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Trauma cranico, nuovo test sul sangue può rivoluzionare la pratica clinica

Grazie all’individuazione di due biomarcatori consente di riconoscere tempestivamente la patologia e di evitare danni irreversibili.

Quando si parla di trauma cranico la priorità è sempre la stessa: riconoscerlo tempestivamente, prima che possa creare danni irreversibili. L’individuazione di biomarcatori nel sangue, rilevabili tramite un semplice test, può essere di grande aiuto in tal senso, ed è esattamente quello che offre Alinity mTBI, un pannello di dosaggi diagnostici che misurano due proteine specifiche. Tutte le novità sono spiegate in un recente documento dal titolo “Colpi di testa”.

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Si tratta della proteina fibrillare acida della glia (GFAP) e dell’ubiquitina carbossi-terminale idrolasi L1 (UCH-L1), due biomarcatori di trauma cranico complementari che aumentano dopo una lesione cerebrale. I due marker sono misurabili in pochi minuti tramite un prelievo di sangue su strumentazione che risponde alle diverse necessità di spazio e risorse nei Pronto soccorso e nei laboratori: Alinity i e i-STAT. I risultati del test forniscono una sensibilità del 96,7% su strumentazione Alinity i e del 95,8% su strumentazione i-STAT, con un valore predittivo negativo superiore al 99%.

La procedura utilizzata fino a oggi per individuare un trauma cranico consiste nella valutazione di sintomi, nell’osservazione clinica ed eventualmente una Tac del cervello. Si tratta di un percorso macchinoso, nell’ambito del quale possono avvenire non di rado errori di valutazione. Il test Alinity mTBI, sviluppato da Abbott, può quindi essere di grande aiuto per i medici e i pazienti.

«La novità principale è l’introduzione nella diagnostica di marcatori biochimici che possono essere misurati facilmente nel plasma – dice Giuseppe Banfi, direttore scientifico dell’Irccs Galeazzi –. Sono due marcatori che sono prodotti e rilasciati da due tipi di cellule del sistema nervoso: uno dai neuroni, l’altro dalle cellule gliali. E questi marcatori finora hanno dimostrato un’ottima prestazione potendo quindi essere utilizzati quantomeno per il cosiddetto valore predittivo negativo. Cioè, se sono negativi, si può escludere il trauma cranico lieve».

L’altro grande vantaggio deriva dall’anticipazione della diagnosi, che riduce così tempi e costi. Il nuovo test, entro certi limiti, può consentire anche evitare di dover ricorrere alla Tac. «I biomarcatori – spiega Banfi – permettono di avere una finestra diagnostica ampia: il primo marcatore, quello proveniente dai neuroni, aumenta immediatamente, a un’ora dal danno, l’altro marcatore aumenta per dodici ore. Sono molto utili anche per danni pregressi che non hanno seguito l’iter classico di valutazione in un centro o in un pronto soccorso. Ma, in presenza di una sintomatologia, possono evidenziare se ci sia stato un danno».

Un nuovo strumento diagnostico, più semplice, per il trauma cranico era necessario per l’enorme frequenza con cui si presenta questa patologia. Infatti si stima che ogni anno nel mondo ci siano 69 milioni di persone che ne sono vittima. Rappresenta quindi il disturbo neurologico più frequente. Gli effetti delle lesioni cerebrali traumatiche possono durare da pochi giorni dopo l’infortunio ad anni, con una sintomatologia che può finanche impattare significativamente sulla qualità di vita.

Per fortuna l’incidenza è diminuita negli anni. «Fino a dieci anni fa – dice Andrea Fabbri, responsabile Medicina d’urgenza dell’Azienda Usl Forlì e responsabile del Centro studi di Simeu – eravamo nell’ordine di 15 casi ogni mille abitanti, oggi siamo scesi a 5. Vuol dire che i veicoli sono più sicuri, funzionano i dispositivi di protezione dagli incidenti stradali, come caschi, cinture, e si consuma meno alcol prima di mettersi alla guida».

«Il trauma cranico si manifesta con diversi sintomi: stato confusionale, amnesia, vomito non preceduto da nausea – riferisce Mario Guarino, direttore della Medicina d’urgenza al Cto Azienda dei Colli di Napoli –. La classificazione si effettua con una valutazione clinica del livello di coscienza che prende in considerazione tre parametri: l’apertura degli occhi e le risposte verbali e motorie».

Ma non sempre i sintomi sono così evidenti. «In caso di paziente asintomatico può essere indicato prolungare l’osservazione clinica ed avviare un percorso che può comprendere un esame radiologico, per lo più la Tac cerebrale ed eventualmente un prelievo di sangue», dice Vincenzo Menditto, medico specialista dell’Aou Ospedali Riuniti di Ancona.

«L’appropriata gestione di un paziente con trauma cranico – continua Menditto – mira ad evitare le possibili complicanze quali i sanguinamenti all’interno della scatola cranica che pongono il paziente a rischio di morte o di esiti invalidanti se non prontamente trattati. Le principali cause di trauma cranico sono le cadute accidentali, le cadute a seguito di improvvisa perdita di coscienza (anche d’età sincope) e gli incidenti stradali o i traumi conseguiti durante attività sportiva».

«Le categorie più a rischio – spiega il dottor Alessio Bertini, responsabile del Pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore Carlo Alberto Pizzardi di Bologna – sono ovviamente gli anziani, quelli affetti da patologie epatiche e i pazienti che prendono farmaci coagulanti e antiaggreganti perché possono favorire il sanguinamento. Il pericolo si genera quando, in conseguenza del trauma cranico, si forma del sangue all’interno della scatola cranica. Bisogna capirlo subito, perché il mancato riconoscimento può avere conseguenze molto gravi. È importante riconoscere i segni del peggioramento e capire, in pronto soccorso, quali pazienti necessitano di una Tac o no».

Redazione Nurse Times

Fonte: Sanità Informazione

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