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Test sierologico per coronavirus: anticorpi IgM e IgG

Rilanciamo un approfondimento del dottor Roberto Gindro pubblicato sul portale Valori Normali.

Cosa si intende per test sierologico? – Il termine sierologico significa che l’esame è condotto su un campione di sangue venoso e proprio come un normale esame del sangue questo viene prelevato in genere da una vena nel braccio. Esistono anche test rapidi effettuati su sangue capillare, ossia prelevati da un dito attraverso la puntura di un piccolo ago, ma l’affidabilità è in questo caso ridotta.

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Che differenza c’è col tampone? – Il tampone è un esame che serve a capire se il virus sia presente nell’organismo del soggetto testato, sulle mucose respiratorie analizzate e al momento del prelievo; in caso positivo è ragionevole aspettarci che questi sia contagioso e, in quanto tale, dovrebbe procedere ad un isolamento volontario volto a proteggere le altre persone. Il risultato non fornisce altre informazioni e, peraltro, nulla ci dice sulla presenza e/o gravità dei sintomi o su quando sia avvenuto il contatto con il virus.

Il test sierologico, anche chiamato esame degli anticorpi IgM e IgG, ha invece l’obiettivo di cercare nel sangue la presenza di anticorpi prodotti verso il virus, il cui dosaggio ci permette alcune importanti informazioni complementari, ossia diverse da quanto suggerito dal tampone. È importante sottolineare questo aggettivo, complementare, perché le informazioni restituite sono differenti ed integrano quelle ottenute dal tampone.

A conferma di questo segnaliamo che la campagna del ministero prevede che “in caso di diagnosi positiva, l’interessato verrà messo in temporaneo isolamento domiciliare e contattato dal proprio Servizio sanitario regionale o Asl per fare un tampone naso-faringeo che verifichi l’eventuale stato di contagiosità.”

Come interpretare il risultato del test? – Per capire come interpretare l’esito del test dobbiamo fare un passo indietro e comprendere cosa succede quando il virus raggiunge l’organismo e riesce a colonizzarlo; raccomando di assumere il conteggio di giorni e settimane come semplificazioni a scopo divulgativo in quanto non ancora definite nel dettaglio e apparentemente piuttosto variabili nella popolazione.

  • Poniamo che oggi io venga contagiato; il virus raggiunge una mucosa, ad esempio il naso, e supera le mie difese.
  • Per qualche giorno non avrò alcun sintomo e, se anche mi sottoponessero a tampone o sierologico, non rileverebbero nulla.
  • Ad un certo punto, diciamo indicativamente a 5 giorni dal contagio, io starei ancora benissimo, ma un eventuale tampone sarebbe positivo. Il virus si sarebbe già sufficientemente replicato per poter essere isolato e riconosciuto. Un eventuale sierologico, invece sarebbe ancora negativo, perché il mio organismo non si sarebbe ancora organizzato in modo specifico contro il nuovo coronavirus.
  • Dopo ulteriori 2-3 giorni esordirebbero i sintomi, ma dal punto di vista diagnostico non sarebbe cambiato nulla: tampone positivo e sierologico negativo.
  • Arriviamo a circa 4 settimane dal contagio: il tampone sarebbe probabilmente ancora positivo, ma finalmente lo sarebbe anche il sierologico. Il mio organismo ha riconosciuto la minaccia, si è organizzato, ed ha iniziato a produrre contromisure specifiche:
    • Anticorpi IgM, compaiono nella fase iniziale, a pochi giorni dall’esordio dei sintomi e tendono poi a sparire abbastanza rapidamente
    • Anticorpi IgG, compaiono un po’ più tardi rispetto agli IgM, ma durano molto più a lungo (per alcune malattie come la varicella, ad esempio, si rilevano nel sangue per tutta la vita del paziente che l’ha contratta, sono infatti gli esami utilizzati per verificare se un soggetto abbiamo o meno contratto la malattia, oppure se si sia sottoposto con successo alla vaccinazione).
  • A circa 6 settimane dal contagio se non avessi sviluppato complicazioni e facessi un tampone questo sarebbe probabilmente negativo, indicando la scomparsa del virus dall’organismo (o quantomeno dalla mucosa analizzata dal tampone, ma non divaghiamo). Sarebbero negativi anche gli Igm, mentre rimarrebbero positivi gli IgG, per quanto tempo ancora non lo sappiamo.

Riassumendo, possiamo così interpretare un sierologico per Covid-19:

  1. IgM negativo, IgG negativo: Il paziente non è mai entrato in contatto con il virus, oppure il contatto è abbastanza recente.
  2. IgM positivo, IgG negativo: Il paziente è presumibilmente in fase contagiosa, è necessario verificarlo con un tampone.
  3. IgM positivo, IgG positivo: Il paziente è presumibilmente in fase contagiosa, è necessario verificarlo con un tampone.
  4. IgM negativo, IgG positivo: Il paziente è stato contagiato diverse settimane fa e probabilmente l’infezione è in fase di risoluzione o già superata, ma potrebbe essere ancora contagioso e verrà richiesto un tampone.

