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Urgono soluzioni efficaci e strutturali per lo sviluppo dell’infermieristica: la ricetta del SIDMI

Senza infermieri non c’è salute: contro la carenza infermieristica i Dirigenti delle Professioni Sanitarie ribadiscono l’urgenza di soluzioni efficaci e strutturali per sviluppo della Professione. Il SIDMI (società italiana per la direzione e management delle professioni infermieristiche) offre ai nostri lettori alcune riflessioni per rilanciare la professione

“(…) gli Infermieri mancano in tutta Europa, in Usa e in Giappone. È una carenza che va affrontata ma in un momento complesso come questo credo dovremmo guardare a qualche paese straniero”. (Orazio Schillaci, Ministro della salute – evento per i 30 anni dell’Agenas al Senato -).

Alcuni dati

Nell’anno 2021 il personale dipendente del SSN ammontava a 617.246 unità di cui 69,1% donne e 30,9% uomini. A livello nazionale, la composizione per ruolo risultava essere così strutturata: il 72,5% è rappresentato dal ruolo sanitario, il 17,7%, dal ruolo tecnico, il 9,6% dal ruolo amministrativo e il restante 0,2% dal ruolo professionale.

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Del ruolo sanitario il 59,2% risultava essere costituito da personale infermieristico.

Possiamo quindi affermare, senza ombra di dubbio, che l’infermiere è la figura professionale destinata a sostenere e garantire l’assistenza al cittadino, attraverso la presenza, nei diversi setting, costante e continuativa. L’attuale contesto sanitario ci pone di fronte a importanti cambiamenti ma anche a numerose criticità, tra le quali una delle più importanti è determinata dalla carenza di infermieri che, se non arginata, rischia di rendere insostenibile l’assistenza nel sistema sanitario italiano.

Cambiamenti socio-demografici della popolazione

Il movimento naturale della popolazione italiana (nati – morti) è però sempre più negativo mentre il saldo migratorio è sempre meno positivo. Siamo di fronte ad un radicale cambiamento sociodemografico che genera ricadute sul Sistema Socio-sanitario e impone scelte coraggiose, innovative e al tempo stesso efficaci ed immediate; gli italiani invecchiano e la domanda di assistenza sanitaria sale. La popolazione italiana è infatti una delle più vecchie al mondo: il 24,1 % (quasi un quarto) della popolazione supera i 65 anni di età.

Secondo i dati Istat, gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”: nel 2050, l’8 %degli italiani avrà più di 85 anni.

L’aumento della sopravvivenza tra gli anziani, molti dei quali soli, potrebbe comportare un futuro aumento dei fabbisogni di assistenza. E questa, a sua volta, richiederà sempre maggiori finanziamenti per sostenerla. Alla diminuzione degli individui in età attiva si associa anche alla riduzione della popolazione più giovane: i 15-64enni rappresentano il 63,4 % della popolazione totale, mentre i ragazzi fino a 14 anni si attestano al 12,5%.

Nel 2050 questi scenderanno fino all’11,7% con bilancia intergenerazionale che misurerà un rapporto di 3 anziani per ogni ragazzo. La riduzione della popolazione giovane comporta la contrazione della forza lavoro in campo che è pertanto per lo più trainata dagli over-50 che permangono nel mercato del lavoro per via dell’aumento dell’età pensionabile. Si stima che nel 2040 le forze di lavoro nel complesso saranno diminuite dell’1,6%, come esito della radicale transizione demografica che il Paese sta vivendo.

In particolare, nell’arco di quasi vent’anni, ossia tra il 2004 e il 2022, il tasso di occupazione (20-64 anni) è salito toccando nel 2022 il massimo storico di 64,8%.

Il trend è dunque positivo anche se l’Italia risulta lontano dalla media UE (74,6%). Al contrario, la quota degli occupati nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni è calata addirittura dell’11% e negli ultimi tre anni questo calo è andato peggiorando soprattutto per la crisi pandemica e la difficile ripresa dell’economia del lavoro.

