza, nei diversi setting, costante e continuativa. L’attuale contesto sanitario ci pone di fronte a importanti cambiamenti ma anche a numerose criticità, tra le quali una delle più importanti è determinata dalla carenza di infermieri che, se non arginata, rischia di rendere insostenibile l’assistenza nel sistema sanitario italiano.
Il movimento naturale della popolazione italiana (nati – morti) è però sempre più negativo mentre il saldo migratorio è sempre meno positivo. Siamo di fronte ad un radicale cambiamento sociodemografico che genera ricadute sul Sistema Socio-sanitario e impone scelte coraggiose, innovative e al tempo stesso efficaci ed immediate; gli italiani invecchiano e la domanda di assistenza sanitaria sale. La popolazione italiana è infatti una delle più vecchie al mondo: il 24,1 % (quasi un quarto) della popolazione supera i 65 anni di età.
L’aumento della sopravvivenza tra gli anziani, molti dei quali soli, potrebbe comportare un futuro aumento dei fabbisogni di assistenza. E questa, a sua volta, richiederà sempre maggiori finanziamenti per sostenerla. Alla diminuzione degli individui in età attiva si associa anche alla riduzione della popolazione più giovane: i 15-64enni rappresentano il 63,4 % della popolazione totale, mentre i ragazzi fino a 14 anni si attestano al 12,5%.
Nel 2050 questi scenderanno fino all’11,7% con bilancia intergenerazionale che misurerà un rapporto di 3 anziani per ogni ragazzo. La riduzione della popolazione giovane comporta la contrazione della forza lavoro in campo che è pertanto per lo più trainata dagli over-50 che permangono nel mercato del lavoro per via dell’aumento dell’età pensionabile. Si stima che nel 2040 le forze di lavoro nel complesso saranno diminuite dell’1,6%, come esito della radicale transizione demografica che il Paese sta vivendo.
Il trend è dunque positivo anche se l’Italia risulta lontano dalla media UE (74,6%). Al contrario, la quota degli occupati nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni è calata addirittura dell’11% e negli ultimi tre anni questo calo è andato peggiorando soprattutto per la crisi pandemica e la difficile ripresa dell’economia del lavoro.
Nel 2022, il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (pari al 21,7% tra i più alti in Europa) è in parte dovuto ai percorsi di studio che si sono allungati, e in parte alle maggiori difficoltà di inserimento e di permanenza nel mercato del lavoro dei più giovani.
Vi è anche un’importante criticità legata al mismatch (disallineamento) tra domanda (delle imprese) e offerta (dei lavoratori) nel mercato del lavoro che non si riesce a soddisfare: è salita, infatti, la percentuale dei cosiddetti “Neet” (Not in Education, Employment or Training), ovvero degli under 30 che non studiano e non lavorano. L’Italia risulta in Europa il 3° Paese per tasso di disoccupazione (dopo Spagna e Grecia) e il 2° Paese per tasso di NEET (dopo la Romania). I dati sulla disoccupazione giovanile suggeriscono la necessità di individuare strategie e medio-lungo termine per invertire la rotta. In particolare, le sfide che il sistema della formazione universitaria si trova ad affrontare università riguardano 2 importanti aspetti.
Il primo è quello di riuscire a motivare i giovani ad iscriversi e conseguire almeno i percorsi di laurea triennali, in quanto, come dimostrano le statistiche, un laureato ha una maggiore possibilità di trovare impiego: i giovani senza laurea disoccupati sono il 68% contro il 64% dei laureati.
Le iscrizioni ai corsi di laurea triennali rappresentano la maggioranza, il 63% del totale: si tratta di una quota costante nell’ultimo decennio, a differenza dei corsi a ciclo unico (soprattutto Giurisprudenza, Medicina e Scienze della formazione primaria), la cui percentuale è scesa al 16 per cento.
Le discipline scientifiche-tecnologiche e quelle legate alla transizione energetica e digitale oggi sono le più richieste dal mondo del lavoro e gli atenei si adeguano al mercato ampliando l’offerta didattica: il 30% delle nuove immatricolazioni riguardano l’area STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), mentre l’area sanitaria di fatto meno attrattiva (per diverse ragioni: emergenze sanitarie, violenze sugli operatori, poca chiarezza dei percorsi di carriera, responsabilità sul piano medico legale, forte impatto emotivo legato alla sofferenza, malattia, morte , etc) si attesta sul 17% sul totale delle iscrizioni.
