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Suicidio assistito, Fnomceo aggiorna il Codice di deontologia medica.

Il presidente Anelli: “Lasciamo liberi i colleghi di agire secondo la legge e la loro coscienza”.

“La libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte Costituzionale e relative procedure), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare”. È questo il testo degli indirizzi applicativi all’articolo 17 del Codice di deontologia medica (“Atti finalizzati a provocare la morte”), approvati all’unanimità a Roma dal Consiglio nazionale della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo). Il Consiglio nazionale, composto dai 106 presidenti degli Ordini territoriali, ha così voluto aggiornare il Codice dopo la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che ha individuato una circoscritta area in cui l’incriminazione per l’aiuto al suicidio non è conforme alla Costituzione. Si tratta dei casi nei quali l’aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Se ricorrono tutte queste circostanze, oltre ad alcune condizioni procedurali, l’agevolazione del suicidio non è dunque punibile da un punto di vista penale. Ma cosa succede se, a prestare aiuto, è un medico? «Abbiamo scelto di allineare anche la punibilità disciplinare a quella penale
– spiega il presidente Fnomceo, Filippo Anelli, in modo da lasciare libertà ai colleghi di agire secondo la legge e la loro coscienza. Restano fermi i principi dell’articolo 17, secondo i quali il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte. E ciò in analogia con quanto disposto dalla Corte, che, al di fuori dell’area delimitata, ha ribadito che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio “non è, di per sé, in contrasto con la Costituzione, ma è giustificata da esigenze di tutela del diritto alla vita, specie delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento intende proteggere evitando interferenze esterne in una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio”». E cosa cambierà, dunque, nella pratica? «I Consigli di disciplina – spiega Anelli – saranno chiamati a valutare ogni caso nello specifico, per accertare che ricorrano tutte le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale. Se così sarà, il medico non sarà punibile dal punto di vista disciplinare. In questo modo abbiamo voluto tutelare la libertà di coscienza del medico, il principio di autodeterminazione del paziente e, nel contempo, l’autonomia degli Ordini territoriali nei procedimenti disciplinari, correlandoli con la perfetta aderenza ai dettami costituzionali». Frutto di un lungo lavoro svolto dalla Consulta deontologica della Fnomceo, coordinata da Pierantonio Muzzetto,  gli Indirizzi applicativi sono stati approvati dal Comitato centrale del 23 gennaio scorso e portati ieri mattina all’esame del Consiglio nazionale. Da oggi sono parte integrante del Codice di deontologia medica. Redazione Nurse Times  
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