Nel 2022, il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (pari al 21,7% tra i più alti in Europa) è in parte dovuto ai percorsi di studio che si sono allungati, e in parte alle maggiori difficoltà di inserimento e di permanenza nel mercato del lavoro dei più giovani.

Vi è anche un’importante criticità legata al mismatch (disallineamento) tra domanda (delle imprese) e offerta (dei lavoratori) nel mercato del lavoro che non si riesce a soddisfare: è salita, infatti, la percentuale dei cosiddetti “Neet” (Not in Education, Employment or Training), ovvero degli under 30 che non studiano e non lavorano. L’Italia risulta in Europa il 3° Paese per tasso di disoccupazione (dopo Spagna e Grecia) e il 2° Paese per tasso di NEET (dopo la Romania). I dati sulla disoccupazione giovanile suggeriscono la necessità di individuare strategie e medio-lungo termine per invertire la rotta. In particolare, le sfide che il sistema della formazione universitaria si trova ad affrontare università riguardano 2 importanti aspetti.

Il primo è quello di riuscire a motivare i giovani ad iscriversi e conseguire almeno i percorsi di laurea triennali, in quanto, come dimostrano le statistiche, un laureato ha una maggiore possibilità di trovare impiego: i giovani senza laurea disoccupati sono il 68% contro il 64% dei laureati.

In base ai dati più aggiornati, nel 2021 nei 27 Paesi Ue era iscritto all’università il 36,1 %dei giovani tra i 20 e i 24 anni, benché nel frattempo la popolazione di riferimento sia scesa di quasi il 2%.

Le iscrizioni ai corsi di laurea triennali rappresentano la maggioranza, il 63% del totale: si tratta di una quota costante nell’ultimo decennio, a differenza dei corsi a ciclo unico (soprattutto Giurisprudenza, Medicina e Scienze della formazione primaria), la cui percentuale è scesa al 16 per cento.

Le discipline scientifiche-tecnologiche e quelle legate alla transizione energetica e digitale oggi sono le più richieste dal mondo del lavoro e gli atenei si adeguano al mercato ampliando l’offerta didattica: il 30% delle nuove immatricolazioni riguardano l’area STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), mentre l’area sanitaria di fatto meno attrattiva (per diverse ragioni: emergenze sanitarie, violenze sugli operatori, poca chiarezza dei percorsi di carriera, responsabilità sul piano medico legale, forte impatto emotivo legato alla sofferenza, malattia, morte , etc) si attesta sul 17% sul totale delle iscrizioni.

Il secondo aspetto, su cui occorre lavorare, è quello della “dispersione universitaria”, ovvero di evitare l’abbandono del percorso universitario: infatti non tutti coloro che iniziano l’università si laureano.

Soltanto il 28,5% dei giovani tra i 25 e i 35 anni consegue un titolo universitario, una percentuale nettamente inferiore alla media UE, che raggiunge il 41,6%.

In particolare, dal 2011 al 2021, il numero dei laureati in “Infermieristica” è sceso sotto 10mila: la percentuale è scesa dall’81% del 2013 al 69% del 2020 e al 67% del 2021. I fattori più frequentemente indicati come cause dell’abbandono o di mancato completamento entro i tempi previsti dei corsi di laurea in Infermieristica, riguardano la delusione delle aspettative, la pesantezza del corso di studi, il carico familiare e problemi economici o di salute, etc.

Proprio gli alti tassi di abbandono universitario dei corsi universitari in Infermieristica (circa 19-20%, secondo Destrebecq et al., 2008) e il tasso complessivo di insuccesso accademico (intorno al 35- 37%, secondo FNOPI) contribuiscono indirettamente alla carenza infermieristica soprattutto negli ospedali pubblici e privati, residenze sanitarie assistenziali, cliniche private.

