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Scarcerata l’infermiera di Piombino accusata di tredici omicidi

E’ di queste ore la notizia della scarcerazione di quella che, forse un po’ troppo frettolosamente, è stata soprannominata “l’infermiera killer” dell’ospedale di Piombino

Se è vero, come è vero, che un arresto non fa un colpevole, così come un buon avvocato non fa un innocente, c’è da dire che tutto in questa triste vicenda pare amplificato, abnorme.

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E’ abnorme, nella sua enormità, la sfilza di reati contestati. Lo è la quantità di ricostruzioni, quasi tutte fantasiose, dato che gli atti non risultano disponibili nella loro interezza per il pubblico, che si sono viste in questi giorni.

L’Italia subito si è divisa, non perdendo un attimo come sempre in questi casi, tra colpevolisti ed innocentisti.

Sono partiti i salotti televisivi con relativo immediato attacco a tutta la categoria infermieristica che, per un paio di giorni almeno, è sembrata essere composta, almeno così la si è voluta far passare, da una moltitudine di pazzi psicopatici pronti ad esplodere.

Il buon Bruno Vespa, forse, non ha fatto un plastico solo perché era oggettivamente difficile farlo….alla fine a cosa sarebbe servito vedere nel dettaglio i box del reparto?
Non ci ha fatto però mancare la criminologa di turno, che si è spinta a dire sapendo oggettivamente quello che sappiamo noi, cioè quasi nulla, “qui abbiamo a che fare con una serial killer!”, il professorone in studio e l’infermiera, la presidente Mangiacavalli, in remoto, che si è cercato in tutti i modi di mettere in difficoltà.

Le chiacchiere tipiche di salotti televisivi di quel tipo. Chiacchiere, appunto. Ma bollarle così non può essere abbastanza.
Lo sarebbe se si fosse parlato in astratto. Purtroppo in una vicenda che di certo ha solo la presenza di tredici vittime, o più, tutte da valutare nel particolare, si è scelto di farne comunque una quattordicesima.

Nel paese che ha una delle legislazioni inerenti la privacy più stringenti al mondo, almeno sulla carta, è stato possibile, per qualche strano motivo, sbattere in prima pagina non solo l’evento, e nulla ci sarebbe stato da eccepire ma nome, cognome, indirizzo, nome del coniuge, e tutto quanto concerne a questa imputata.

Non si abbia, ci tengo a sottolinearlo, l’impressione che chi scrive sia un innocentista. Quanto si ipotizza mi fa orrore come persona e come professionista. Se ci si dovesse trovare, come ipotizzato dagli inquirenti, di fronte ad un “angelo della morte”, che è bene ricordarlo non è un infermiere stressato ma un serial killer, sarebbe giusto che la collega, che a quel punto davvero faticherei a definire tale, fosse condannata e che scontasse fino all’ultimo giorno la sua pena.

Credo però che sia necessaria maggiore moderazione e una sana sospensione del giudizio, in primis per rispetto alle vittime che hanno bisogno che sia trovato IL colpevole e non UN colpevole.

Il dubbio, però, anche alla luce di quanto avvenuto oggi, con la scarcerazione cioè di una imputata di tredici omicidi, credo possa e debba insinuarsi in chiunque si approcci a questo caso in maniera intellettualmente onesta:

E se questa infermiera fosse scagionata?

Se si scoprisse che il castello accusatorio non regge?

Quale vita personale e professionale le rimarrebbe?

Chi renderebbe la credibilità a lei e ad uno staff, quello dei colleghi infermieri e medici di Piombino, che in questo momento si trova sotto i riflettori di una nazione intera per eventi che, se pure necessitano di approfonditissime valutazioni, sono ancora tutti da comprendere e provare?

Sono domande che tutti noi dobbiamo porci. Sono domande che, più che altro, molti giornalisti avrebbero dovuto porsi giorni fa, prima di sbattere l’ennesimo “mostro”, e con lui tutta la sua famiglia, compresa quella professionale, in prima pagina.

Un “mostro”, e questo è uno dei pochi fatti certi in questa brutta vicenda, che oggi è stato scarcerato dal tribunale del riesame di Firenze.

Attendiamo fiduciosi Bruno Vespa per le prossime puntate, in attesa del vero processo…quello all’imputata, ovviamente……e non ad una categoria intera che non lo merita e non intende subirlo.

Roberto Romano

Redazione Nurse Times

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