Lavorare all'estero

Risposta al ministro Poletti “Sono un’infermiera, una di quelle che ha scelto questo lavoro per amore”

"Se 100.000 giovani se ne sono andati dall’Italia, non è che qui sono rimasti 60 milioni di pistola… Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi"

“Se 100.000 giovani se ne sono andati dall’Italia, non è che qui sono rimasti 60 milioni di pistola… Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”

A qualche settimana da quelle infelici affermazioni del ministro del lavoro Poletti, in riferimento al fenomeno migratorio che sta interessando migliaia di giovani italiani che testimonia la forte crisi occupazionale che sta attraversando il nostro paese, vi proponiamo la risposta di una infermiera italiana indignata, che da un anno e mezzo lavora in UK.

Preston, 27 gennaio

….di Loretta STELLA

Caro Ministro Poletti,

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sono a scriverLe questa lettera non tanto per criticarLa quanto per portarLa a riflettere su quelle che sono state le Sue parole. Sono Loretta, una ragazza di 25 anni e che da un anno e mezzo vive in una città del Regno Unito.

Vivo all’estero certo, ma non manco di seguire quello che accade nel mio amato paese e di pensare a questo come alla mia casa.

Quando ho ricevuto notizia della Sua povera quanto offensiva affermazione, ho provato pena più che rabbia per una persona che oltre a non essere pienamente consapevole di quello che usciva dalle proprie labbra, non era nemmeno consapevole di quello che significhi realmente lasciare tutto e partire per un altro paese, partire per l’ignoto e affrontare tutto nella più assoluta solitudine.

Le racconterò brevemente quello che è stato per me questo periodo e la invito a riflettere ancora su quello che è il suo pensiero riguardo alle migliaia di ragazzi e ragazze italiani che per una ragione o per l’altra decidono di partire.

Sono un’infermiera, una di quelle che ha scelto questo lavoro per amore e non perché “ce n’è bisogno e quindi è più semplice trovare un posto fisso”; sono una di quelle che è felice anche quando è al lavoro e nonostante l’attuale situazione degli ospedali, continua ad essere orgogliosa della propria scelta.

Era il 19 marzo 2015 quando sostenevo un colloquio per un posto di lavoro presso il Lancashire Teaching Hospital di Preston, ancora dovevo indossare la tanto agognata corona d’alloro ed affrontare il temuto esame di Stato che già questo ospedale mi desiderava come parte del proprio team.

Ad aprile mi laureo e rientro a casa dopo tre anni di università per condividere tre mesi con la mia famiglia prima di una partenza con un biglietto di sola andata.

In questi tre mesi lavoro sodo e mi prendo cura di nonna per poter raccogliere una somma necessaria ad affrontare l’inizio di una nuova vita senza pesare ulteriormente sulle spalle dei miei genitori.

Loro sono agricoltori e a differenza Sua, di agricoltura ci vivono e con grandi sacrifici mi hanno dato la possibilità di realizzare il mio sogno. A luglio parto e ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri.

Ricordo che era una calda e soleggiata giornata d’estate, ricordo di aver chiuso la mia valigia da 23 kg e di aver abbracciato la mia famiglia, uno ad uno sul ciglio del marciapiede di casa.

Ricordo ancora quegli abbracci forti, quelli che si danno perché durino più a lungo degli altri e perché ti permettano di affrontare i giorni di sconforto grazie a quel calore, ricordo ancora le lacrime di mio nonno e la sua voce interrotta che cercando di consolarmi mi disse “No sta piander, le sol che do ore de aereo!”

Ricordo di essere salita in macchina e di aver guardato indietro fino a che l’albero non mi ha fatto capire che da quel momento quell’immagine sarebbe divenuta un ricordo al quale aggrapparsi. Ricorderò per tutta la vita l’abbraccio con papà, gli occhi pieni di lacrime di mamma e i visi persi di quanti mi avevano salutato.

Caro Ministro, lei non ha idea di quanto sia difficile sollevarsi da terra, guardare la meravigliosa Laguna di Venezia farsi piccola sotto di sé e ripensare a tutto quello che si è lasciato.

E così non ha neppure idea di cosa voglia dire arrivare in un paese nuovo, con una nuova lingua e iniziare a costruire qualcosa con due persone che fino a quel
giorno erano complete sconosciute; entrare in una nuova casa, dover pulire e riorganizzare tutto quello che sconosciuti prima di te hanno lasciato; non avere nulla da mangiare

o con il quale cucinare qualcosa che ti ricordi casa se non una Moka da caffè a mantenerti fedele alle tradizioni italiane.

E che dire di andare al supermercato senza sapere da dove cominciare e dove trovare il cibo che ovviamente ha un altro nome?

Scoprire che non troverai il banco degli affettati e che potrai scordarti il profumo di pane fresco appena sfornato?