Secondo le stime dell’OCSE in Italia ci sono 6,6 infermieri per ogni 1.000 abitanti, contro i 8,2 della media europea (OECD, 2022)

Anche la Corte dei conti nella sua memoria sulla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (NADEF) conferma tale dato dell’OECD e di FNOPI: gli standard internazionali, indicano almeno 3 infermieri per ogni medico, mentre l’Italia si ferma a 1,6, circa la metà. Di fatto, rispetto ai bisogni di una popolazione che invecchia ci sono più medici che infermieri. Un infermiere italiano, rispetto al medico, ha più assistiti da seguire in rapporto alla media europea: oggi molti infermieri si stanno avvicinando all’età della pensione e quindi la forza lavoro rischia di diminuire ancora.

Questo determina un disequilibrio assistenziale che non risolto porrà a serio rischio la garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) alla popolazione e più in generale la sostenibilità del Sistema Sanitario.

Il nodo dell’assistenza sanitaria per gli anziani

La combinazione tra aumento della vita media e decremento del tasso di fecondità genera in Italia indici di vecchiaia e di dipendenza che sono tra i più alti al mondo. Una popolazione anziana è una popolazione che ha bisogno di assistenza: l’incremento di condizioni patologiche croniche richiedono cure a lungo termine (long-term-care) e l’impennata del numero di persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine e di emarginazione socio-economica determinano un aumento carico dei servizi socioassistenziali. Al riguardo, sono necessari adeguati sistemi di rilevazione e monitoraggio delle situazioni delle vulnerabilità e fragilità socio-economica e sanitaria al fine di disegnare adeguate e mirate politiche sanitarie di intervento.

Gli effetti sulla salute e le potenzialità delle politiche per la sua tutela devono essere pensati in modo specifico, in funzione della popolazione maggiormente a rischio, concentrando energie e risorse a sostegno del Sistema Sanitario, in particolare sul potenziamento dei servizi della rete territoriale.

Il DM 77/22 e il PNRR (Missione 6), destinano una cospicua quota parte dei fondi delle risorse (8% pari a 15,63 miliardi di euro) sul capitolo sanitario, e in particolare sulla rete territoriale di assistenza, concentrandosi sul rafforzamento delle reti di prossimità, la telemedicina e le cure domiciliare, sulla ricerca e su progetti di digitalizzazione e innovazione del sistema sanitario.

La nuova sanità territoriale si basa su un insieme articolato di strutture, quali le case della comunità (luoghi di prossimità a cui i cittadini possono accedere per l’assistenza primaria), gli ospedali di comunità (piccole strutture di 20 posti letto ogni 100mila abitanti per consentire un’accoglienza intermedia tra il ricovero a casa e quello in ospedale).

La telemedicina (quale strumento alternativo e integrativo all’assistenza di prossimità finalizzato rendere la casa del paziente un vero e proprio luogo di cura), centrali operative territoriali. Parliamo di oltre 600 presidi, uno per distretto sanitario, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza. Tuttavia, con sempre meno professionisti sanitari, in particolare, con sempre meno Infermieri a disposizione nel mercato del lavoro, il Sistema sanitario non sarà progressivamente in grado di fornire cure adeguate ai suoi anziani, interessati da problemi correlati alla cronicità ed alla non autosufficienza.

Cambiamenti socio demografici della popolazione infermieristica

Si calcola che la carenza di Infermieri aumenti ogni anno a causa dello squilibrio tra i pensionamenti (17 mila all’anno), i trasferimenti, le migrazioni verso altri paesi (Svizzera, paesi dell’Unione europea, oggi anche emirati Arabi) a fronte delle nuove assunzioni (8 mila all’anno). Inoltre Il protrarsi del blocco delle assunzioni nelle Regioni in piano di rientro, oltre al tasso di turnover negativo registrato complessivamente nell’ultimo decennio ha determinato una interruzione dell’alimentazione dei ruoli e di conseguenza un innalzamento dell’età media degli infermieri (grafico n1) e il conseguente fenomeno della “gobba pensionistica”.

