Sfogo di una infermiera “Nel Bel Paese dalla passione alla frustrazione è un attimo”

"Eppure io volevo curare la persona, volevo ESSERE infermiera". Un pensiero forte quello dell'infermiera. Uno sfogo che diventa una vera e propria denuncia contro un sistema fuori controllo che, a volte, allontana il merito e vede soccombere operatori sanitari e pazienti in una logica perversa

“Eppure io volevo curare la persona, volevo ESSERE infermiera”. Un pensiero forte quello dell’infermiera. Uno sfogo che diventa una vera e propria denuncia contro un sistema fuori controllo che, a volte, allontana il merito e vede soccombere operatori sanitari e pazienti in una logica perversa.

Lo sfogo di un’infermiera che decide di lasciare questa professione

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Gentile Direttore di Nurse Times,

Quando scelsi di diventare infermiera avevo passione da vendere, ero entusiasta, non vedevo l’ora. Non ho mai visto il mio lavoro come missione, bensì vedevo la mia professione al servizio del paziente.

Aiutare le persone in disagio mi faceva sentire realizzata, appagata, mi sentivo utile. Non sempre si riusciva a curare la malattia, per questo non ho voluto fare il medico.

Io volevo curare LA PERSONA, assisterla, prenderla in carico, in qualsiasi condizione o circostanza, comprese le fasi del fine vita.

Curare la persona a prescindere dalla sua malattia. Ho scelto la mia professione per questo. Per sentirmi d’aiuto, per sentirmi di supporto, per donare un sorriso ed una mano a chi attraversava un momento breve o lungo di difficoltà.

Oggi dopo anni di esperienza lavorativa, penso di dover cambiare professione.

Mi trovo in una realtà dove non si lavora più per il paziente ma per la propria gloria. Ci si vuole sentire un piccolo Dio; si vuole avere la priorità nel mettere in pratica la propria tesi per un senso di appagamento personale, per la propria vittoria e rivalsa su tesi differenti.

Vedo alcuni medici contendersi pazienti e giocare a dadi con le loro vite. Vedo alcuni infermieri privi di passione, che aspettano il 27 e si limitano ad eseguire MANSIONI. Esatto mansioni. Eppure il mansionario è stato abrogato decenni fa, eppure la nostra professione si è evoluta. Si, evoluta sulla carta.

Vedo colleghi ciechi a tutto ciò e che soccombono all’andazzo di sempre. Per paura o per adattamento. Vedo che si lavora individualmente e non in team, per il benessere della persona.

Vedo persone ai vertici e coordinatori che dovrebbero sorvegliare e impedire certe dinamiche, coprirle e andare contro chi vuole rompere il muro dell’omertà.

Vedo pazienti timorosi di cadere in chissà quali mani, vedo persone fragili, ignorate, non supportate, non prese in carico.

Vedo malcontento negli occhi di chi dovrebbe prendersi cura di loro, rassegnazione, depressione, svogliatezza, apatia. Si lavora per inerzia.

Ognuno pensa al proprio orticello e ci si dimentica che il paziente prima di essere tale è una persona.

Ci si dimentica che solo il lavoro di squadra, con un unico obiettivo, porta alla buona riuscita. Ci si dimentica il primo interesse di ogni operatore sanitario. Ci si dimentica che siamo tutti a servizio e nessuno è al di sopra dell’altro, non è un gioco a chi ha più potere. Si vince e si perde insieme.

Belle parole. Utopie. Dimenticate. Per volere o per adeguamento ad un sistema marcio. Mi ritrovo a scegliere tra la frustrazione che deriva dall’adattamento a lavorare contro ogni protocollo e linea guida e la consapevolezza che battermi per gli stessi non porta cambiamento, se non agitazioni e ritorsioni. Ebbene si, ritorsioni e minacce. 

Mi ritrovo a scegliere tra professionista disoccupata e sotto provvedimento disciplinare per aver difeso il paziente e la propria professionalità e dipendente adattata ad un sistema che ti calpesta e che non solo mette a rischio te stessa, ma nuoce al paziente.

Senza parlare del demansionamento, del carico di responsabilità non controbilanciato con un giusto riconoscimento economico e sociale, della mancanza di crescita professionale (nasci infermiere e devi sperare di non morire meno di tale, si va indietro e non avanti), dei turni sotto organico privi di organizzazione, della stanchezza e stress che ti porti fuori dal lavoro che non ti permette una vita sociale, privata, soddisfacente.

Della consapevolezza che i furbetti trovano gli escamotage e gli onesti hanno la peggio; perché tutti sanno e nessuno parla.

Della consapevolezza di una dilagante ed inarrestabile corruzione coperta dall’omertà. Mi ritrovo così a lavorare per inerzia, a tornare a casa frustrata da un sistema che calpesta la tua identità di professionista e in ansia sperando che non si è arrecato danno. Eppure io volevo curare la persona. Volevo ESSERE infermiera. Eppure nonostante la mia passione mi sono rassegnata alla consapevolezza che nulla cambierà e che esporsi ti danneggia.

Mi sono rassegnata a non essere difesa da chi dovrebbe prendere posizione contro meccanismi MALSANI promuovendo il cambiamento positivo. So che tutto ciò non avverrà mai, so che l’Italia è questa. O ti adatti o ti schiaccia.

Ora so che voglio cambiare lavoro e se serve Nazione. Resto nell’anonimato perché qui chi denuncia viene penalizzato e resta isolato”.

La Redazione di Nurse Times invita tutti coloro che vivono situazioni professionali simili a denunciare agli organi preposti ogni “presunto” reato.

Ricordiamo a tutti i nostri lettori che è stata approvata nel 2017 la legge sul WhistleBlowing: il dipendente che denuncerà reati è tutelato dallo Stato Italiano.

Chi segnalerà irregolarità, reati o casi di corruzione in ambito lavorativo pubblico o privato riceverà una tutela dell’identità oltre alla garanzia di non subire alcuna ritorsione sul lavoro ne atti discriminatori.

Il dipendente (pubblico o privato) che dovesse segnalare all’Autorità nazionale anticorruzione o denunciare all’autorità giudiziaria condotte illecite, di cui sia venuto a conoscenza grazie al proprio rapporto di lavoro, non potrà essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa che potrebbe avere effetti negativi.

In aggiunta non avranno alcun valore eventuali atti discriminatori o ritorsivi adottati dal datore di lavoro. L’identità del segnalante non potrà in alcun caso essere rivelata.

Spetterà al datore di lavoro dimostrare che le misure ritenute discriminatorie dal dipendente, siano motivate da ragioni estranee alla segnalazione da parte del dipendente.

Redazione Nurse Times

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