Il secondo aspetto, su cui occorre lavorare, è quello della “dispersione universitaria”, ovvero di evitare l’abbandono del percorso universitario: infatti non tutti coloro che iniziano l’università si laureano.
In particolare, dal 2011 al 2021, il numero dei laureati in “Infermieristica” è sceso sotto 10mila: la percentuale è scesa dall’81% del 2013 al 69% del 2020 e al 67% del 2021. I fattori più frequentemente indicati come cause dell’abbandono o di mancato completamento entro i tempi previsti dei corsi di laurea in Infermieristica, riguardano la delusione delle aspettative, la pesantezza del corso di studi, il carico familiare e problemi economici o di salute, etc.
Proprio gli alti tassi di abbandono universitario dei corsi universitari in Infermieristica (circa 19-20%, secondo Destrebecq et al., 2008) e il tasso complessivo di insuccesso accademico (intorno al 35- 37%, secondo FNOPI) contribuiscono indirettamente alla carenza infermieristica soprattutto negli ospedali pubblici e privati, residenze sanitarie assistenziali, cliniche private.
Anche la Corte dei conti nella sua memoria sulla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (NADEF) conferma tale dato dell’OECD e di FNOPI: gli standard internazionali, indicano almeno 3 infermieri per ogni medico, mentre l’Italia si ferma a 1,6, circa la metà. Di fatto, rispetto ai bisogni di una popolazione che invecchia ci sono più medici che infermieri. Un infermiere italiano, rispetto al medico, ha più assistiti da seguire in rapporto alla media europea: oggi molti infermieri si stanno avvicinando all’età della pensione e quindi la forza lavoro rischia di diminuire ancora.
Questo determina un disequilibrio assistenziale che non risolto porrà a serio rischio la garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) alla popolazione e più in generale la sostenibilità del Sistema Sanitario.
La combinazione tra aumento della vita media e decremento del tasso di fecondità genera in Italia indici di vecchiaia e di dipendenza che sono tra i più alti al mondo. Una popolazione anziana è una popolazione che ha bisogno di assistenza: l’incremento di condizioni patologiche croniche richiedono cure a lungo termine (long-term-care) e l’impennata del numero di persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine e di emarginazione socio-economica determinano un aumento carico dei servizi socioassistenziali. Al riguardo, sono necessari adeguati sistemi di rilevazione e monitoraggio delle situazioni delle vulnerabilità e fragilità socio-economica e sanitaria al fine di disegnare adeguate e mirate politiche sanitarie di intervento.
Il DM 77/22 e il PNRR (Missione 6), destinano una cospicua quota parte dei fondi delle risorse (8% pari a 15,63 miliardi di euro) sul capitolo sanitario, e in particolare sulla rete territoriale di assistenza, concentrandosi sul rafforzamento delle reti di prossimità, la telemedicina e le cure domiciliare, sulla ricerca e su progetti di digitalizzazione e innovazione del sistema sanitario.
La nuova sanità territoriale si basa su un insieme articolato di strutture, quali le case della comunità (luoghi di prossimità a cui i cittadini possono accedere per l’assistenza primaria), gli ospedali di comunità (piccole strutture di 20 posti letto ogni 100mila abitanti per consentire un’accoglienza intermedia tra il ricovero a casa e quello in ospedale).
La telemedicina (quale strumento alternativo e integrativo all’assistenza di prossimità finalizzato rendere la casa del paziente un vero e proprio luogo di cura), centrali operative territoriali. Parliamo di oltre 600 presidi, uno per distretto sanitario, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza. Tuttavia, con sempre meno professionisti sanitari, in particolare, con sempre meno Infermieri a disposizione nel mercato del lavoro, il Sistema sanitario non sarà progressivamente in grado di fornire cure adeguate ai suoi anziani, interessati da problemi correlati alla cronicità ed alla non autosufficienza.
Si calcola che la carenza di Infermieri aumenti ogni anno a causa dello squilibrio tra i pensionamenti (17 mila all’anno), i trasferimenti, le migrazioni verso altri paesi (Svizzera, paesi dell’Unione europea, oggi anche emirati Arabi) a fronte delle nuove assunzioni (8 mila all’anno). Inoltre Il protrarsi del blocco delle assunzioni nelle Regioni in piano di rientro, oltre al tasso di turnover negativo registrato complessivamente nell’ultimo decennio ha determinato una interruzione dell’alimentazione dei ruoli e di conseguenza un innalzamento dell’età media degli infermieri (grafico n1) e il conseguente fenomeno della “gobba pensionistica”.