Cambiamenti attesi dal riordino del sistema sanitario nazionale Il PNRR e le recenti riforme finalizzate a ridisegnare l’intero Sistema Sanitario Nazionale determinano un fabbisogno di infermieri che, secondo i dati diffusi dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali nel mese di ottobre 2022, necessita di ulteriori 60mila Infermieri. Il PNRR si propone di rispondere a domicilio ai bisogni del 10% degli anziani aggiungendo 90.000 Infermieri, di cui 20.000 di comunità.

Attualmente i posti disponibili per il corso di laurea in scienze infermieristiche sono circa 17.900, nell’ultimo anno si sono laureate meno di 10.000 persone e, stante le prime proiezioni, nel 2023 assisteremo ad una riduzione del numero di iscritti ai Corsi di Laurea Infermieristica. Di fatto aumenta la necessità di implementare infermieri a fronte di una riduzione, destinata ad aumentare nei prossimi anni, della disponibilità di questi professionisti sul mercato.

Vincoli Normativi

Le direzioni delle professioni sanitarie, che sono chiamate quotidianamente a sostenere le strutture organizzative attraverso un’adeguata programmazione, inserimento di risorse, tra le quali l’infermiere, e adozione di nuovi modelli organizzativi ed assistenziali, devono affrontare numerosi aspetti e/o vincoli sia di tipo normativo che contrattuale.

Da una parte una normativa che accompagna la riforma in campo sanitario, dalla Missione 6 “Salute” del PNRR, al D.M.70 e D.M.77 finalizzate a ridisegnare l’offerta socio-sanitaria su tutto il territorio nazionale con l’obiettivo di potenziare la capacità di prevenzione, cura ed assistenza erogata in ambito ospedaliero e territoriale a beneficio di tutti i cittadini.

Dall’altro normative contrattuali, percorsi e contratti di assunzione, Piani regionali di Gestione Risorse Umane (PGRU), libera professione infermieristica, dotazioni organica e standard assistenziali che, in parte oltre ad essere “datate”, vincolano e rendono particolarmente complessa una gestione “snella “ e “flessibile” delle risorse umane, oggi più che mai necessaria per far fronte ai cambiamenti, garantire adeguata risposta assistenziale e continuità di presa in carico del cittadino. Motivazioni degli infermieri Nati tra 1997 e il 2012, noti come la Generazione Z (Gen Z), questa è la classe di età dei giovani che oggi si accostano al mondo del lavoro ed alla Professione infermieristica.

Sono la prima generazione nata in un’epoca in cui Internet esisteva già. Per questo motivo vengono talvolta definiti “nativi digitali” ed hanno dimestichezza naturale con la tecnologia; hanno sempre gli smartphone alla mano: mobile first.

La usano per tutto: per informarsi, sviluppare le loro competenze, per comunicare con la famiglia e gli amici, per intrattenersi, per fare la spesa e molto altro ancora. Nella “Gen Z”, è molto diffusa la tendenza relazionarsi in modo virtuale (ad integrazione e/o reinterpretazione di quello fisico) attraverso l’uso del web e questo porta a non distinguere spazio pubblico e privato nella loro comunicazione che pertanto è aperti alla lettura di tutti. I giovani “Gen Zer” sono pienamente integrati con le nuove modalità di comunicazione, le nuove tecnologie attivando, in modo sinergico, innovativi processi di accesso all’informazione e di costruzione della conoscenza che tendono a mettere in crisi le modalità classiche di accesso alla cultura, tradizionalmente affidate alle strategie di insegnamento e apprendimento realizzate nei contesti formali scolastici.

Nuove forme educative dovranno essere stimolate per orientarsi positivamente in questo nuovo contesto culturale e il Sistema scolastico e universitario deve sviluppare un approccio “colto” verso i media e le nuove tecnologie, se vuole rispondere in modo adeguato ai bisogni di conoscenza, di espressione e di comunicazione dei giovani “Gen Zer” oggi caratterizzati da ansia di connessione, da un’esperienza diffusa, personalizzata, immersiva, integrata dei diversi media (Rivoltella, 200617; Falcinelli, 2012).

