Rischio infettivo, il ruolo centrale dell’infermiere

Consapevolezza del proprio ruolo e cultura professionale di alto livello differenziano il semplice spettatore dall'attore principale nella tutela della salute

Consapevolezza del proprio ruolo e cultura professionale di alto livello differenziano il semplice spettatore dall’attore principale nella tutela della salute.

La gestione del rischio infettivo e delle infezioni correlate all’assistenza, nel Sistema sanitario italiano, è sempre più centrale e ha un impatto su tutta la Clinical Governance, tanto da avere un peso specifico molto alto, visto l’impatto che possiede in termini di livelli assistenziali, di qualità e di costi per la salute.

Uno spunto di riflessione proviene da un articolo uscito nei giorni scorsi sul quotidiano La Stampa, che tratta di uno studio, apparso sulla rivista scientifica Social Science and Medicine, sulla correlazione tra esternalizzazione dei servizi di pulizia e infezioni da Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA). Lo studio è stato commissionato dal Sistema sanitario nazionale britannico (NHS) e dalla Care Quality Commission. Il risultato è una percentuale significativa: il 15% in più di infezioni a carico delle strutture che appaltano i servizi di pulizie a ditte esterne, rispetto a quelle che non lo fanno.

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C’è da riflettere su questo dato, proveniente da un fenomeno che ha sempre più preso piede anche in Italia: quello di esternalizzare i servizi da parte delle strutture ospedaliere che, inevitabilmente, da luogo a dinamiche impattanti sulla gestione. Scelte fatte in virtù della sempre più pressante richiesta di tagliare i costi in sanità. Di contro, però, i costi delle infezioni ospedaliere sono esorbitanti e sono soprattutto la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria.

Si definiscono “infezioni correlate all’assistenza” quelle insorte durante il ricovero in ospedale o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Sono l’effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall’altra consentono l’ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili.

Un altro elemento cruciale da considerare è l’emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico. Quello delle infezioni batteriche antibiotico-resistenti è un grosso problema a livello mondiale. L’italia ne è in particolar modo colpita. Secondo il rapporto annuale dell’European Center of Disease Control (ECDC), redatto con i dati del sistema di sorveglianza Ears-Net dell’Unione Europea, l’Italia è al primo posto per uso di antibiotici e, dopo la Grecia, è il Paese con il più alto tasso di microrganismi resistenti agli antibiotici.

Per quanto riguarda lo Staphylococcus aureus, il primo studio di sorveglianza a livello nazionale è stato pubblicato nel 2012 e ha mostrato che le “infezioni sostenute da questo microrganismo rappresentano l’11,6% di tutte le infezioni nosocomiali nei nostri ospedali, in linea con i dati di incidenza europei”. Sappiamo bene, come operatori sanitari, che lo Staphylococcus aureus è un batterio resistente a farmaci di uso sistemico, anche di nuova generazione, capace di cronicizzare e quindi di difficile eradicazione.

Rispetto al tema che sto trattando è d’uopo ricordare come la centralità del ruolo dei professionisti dell’assistenza, gli infermieri, abbia un alto peso specifico. In particolare, la società scientifica Anipio

(Società scientifica nazionale infermieri specialisti nel rischio infettivo) ha come obiettivo proprio la diffusione delle best practice, attraverso la sua attività didattica e operativa. A tal proposito, riporto il punto di vista e gli approfondimenti sull’igiene ambientale.

L’igiene ambientale è la pietra miliare per il controllo del rischio infettivo e rappresenta un elemento importante per la sicurezza delle cure e per il benessere delle persone (pazienti, visitatori, operatori sanitari) che soggiornano nell’ambiente ospedaliero. Germi e microrganismi patogeni sono infatti capaci di persistere nell’ambiente in un arco temporale che può andare da alcune ore fino addirittura a mesi.

Basti pensare che un paziente ricoverato in un ambiente dove precedentemente è stato ospedalizzato un degente con infezione o colonizzazione di microrganismi multiresistenti fa aumentare il rischio infettivo di 3,5 volte per l’Acinetobacter Baumani, di 2,5 per il Clostridium difficile, di 1,75 per l’Enterococco Vancomicino resistente e di 2 per lo Pseudomonas Aeuroginosa.

L’igiene ambientale richiama il livello di responsabilità di tutti gli operatori sanitari nel promuovere un ambiente pulito e sicuro. E’ un obiettivo assai difficile da raggiungere in quanto esito di numerosi fattori che inevitabilmente si integrano. Fattori come:

  • l’edilizia sanitaria
  • le tecnologie
  • le soluzioni detergenti e disinfettanti
  • le conoscenze e le competenze degli operatori addetti alla pulizia e alla disinfezione ambientale
  • le procedure di buona pratica di pulizia e disinfezione secondo la mappatura del rischio ambientale
  • il monitoraggio e la valutazione degli standard di pulizia
  • la definizione degli standard di pulizia e disinfezione secondo le policy aziendali.

Sulla centralità del ruolo del professionista infermiere, in particolare della specialista del rischio infettivo, molto è stato scritto e prodotto. Ciò che serve è una strategia d’azione condivisa e multidisciplinare, che va implementata all’interno della gestione del rischio clinico. Investire, quindi , sulla formazione degli operatori, sulla cultura dell’adozione delle “best practice” e su protocolli operativi fruibili dagli operatori coinvolti nel contesto dell’assistenza. La multidisciplinarietà dell’approccio alla gestione del rischio infettivo è la risorsa più importante e auspicabile in una visione comune che punti all’innalzamento della cultura della sicurezza e della qualità delle cure erogate.

L’infermiere interviene, con la sua opera, in tutte le fasi della tutela della salute: dalla prevenzione alla riabilitazione, passando per l’assistenza della persona ospedalizzata. Una consapevolezza forte e una cultura professionale specifica e di alto livello rendono possibile la differenza tra l’essere un semplice spettatore e l’essere un attore principale, che abbia la possibilità di migliorare gli outcome per un fine nobile come quello della tutela della salute della persona assistita.

Anna Di Martino

Approfondimenti:

 Fonti:

Anna Di Martino

Infermiera Strumentista, attualmente nella specialità di cardiochirurgia, Autore per Nurse Times, Master in Coordinamento, Master "Strumentista di so", studentessa magistrale presso UNICH, rappresentante di sezione regione Abruzzo per la Società scientifica ANIPIO

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Anna Di Martino

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