E poi la prima notte arriva, con i suoi 15° inglesi e tu non hai nulla con cui coprirti (se non un plaid che fortunatamente hai portato con te) o un cuscino su cui dormire (e allora riempi una federa di vestiti finché non ne compri uno).

Poi finalmente scopri la città, sbagli strada, ti perdi, fai la spola con piatti e stoviglie, scope e tutto quello che ti serve, sotto la pioggia e rigorosamente a piedi perché ovviamente l’autobus non ti porterà fino alla porta di casa.

E così arrivano i documenti da fare, i contratti da firmare, un conto in banca da aprire, i corsi da frequentare, le divise da prendere, un inglese maccheronico con cui comunicare e finalmente anche il tuo primo giorno di lavoro. E allora se prima eri spaventata ora sei terrorizzata, intimorita da coloro che incontri, dalle domande che potrebbero farti o dalle parole che non riusciresti a capire.

Ti senti un pesce fuor d’acqua, temi il dover rispondere al telefono e ti manca la saliva
quando ti vedi costretta a chiedere qualcosa ad un medico o alla tua caposala. Ti senti straniera fino all’osso e per quanto accoglienti possano essere le persone tu sarai sempre il diverso, sarai di un altro paese e avrai delle idee diverse.

E ce ne metterai di tempo per farti apprezzare, per sentirti bene, per farti amare, per essere felice.

Eh già, ce ne vuole di tempo: mesi, anni o forse una vita intera.

E poi succede che una mattina ti telefonano dall’Italia, nonna sta male e potresti non rivederla!

E mi creda Ministro che quelle due ore di cui mio nonno parlava diventano un’eternità quando sono a dividerti da coloro che ami. Si perché nessuno sa quanto sia difficile essere lontano da tutti, non esserci quando qualcuno sta male o non poter tornare in
tempo; non esserci ai compleanni, a Natale o a Pasqua; non esserci quando i tuoi amici diventano madri e padri; non esserci per vedere i bimbi crescere od i capelli imbiancare; non esserci quando c’è da festeggiare qualcosa o anche nella semplice quotidianità.

E col tempo queste mancanze ti pesano, ti ci abitui certo ma rimangono sempre lì, ti ricordano che nonostante tu sia felice, ti stai perdendo tutto ciò.

Perdi le relazioni, alcuni amici si allontanano e tornare a casa ti porta a sentirti un’estranea ogni giorno di più.

Ci ha pensato a tutto quello che si prova lasciando il proprio paese?

Ci ha mai pensato a tutto quello che noi perdiamo?

Alle occasioni che manchiamo, alla possibilità di diventare mogli/mariti o madri/padri che posticipiamo nel tempo perché ora non ce lo possiamo permettere, perché magari non è così che vorremmo crescere una famiglia, perché non è questo che vorremmo dare ai nostri figli o perché semplicemente ora non abbiamo le energie necessarie a pensare a nessun altro oltre a noi.

E in tutto questo cambiamento trovi forza e coraggio che non sapevi di avere, l’equilibrio che ti permette di affrontare tutte le difficoltà della vita e finalmente
anche una grande soddisfazione.

Soddisfazione ad avercela fatta, ad essere al di sopra di persone che come Lei si limitano ad affermazioni come quelle che abbiamo sentito, ad aver costruito tutto il proprio presente grazie alle proprie fatiche, alle proprie rinunce e alla propria tenacia, soddisfazione nel potersi svegliare al mattino sentendosi fiera di sè, sentendo di poter essere felice, finalmente e nonostante tutto.

E così potrei continuare con altre cose ma credo che questo le basti per capire.

Ora la lascio Ministro Poletti e voglio lasciarla con questa riflessione: ognuno di noi prima o poi trova la felicità anche lontano da casa, sente di star bene e di essere sereno ma in fondo al cuore, dietro ogni nostro sorriso c’è l’Italia, c’è il ricordo della nostra famiglia, c’è l’affetto dei nostri amici, c’è la nostalgia di tutto ciò.

Noi amiamo il nostro paese, è la nostra casa e l’abbiamo lasciata per l’opportunità di un lavoro, di una carriera che ci appaghi, di essere realmente indipendenti e di costruire così il nostro futuro.

Forse il nostro paese non ha bisogno di noi ma noi abbiamo bisogno di lui, abbiamo bisogno di restituire tutto quello che di meraviglioso la vita ci ha insegnato e quello
che le nostre famiglie hanno dato per la nostra istruzione.

Distinti saluti.

 

Giuseppe Papagni

Nato a Bisceglie, nella sesta provincia pugliese, infermiere dal 94, fondatore del gruppo Facebook "infermiere professionista della salute", impegnato nella rappresentanza professionale, la sua passione per l'infermieristica vede la sua massima espressione nella realizzazione del progetto NurseTimes...

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Giuseppe Papagni

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