Il sistema educativo deve disegnare percorsi formativi coerenti con le esigenze del mercato del lavoro e con le aspettative professionali delle nuove generazioni e per questo deve saper guidare i ragazzi perché si orientino verso una nuova ecologia dei media, che prevede un’integrazione virtuosa delle diverse esperienze mediali e tecnologiche con le molteplici esperienze con altri linguaggi e altre modalità di approccio alla realtà (Falcinelli, 2012).

Per i giovani “Gen Zer”, il lavoro è soprattutto “uno strumento per procurare reddito” ma anche un “luogo di impegno personale e autorealizzazione” e da queste riflessioni ne consegue che le condizioni che i ragazzi valutano maggiormente nell’accettare un’offerta di lavoro non sono quelle legate al prestigio o alla dimensione di un’Azienda ma quelle economiche e quelle legate alla coerenza con le proprie passioni, interessi e opportunità di carriera. Tali aspettative possono anche non concretizzarsi nel lavoro, per questo i ragazzi “Gen z” sono anche facilmente esposti a demotivazione qualora non trovino stimoli e opportunità di valorizzazione professionale. Molti dei “Gen Zer” sono entrati nel mondo del lavoro durante la grande transizione all’hybrid working e in questo preciso momento storico devono fare i conti con un costo della vita sempre più elevato.

Questi fattori, insieme a molti altri, influenzano inevitabilmente le aspettative professionali della “Gen Z”, i quali, secondo un recente studio globale di Deloitte sulla Gen Z e i Millennial:

  • cercano un lavoro gratificante e socialmente responsabile, quasi quattro dipendenti Gen Z su 10 dichiarano di aver rifiutato incarichi di lavoro a causa di preoccupazioni etiche. Questa fascia d’età, nel complesso, cerca ruoli in linea con i temi che ha più a cuore, come la sostenibilità ambientale e l’impatto sociale, e si aspettano di trovare in azienda solide credenziali ESG (Environmental, Social and Governance);
  • credono nell’importanza del titolo di studio ma ancor di più della formazione e nello sviluppo professionale continuativo: per rispondere a questa esigenza, le aziende devono investire sui dipendenti, attraverso strategie formative di upskilling per lo sviluppo continuo delle competenze (soprattutto sulle digital skills), finalizzate alla creazione di opportunità di crescita e di avanzamento di carriera;
  • cercano modalità di lavoro flessibili essendo attenti all’equilibrio tra vita professionale e privata. Il lavoro a distanza o ibrido consente di risparmiare tempo prezioso sugli spostamenti e investirlo in altre attività personali ed è un vantaggio a cui nessuno vuole rinunciare e che è anzi considerato non solo la normalità, ma un diritto vero e proprio. Per fidelizzare i migliori talenti, è indispensabile orientarsi verso il lavoro ibrido e garantirne l’efficienza, favorendo l’apprendimento e le comunicazioni ovunque si trovi il dipendente;
  • credono in una cultura aziendale inclusiva: sempre secondo Deloitte, i nativi digitali sono desiderosi di lavorare in realtà che a diventare più inclusive o già attivamente impegnate a sostenere apertamente iniziative, anche formative, orientate al riconoscimento della diversità, equità e inclusione (DE&I) ed alla prevenzione dei pregiudizi inconsci.

Esigono una retribuzione dignitosa e benefit competitivi, specialmente a fronte dell’impennata del costo della vita, ma non per questo trascurano gli altri elementi che concorrono alla qualità dell’esperienza professionale tra cui quello di un ambiente lavorativo positivo in cui possano davvero maturare e affermarsi: la stabilità del lavoro non è considerata come prioritaria.