Se in futuro emergeranno prove a sostegno dell’acquisizione di immunità a seguito dell’infezione, questa sarà indicata dalla condizione descritta dal quarto e ultimo punto, la sola presenza residua di IgG nel sangue. In ogni caso è bene ricordare che sia il tampone che il sierologico sono come fotografie scattate in un preciso momento della vita di una persona; non possiamo per esempio escludere, per assurdo, che un paziente privo di anticorpi verso il coronavirus al momento del prelievo, li sviluppi il minuto successivo in seguito ad un’infezione molto recente e risalente a pochi giorni prima.

Cosa sono le IgA? – Si tratta di immunoglobuline, cioè anticorpi, isolabili nelle mucose respiratorie; sono valutate in alcuni test, ma sicuramente hanno ad oggi un’importanza inferiore rispetto a IgM ed IgG.

I sierologici sono tutti uguali? – No, non sono tutti uguali ed è anzi molto importante comprendere almeno in linea generale le diverse tipologie disponibili. La prima grande distinzione va fatta tra:

  • test qualitativi, come i test rapidi condotti sul dito, che restituiscono un risultato positivo-negativo in base alla presenza o meno degli anticorpi cercati;
  • test quantitativi, ossia il vero sierologico, che permette di valutare non solo l’eventuale presenza degli anticorpi, ma anche la quantità presente.

I test quantitativi sono in genere più affidabili, e fra poco vedremo cosa s’intende in questo caso parlando di affidabilità, ma permette anche di verificarne eventualmente l’andamento nel tempo, così da capire in che punto della curva si trova il paziente. Quando si sceglie volontariamente di sottoporsi al test è raccomandabile rivolgersi a laboratori di comprovata serietà, che utilizzino test validati clinicamente, ossia di cui si conoscano con esattezza sensibilità e specificità.

Ma cosa s’intende con questi due termini? La sensibilità ci dice quanti soggetti contagiati risultano effettivamente positivi al test; se ad esempio un test ha una sensibilità non inferiore al 90%, significa che testando 100 soggetti che presentano realmente anticorpi in circolo, 10 di essi otterranno un risultato negativo, un tipo di errore definito “falso negativo”.

La specificità è invece un parametro che ci dice quanti soggetti privi di anticorpi risultino effettivamente negativi al test; se ad esempio un test ha una specificità pari al 95%, significa che su 100 soggetti mai venuti a contatto con il virus otterranno comunque un risultato positivo, per errore, definito “falso positivo”.

Quali sono i valori di sensibilità e specificità degli attuali test? – Ai laboratori che collaborano con la campagna ministeriale sono richiesti esattamente i valori che ho citato nell’esempio:

  • sensibilità non inferiore al 90%
  • specificità non inferiore al 95%

90 e 95% sembrano tutto sommato valori buoni, vero? Sì, sono test abbastanza buoni e comunque in linea con quello che c’è attualmente disponibile sul mercato, ma vale la pena fare comunque qualche ulteriore considerazione.

  • Prendendo a titolo di paragone un test per l’HIV, ci troviamo di fronte ad un’accuratezza sensibilmente più elevata, con sensibilità pari al 99.7% e specificità pari al 98.5% (fonte); si tratta di differenze realmente sostanziali, ma è inevitabile che i sierologici destinati al COVID-19 abbiamo problemi di giovinezza che verranno superati nei prossimi mesi.
  • Esiste infine una considerazione di tipo puramente matematico, che spesso viene ignorata anche da molti professionisti sanitari. Se la malattia fosse poco diffusa nella popolazione, ipotizziamo per esempio che solo il 5% della popolazione abbia realmente contratto il coronavirus, si può dimostrare che un test con una specificità del 95% si tradurrebbe in una probabilità del 50% di un falso positivo.

Un esito positivo del sierologico con tampone negativo significa essere immuni? – Questa è la speranza condivisa da tutti i ricercatori impegnati in prima linea, ma purtroppo ad oggi la risposta è ancora “non necessariamente”. Buona parte della comunità scientifica attualmente ritiene che lo sviluppo di anticorpi consenta di beneficiare di almeno una temporanea immunità, qualche virologo stima almeno qualche mese, ma si tratta appunto di stime su cui c’è ancora molto da lavorare.

Ma ancora una volta la questione è più complessa di così. Quello che dovremo capire nei prossimi mesi è se un’eventuale immunità consenta di prevenire solo nuovi sintomi, o anche un nuovo ingresso del virus nell’organismo, con conseguenze profondamente diverse in termini di potenziale circolazione del virus ed immunità di gregge.

Redazione Nurse Times

Fonte: Valori Normali

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