Speciale Nurse Times: intervista a Sandro, infermiere del 118 che salva un bambino per telefono

Si è quasi giunti al termine di una mattinata di lavoro come tante, quando Sandro Mangiacristiani

Si è quasi giunti al termine di una mattinata di lavoro come tante, quando Sandro Mangiacristiani, infermiere del 118, riceve una chiamata presso la centrale operativa dove presta servizio.

Un bambino di 3 anni sta soffocando a causa di una caramella andata di traverso e il suo papà non sa come aiutarlo.

Così l’infermiere, con 38 anni di esperienza in area critica, da tempestivamente direttive chiare e precise al genitore, facendogli attuare una efficace manovra di Heimlich e salvando di fatto il piccolo.

Noi di Nurse Times lo abbiamo intervistato.

Chi è l’infermiere Sandro Mangiacristiani? Dove presta servizio? E qual è il suo percorso professionale?

Beh, io… Volo. Con gli elicotteri Icaro 01 (soccorsi in mare) ed Icaro 02 (soccorsi in montagna), nel servizio di elisoccorso. Il prossimo 23 agosto, per me saranno ben 29 anni di emergenza in elicottero! Lavoro anche nella centrale operativa 118 e in auto medica.

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Ho iniziato nel 1978, in reparto di rianimazione. E per 20 anni, fino al 1998, sono stato lì, in quell’unità operativa.

Il 23 agosto dell’87, ho però iniziato l’altra importantissima attività della mia vita: volare.

Nell’87 il numero unico 118 non era ancora attivo.

Quindi, per far sì che le persone conoscessero il soccorso in elicottero e sapessero come e quando allertarlo, io, alcuni amici medici ed il pilota ci immolammo sul territorio per fare opera di sensibilizzazione.

Così stilammo i primi protocolli di chiamata per l’attivazione dell’elicottero e li divulgammo. Per fortuna, poi, dal 1992, con la nascita del numero unico per l’emergenza sanitaria, tutto fu più semplice.

Sei autore di due libri che raccontano di emergenza sanitaria. Parlacene.

In occasione dei 20 anni in elisoccorso, il mio direttore ebbe l’idea di realizzare un convegno sul soccorso sanitario e mi chiese se avevo voglia di raccontare alcune storie vere, vissute in emergenza.

E così fu. Raccontai narrativamente delle situazioni vissute in elisoccorso e la cosa ebbe un gran successo. È da lì che nacque l’idea di scrivere il mio primo libro: “Uno sguardo dal cielo – i racconti dell’emergenza.

È ricco di foto, storie belle e drammatiche, che a volte finiscono con successo, a volte purtroppo con estrema tristezza.

È stato il primo libro di emergenza narrativa in Italia.

È stato sponsorizzato dagli Ospedali Riuniti di Ancona ed i suoi proventi vengono totalmente utilizzati per l’acquisto di presidi vitali.

Grazie alla vendita ci è stato possibile comprare un ecografo portatile per l’elicottero Icaro 01. A che serve?

Beh, spesso emergenza sanitaria non significa solo infarto o trauma cranico, ma ad esempio anche un’emorragia addominale importante; e con questo presidio è possibile diagnosticare subito un problema grave di quel tipo ed attivare così il percorso più adeguato.

Una donazione in particolare, mi ha colpito e commosso: quella del papà di una bimba volata in cielo che, per un solo libro, ha donato ben 22000 euro; grazie a questa cospicua donazione è stato acquistato un altro ecografo, stavolta per l’elicottero Icaro 02.

Il mio secondo libro è intitolato “Uno sguardo verso il cielo – i colori dell’emergenza”.

In questo volume ho inserito racconti di medici, piloti, racconti di infermiere-mamme, infermieri-papà e ho cercato di affrontare il tema dell’emergenza prendendo in considerazione soprattutto il suo lato più emozionale.

Esaltando quell’amore e quella passione che noi tutti dovremmo mettere durante un’urgenza o un’emergenza.

Quelle sensazioni nobili che ci proteggono, come dico io, dal precipitare in quella fossa dell’orrore che è rappresentata dall’apatia professionale e dal burnout.

Il nostro è un lavoro non facile e a volte scrollarsi di dosso certe situazioni è straordinariamente complicato.

Ma bisogna assolutamente evitare di lasciarsi sommergere dalla tristezza e dal dolore. È necessario trovare sempre quella scappatoia, che ci permette di aiutare con entusiasmo.

E grazie all’amore, alla sensibilità, associati alla competenza e al lavoro di squadra, ogni volta che usciamo con l’elicottero noi abbiamo la motivazione giusta e possiamo dire: “ci siamo e diamo il massimo”.

E come insegno ai ragazzi: nel nostro zaino c’è tutto il materiale sanitario per far fronte alle situazioni più difficili; ma se non ci ricordiamo di portare con noi la nostra umanità, la nostra voglia di aiutare il prossimo e il nostro amore, è meglio che ce ne stiamo a casa.