I professionisti optano sempre più spesso per forme contrattuali diverse dalla dipendenza che, nei fatti, oltre a dimostrarsi economicamente e fiscalmente convenienti, consentono al professionista di governare al meglio il proprio percorso professionale orientandolo ad attività ritenute più qualificanti e in grado di garantire una migliore conciliazione tra lavoro ed esigenze personali/familiari.

Tali fenomeni si manifestano in una scarsa adesione alle procedure di reclutamento tradizionali che porterebbero ad assunzioni con rapporto di lavoro dipendente regolato dai contratti collettivi nazionali e integrativi aziendali, mentre i professionisti prediligono sempre più forme di collaborazione con contratti di lavoro autonomo altri rapporti di lavoro di natura privatistica.

Alla luce delle suddette considerazioni, appare chiaro perché i giovani di oggi non scelgano di iscriversi ai Corsi di Laurea in Infermieristica: sanno che la Professione Infermieristica non ha prospettive di carriera, specie in ambito clinico, dove sono decisive le specializzazioni (FNOPI, 2023).

Diverse sono le domande a cui dover dare delle risposte concrete:

  • come motivare un professionista a rimanere inserito in contesti organizzativi che da decenni sono strutturati con modelli organizzativi e/o assistenziali obsoleti, articolati in prevalenza ancora per “compiti”, “mansioni” e “attività di supporto”?
  • come convincere o motivare un infermiere ad essere parte integrante di un gruppo multiprofessionale e ad avere chiara dimostrazione del riconoscimento del suo lavoro alla pari con gli altri professionisti, quando in realtà è molto frequente nei contesti lavorativi vivere fenomeni di prevaricazione di ruolo?
  • come non comprendere che dietro al fenomeno dell’elevato turn-over del personale infermieristico, ci sono anche situazioni di ricongiungimento familiare e avvicinamento al proprio paese di residenza, ma anche di difficoltà di riuscire ad arrivare a fine mese e/o sostenere le spese di un affitto o degli spostamenti tra la propria residenza e il posto di lavoro?

Secondo FNOPI (2023) una possibile risposta è chiara:

  • “riformare il percorso di formazione degli infermieri con maggiori organici e specializzazioni;
  • cambiare rotta sugli interventi terapeutici grazie all’ampliamento delle competenze;
  • gestire e coordinare processi assistenziali anche attraverso nuovi strumenti di teleassistenza e soprattutto assistenza infermieristica territoriale, con il potenziamento e la diffusione a livello nazionale del ruolo dell’infermiere di famiglia e di comunità”.

È auspicabile che al più presto si affronti seriamente la situazione della carenza infermieristica senza ricercare alchimie o scorciatoie che non hanno alcuna efficacia su fenomeno ormai strutturale.

La riforma del percorso formativo degli Infermieri è ormai una delle priorità strategiche per la sostenibilità del SSN.

Considerazioni

I Direttori delle Direzioni delle Professioni Sanitarie:

  • considerano quale obiettivo prioritario del proprio mandato quello di contribuire a garantire al cittadino, attraverso un uso efficiente di tutte risorse disponibili, comprese le risorse umane – e, tra queste, certamente l’infermiere -, una risposta precoce e mirata ai bisogni di salute dei cittadini in qualsiasi realtà assistenziale (pubblica, privata, ospedaliera, territoriale, nelle RSA, Lungodegenze, etc.), sostenendo l’attività ambulatoriale e di sala operatoria, per ridurre le liste di attesa, l’apertura di tutti i posti letto necessari e garantendo ai cittadini un’assistenza appropriata e sicura, il miglioramento degli esiti assistenziali, la riduzione del fenomeno delle “cure mancate” e un tempo adeguato perla relazione di cura;
  • ritengono che gli Infermieri che affrontano, seriamente, un percorso di formazione universitaria e maturano esperienza lavorativa, sviluppano conoscenze, abilità, capacità e competenze di alto/altissimo livello, siano Professionisti preparati ed estremamente competenti, certamente unici ed insostituibili tra tutte le Professioni Sanitarie. L’infermiere è infatti l’unico Professionista sanitario sempre presente in ogni setting di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione e garantisce continuativamente l’assistenza.
  • sono consapevoli che per assistere la popolazione che invecchia occorrere mettere in campo quanto previsto dal DM 77/22 e del PNRR, ma le strutture e la tecnologia non bastano. Occorrono infermieri poiché senza infermieri non ci può essere né assistenza e né salute. Al contrario, da quanto fatto finora, sembra che non vogliamo gli Infermieri e non li vogliamo valorizzare. Ma davvero possiamo accettare di perdere o sostituire gli infermieri?

