Stato di minima coscienza: cervello di due pazienti “riattivato” con nuova tecnica a ultrasuoni

Il trattatamento ha prodotto miglioramenti significativi in un uomo di 56 anni e in una donna di 50.

Grazie a una tecnica di stimolazione basata sugli ultrasuoni focalizzati a bassa intensità, alcuni scienziati dell’Università della California (Los Angeles), che hanno collaborato con i colleghi del Research Institute – Casa Colina Hospital and Centers for Healthcare di Pomona, sono riusciti a “far ripartire” parti del cervello di persone che si trovavano in stato di minima coscienza (simile al coma). Per riuscirci, hanno somministrato due sessioni di trattamento di dieci minuti a tre pazienti, con una settimana di intervallo. I dettagli della ricerca, intitolata “Ultrasonic Thalamic Stimulation in Chronic Disorders of Consciousness”, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Brain Stimulation.

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Uno dei pazienti, un 58enne minimamente cosciente da più di cinque anni, non ha mostrato alcuna risposta, mentre negli altri due si sono osservati miglioramenti significativi, essendo riusciti, per esempio, a riconoscere persone e oggetti, ad annuire con la testa e persino a prendere in mano una palla a comando. Potrebbero sembrare piccoli passi avanti, ma per chi si trova in quelle condizioni, così come per i famigliari e gli assistenti, si tratta di progressi molto importanti.

I ricercatori, coordinati dal professor Martin M. Monti, docente del Dipartimento di Psicologia e neurochirurgia dell’ateneo statunitense, avevano ottenuto un risultato analogo nel 2016, osservando progressi notevoli in un ragazzo di 25 anni. In quel caso, tuttavia, il miglioramento delle funzioni percettive poteva essere legato al caso, poiché, date le condizioni del giovane, avrebbe potuto verificarsi anche spontaneamente. Ma nei due nuovi pazienti è molto improbabile che i nuovi risultati siano dovuti a un recupero spontaneo

Nello specifico, uno dei pazienti è un uomo di 56 anni, rimasto in stato di minima coscienza e incapace di comunicare per più di 14 mesi. Dopo il trattamento, oltre a guardare verso le fotografie dei parenti quando erano menzionati i loro nomi, 

riusciva anche far cadere o afferrare una palla su richiesta. E quando gli erano poste semplici domande sulla sua identità, riusciva a scuotere la testa per dire “sì” o “no”. L’altro paziente, una donna di 50 anni rimasta in stato di minima coscienza da più di due anni e mezzo, dopo le sessioni con gli ultrasuoni è stata in grado di comprendere parole e riconoscere oggetti di base, tra cui una matita e un pettine.

“Considero questo nuovo risultato molto più significativo perché questi pazienti cronici avevano molte meno probabilità di recuperare spontaneamente rispetto al paziente acuto trattato nel 2016, e qualsiasi progresso avviene tipicamente in modo lento, per mesi o anni, non in giorni e settimane, come abbiamo mostrato – ha dichiarato Monti –. E’ quindi notevole che entrambi i pazienti abbiano mostrato risposte significative entro pochi giorni dall’intervento. Questo è ciò che speravamo, ma è incredibile averlo visto con i nostri occhi”.

La ricerca è ancora in una fase iniziale e sperimentale. Per questo, Monti e colleghi restano cauti sull’efficacia della tecnica, soprattutto sul lungo periodo. Anche perché, nonostante i miglioramenti iniziali, l’uomo di 56, dopo alcuni mesi senza il trattamento, è tornato in uno stato simile al precedente, mentre la donna non ha mostrato cambiamenti significativi della sua condizione. Insomma, si deve ancora certificare l’efficacia del metodo, che in futuro potrebbe però essere utilizzato per aiutare questi pazienti.

Redazione Nurse Times

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