Cambiamenti attesi dal riordino del sistema sanitario nazionale Il PNRR e le recenti riforme finalizzate a ridisegnare l’intero Sistema Sanitario Nazionale determinano un fabbisogno di infermieri che, secondo i dati diffusi dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali nel mese di ottobre 2022, necessita di ulteriori 60mila Infermieri. Il PNRR si propone di rispondere a domicilio ai bisogni del 10% degli anziani aggiungendo 90.000 Infermieri, di cui 20.000 di comunità.
Attualmente i posti disponibili per il corso di laurea in scienze infermieristiche sono circa 17.900, nell’ultimo anno si sono laureate meno di 10.000 persone e, stante le prime proiezioni, nel 2023 assisteremo ad una riduzione del numero di iscritti ai Corsi di Laurea Infermieristica. Di fatto aumenta la necessità di implementare infermieri a fronte di una riduzione, destinata ad aumentare nei prossimi anni, della disponibilità di questi professionisti sul mercato.
Le direzioni delle professioni sanitarie, che sono chiamate quotidianamente a sostenere le strutture organizzative attraverso un’adeguata programmazione, inserimento di risorse, tra le quali l’infermiere, e adozione di nuovi modelli organizzativi ed assistenziali, devono affrontare numerosi aspetti e/o vincoli sia di tipo normativo che contrattuale.
Da una parte una normativa che accompagna la riforma in campo sanitario, dalla Missione 6 “Salute” del PNRR, al D.M.70 e D.M.77 finalizzate a ridisegnare l’offerta socio-sanitaria su tutto il territorio nazionale con l’obiettivo di potenziare la capacità di prevenzione, cura ed assistenza erogata in ambito ospedaliero e territoriale a beneficio di tutti i cittadini.
Dall’altro normative contrattuali, percorsi e contratti di assunzione, Piani regionali di Gestione Risorse Umane (PGRU), libera professione infermieristica, dotazioni organica e standard assistenziali che, in parte oltre ad essere “datate”, vincolano e rendono particolarmente complessa una gestione “snella “ e “flessibile” delle risorse umane, oggi più che mai necessaria per far fronte ai cambiamenti, garantire adeguata risposta assistenziale e continuità di presa in carico del cittadino. Motivazioni degli infermieri Nati tra 1997 e il 2012, noti come la Generazione Z (Gen Z), questa è la classe di età dei giovani che oggi si accostano al mondo del lavoro ed alla Professione infermieristica.
La usano per tutto: per informarsi, sviluppare le loro competenze, per comunicare con la famiglia e gli amici, per intrattenersi, per fare la spesa e molto altro ancora. Nella “Gen Z”, è molto diffusa la tendenza relazionarsi in modo virtuale (ad integrazione e/o reinterpretazione di quello fisico) attraverso l’uso del web e questo porta a non distinguere spazio pubblico e privato nella loro comunicazione che pertanto è aperti alla lettura di tutti. I giovani “Gen Zer” sono pienamente integrati con le nuove modalità di comunicazione, le nuove tecnologie attivando, in modo sinergico, innovativi processi di accesso all’informazione e di costruzione della conoscenza che tendono a mettere in crisi le modalità classiche di accesso alla cultura, tradizionalmente affidate alle strategie di insegnamento e apprendimento realizzate nei contesti formali scolastici.
Il sistema educativo deve disegnare percorsi formativi coerenti con le esigenze del mercato del lavoro e con le aspettative professionali delle nuove generazioni e per questo deve saper guidare i ragazzi perché si orientino verso una nuova ecologia dei media, che prevede un’integrazione virtuosa delle diverse esperienze mediali e tecnologiche con le molteplici esperienze con altri linguaggi e altre modalità di approccio alla realtà (Falcinelli, 2012).