Ritengono pertanto indifferibile e non più rinviabile la “questione infermieristica” e per questo sollecitano tutte le Istituzioni a diversi livelli a farsene carico con scelte coraggiose e soluzioni prontamente efficaci.

È necessario che al più presto si affronti seriamente la situazione della carenza infermieristica senza ricercare alchimie o scorciatoie rispetto ad un fenomeno divenuto ormai strutturale. Molto spesso è nei momenti di maggior difficoltà che si riescono a trovare soluzioni diverse, spesso innovative, anche attraverso l’adozione di nuovi modelli organizzativi e/o assistenziali. Ma non confondiamo il periodo eccezionale e transitorio vissuto durante il Covid che, ha portato sì, ad attivare cambiamenti impensabili in pochissimo tempo, ma in una situazione e in un contesto specifico e del tutto straordinariamente particolare.

Progettare ed adottare nuovi modelli organizzativi tra skill-mix, skill-shifting, staff-mix, etc. che siano realmente significativi ed efficaci, è cosa ben diversa che richiede un enorme investimento di tempo e risorse.

Inoltre, il cambiamento delle organizzazioni implica il coinvolgimento di tutti i professionisti coinvolti nel processo di cura ed assistenza, con importante lavoro di negoziazione e condivisione per trovare insieme un modello condiviso, ma sicuramente avendo il coraggio e la determinazione di voler cambiare, credendo davvero nel “valore” dell’assistenza sanitaria e del ruolo strategico che i Professionisti sanitari rivestono in termini di accountability per la salute dei cittadini.

Considerano che la riforma del percorso formativo degli infermieri sia ormai una delle priorità strategiche per la sostenibilità del SSN.

La formazione infermieristica universitaria di base e post base deve tener conto delle innovazioni (sia in campo tecnologico che biomedico) e delle nuove esigenze organizzative del Sistema sanitario, ma anche delle aspettative dei giovani delle nuove generazioni supportando lo sviluppo professionale di carriera dei futuri Professionisti Infermieri. Occorre altresì valutare il tema della formazione avanzata in ambito clinico da associare a quella manageriale per rafforzare i profili di leadership nel middle management e riservare percorsi di alta specializzazione per i ruoli direttivi. Gli sviluppi manageriali della Professione Infermieristica accompagnati da quelli disciplinari sono fondamentali per tenuta del sistema sanitario.

Il Sistema Sanitario italiano rischia di non essere più in grado di sostenere e garantire l’assistenza alla popolazione senza Infermieri: ma davvero stiamo ancora discutendo “se” e “quando” cominciare ad investire su questi Professionisti?

I Dirigenti delle Professioni Sanitarie esprimono grande preoccupazione per la carenza di infermieri e ribadiscono il loro impegno ai vari livelli per trovare soluzioni strutturali, efficaci e urgenti per supportare lo sviluppo della Professione Infermieristica fondamentale per tenuta del sistema sanitario.

Per affrontare questa grande sfida è strategico l’intervento proattivo e partecipato di tutte le Istituzioni, del mondo politico, della Sanità e di una forte Leadership organizzativa e professionale, capace di orientare le scelte e determinare i cambiamenti: dalla Direzione delle Professioni Infermieristiche, ai coordinatori, ai singoli professionisti Infermieri.

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