In questi giorni si è parlato molto di te sui giornali per una storia a lieto fine. Dov’eri sabato intorno a mezzogiorno e… cosa è successo?

Ero nella centrale operativa 118 ed ho risposto ad una chiamata.  

Le chiamate, nel periodo estivo, non mancano e spesso si tratta di sciocchezze vere e proprie.

Ma è grazie all’esperienza ed alla bravura di un operatore che è possibile discernere una situazione potenzialmente grave da una che non lo è. E così è accaduto sabato alle 12:15.

Ha chiamato un uomo e sembrava che volesse semplicemente un’informazione: “Sono in autostrada, ho appena sorpassato l’uscita di Senigallia, mi dice per cortesia qual è l’ospedale più vicino?” Io ho pensato subito che l’ospedale era veramente troppo distante dal punto dove si trovava, così ho chiesto per quale motivo cercasse una struttura di quel tipo.

Il genitore mi ha quindi spiegato che a suo figlio di tre anni, in macchina con lui e la moglie, era andata di traverso una caramella.

E non respirava più. Gli ho detto immediatamente di non perdere tempo, di inserire le 4 frecce e di fermarsi.

Poi l’ho guidato passo passo in una difficile, ma possibile manovra di Heimlich all’interno dell’abitacolo; ed al terzo tentativo, il bimbo ha espulso rumorosamente il corpo estraneo.

Sentendolo piangere, ho quindi appurato che aveva ripreso a respirare.

Ho poi tranquillizzato i famigliari e gli ho detto di attendere l’auto medica che stava arrivando, anche se eravamo già pronti a far decollare l’elicottero per qualsiasi problema. Non ce n’è stato bisogno, comunque.

Come ci si sente, a freddo, dopo aver salvato da morte certa un bambino così piccolo?

Non è stata la prima volta, per me.

Comunque…Io sono un tipo molto romantico.

Vivo, descrivo l’emergenza nel suo lato più romantico e… Posso solo dire che mi sono sentito e mi sento veramente tanto felice.

Ero così stanco, al termine di quella mattinata… eppure non appena quel bambino si è ripreso, mi sono sentito di nuovo carico di energia. Come un’auto diesel a cui è stato appena fatto il pieno di gasolio ed è pronta a percorrere altri 600 chilometri.

Da ex giocatore di calcio, in quel momento è stato come se avessi fatto un grande gol all’ultimo minuto. Ho immaginato tante persone felici, con me che urlavano e festeggiavano.

Oltre al servizio d’emergenza/urgenza e ai tuoi libri ci sono altre soddisfazioni professionali di cui vuoi parlarci?

Insieme alla mia squadra, che è la Fondazione Ospedali Riuniti di Ancona, ho raggiunto diversi ed interessanti obiettivi.

Grazie ad una serie di eventi, siamo ad esempio riusciti a raggiungere un bel gruzzolo per far sì che in oncologia, presso i day hospital e in reparto, fosse creata una camera che assomiglia ad una sala da tè: divani colorati, fenicotteri e fiori disegnati sui muri, un angolo lettura, un bellissimo televisore, un angolo per prendere da bere.

Una sorta di “tuffo nella vita”, per i pazienti ed i loro cari, al termine della chemioterapia. E non solo.

Quando uscivo dalla mia rianimazione, vedevo tanti genitori, tante mamme, papà, fidanzati, mariti e mogli che rimanevano lì, ore ed ore su una sedia.

Di notte li trovavo a dormire sopra i davanzali e si buttavano anche per terra dalla stanchezza.

Spesso si trattava di genitori, lì ad aspettare la dichiarazione di morte dei loro figli, pronti ad accettare l’espianto degli organi. 

Sempre raccogliendo fondi grazie ad una serie di eventi, è stato possibile realizzare uno spazio con in tutto 5 posti letto, comprensivi di bagno e di armadietti, per la dignità di quei parenti investiti dalla sofferenza. Lì, in silenzio, ad aspettare e a sperare.

Per concludere: la situazione degli infermieri italiani. Come la vedi?

Questo è un periodo difficile. Per tutti.

E noi infermieri, anche se in qualche modo continuiamo a “tirare la carretta”, non ne siamo esenti. Non siamo molto considerati e compresi, questo è il problema. Molti miei colleghi fanno le stesse cose che faccio io, eppure non hanno un riconoscimento adeguato.

Perché? Perché la figura dell’infermiere per tanti anni è stata come nascosta. Come se chi compone la categoria avesse paura di raccontare le cose belle e le conquiste che, quotidianamente, gli infermieri riescono a fare.

Sarebbe importante che tutte le persone, infermieri compresi, che fanno dal più semplice al più complicato lavoro, credessero fino in fondo in quello che fanno.

Alessio Biondino

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