Per i giovani “Gen Zer”, il lavoro è soprattutto “uno strumento per procurare reddito” ma anche un “luogo di impegno personale e autorealizzazione” e da queste riflessioni ne consegue che le condizioni che i ragazzi valutano maggiormente nell’accettare un’offerta di lavoro non sono quelle legate al prestigio o alla dimensione di un’Azienda ma quelle economiche e quelle legate alla coerenza con le proprie passioni, interessi e opportunità di carriera. Tali aspettative possono anche non concretizzarsi nel lavoro, per questo i ragazzi “Gen z” sono anche facilmente esposti a demotivazione qualora non trovino stimoli e opportunità di valorizzazione professionale. Molti dei “Gen Zer” sono entrati nel mondo del lavoro durante la grande transizione all’hybrid working e in questo preciso momento storico devono fare i conti con un costo della vita sempre più elevato.
I professionisti optano sempre più spesso per forme contrattuali diverse dalla dipendenza che, nei fatti, oltre a dimostrarsi economicamente e fiscalmente convenienti, consentono al professionista di governare al meglio il proprio percorso professionale orientandolo ad attività ritenute più qualificanti e in grado di garantire una migliore conciliazione tra lavoro ed esigenze personali/familiari.
Tali fenomeni si manifestano in una scarsa adesione alle procedure di reclutamento tradizionali che porterebbero ad assunzioni con rapporto di lavoro dipendente regolato dai contratti collettivi nazionali e integrativi aziendali, mentre i professionisti prediligono sempre più forme di collaborazione con contratti di lavoro autonomo altri rapporti di lavoro di natura privatistica.
Alla luce delle suddette considerazioni, appare chiaro perché i giovani di oggi non scelgano di iscriversi ai Corsi di Laurea in Infermieristica: sanno che la Professione Infermieristica non ha prospettive di carriera, specie in ambito clinico, dove sono decisive le specializzazioni (FNOPI, 2023).
È auspicabile che al più presto si affronti seriamente la situazione della carenza infermieristica senza ricercare alchimie o scorciatoie che non hanno alcuna efficacia su fenomeno ormai strutturale.
La riforma del percorso formativo degli Infermieri è ormai una delle priorità strategiche per la sostenibilità del SSN.
È necessario che al più presto si affronti seriamente la situazione della carenza infermieristica senza ricercare alchimie o scorciatoie rispetto ad un fenomeno divenuto ormai strutturale. Molto spesso è nei momenti di maggior difficoltà che si riescono a trovare soluzioni diverse, spesso innovative, anche attraverso l’adozione di nuovi modelli organizzativi e/o assistenziali. Ma non confondiamo il periodo eccezionale e transitorio vissuto durante il Covid che, ha portato sì, ad attivare cambiamenti impensabili in pochissimo tempo, ma in una situazione e in un contesto specifico e del tutto straordinariamente particolare.
Inoltre, il cambiamento delle organizzazioni implica il coinvolgimento di tutti i professionisti coinvolti nel processo di cura ed assistenza, con importante lavoro di negoziazione e condivisione per trovare insieme un modello condiviso, ma sicuramente avendo il coraggio e la determinazione di voler cambiare, credendo davvero nel “valore” dell’assistenza sanitaria e del ruolo strategico che i Professionisti sanitari rivestono in termini di accountability per la salute dei cittadini.
La formazione infermieristica universitaria di base e post base deve tener conto delle innovazioni (sia in campo tecnologico che biomedico) e delle nuove esigenze organizzative del Sistema sanitario, ma anche delle aspettative dei giovani delle nuove generazioni supportando lo sviluppo professionale di carriera dei futuri Professionisti Infermieri. Occorre altresì valutare il tema della formazione avanzata in ambito clinico da associare a quella manageriale per rafforzare i profili di leadership nel middle management e riservare percorsi di alta specializzazione per i ruoli direttivi. Gli sviluppi manageriali della Professione Infermieristica accompagnati da quelli disciplinari sono fondamentali per tenuta del sistema sanitario.
I Dirigenti delle Professioni Sanitarie esprimono grande preoccupazione per la carenza di infermieri e ribadiscono il loro impegno ai vari livelli per trovare soluzioni strutturali, efficaci e urgenti per supportare lo sviluppo della Professione Infermieristica fondamentale per tenuta del sistema sanitario.
Per affrontare questa grande sfida è strategico l’intervento proattivo e partecipato di tutte le Istituzioni, del mondo politico, della Sanità e di una forte Leadership organizzativa e professionale, capace di orientare le scelte e determinare i cambiamenti: dalla Direzione delle Professioni Infermieristiche, ai coordinatori, ai singoli professionisti Infermieri.
Redazione NurseTimes
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