Una bocciatura sonora del regionalismo differenziato in ambito sanitario arriva dai primi risultati della consultazione pubblica che la Fondazione Gimbe ha lanciato dal 6 al 17 febbraio scorso, subito dopo che il Consiglio dei ministri era stato convocato per analizzare le proposte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, concludendosi con una sostanziale battuta d’arresto. Una gelata cui ha contribuito anche la diramazione del documento M5S contrario all’avvio dell’intero processo, in mancanza di una previa fissazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni) e di un corretto conteggio dei fabbisogni standard, da affidare alla Commissione tecnica ad hoc.
La consultazione Gimbe chiedeva di stimare l’impatto di ciascuna autonomia in sanità sulle diseguaglianze regionali tramite uno score da 1 (minimo) a 4 (massimo), con la possibilità di astenersi e di aggiungere commenti. A rispondere, un campione rappresentativo della popolazione italiana: 3.920 persone, che hanno inviato 5.610 commenti ciascuna, pari a 1,43 per partecipante. Un campione esperto: il monitoraggio era stato divulgato tramite i canali della Fondazione alla Camera dei Deputati, alle Regioni, a Fnomceo e Fnopi, Cittadinanzattiva e Conaps, Associazione Epac, Federspecializzandi, vari sindacati (Cimo, Snami, Sindacato nazionale Area radiologica, Cgil Toscana e Veneto, Anaao Assomed Veneto, Sumai Lombardia, Nursind) e decine di testate giornalistiche.
E forse proprio la competenza di chi ha risposto spiega la bassa percentuale di “Non so” (range del 2-8,2%) e l’alto numero di commenti. Che mostrano tutti l’allerta su un aumento delle diseguaglianze regionali in sanità (media score tra 3 e 3,4) e preoccupazioni sull’imprevedibilità delle conseguenze del regionalismo, sull’acuirsi della spaccatura tra Nord e Sud del Paese, con un aumento del gap tra Regioni ricche e povere, e sulla differenziazione del diritto costituzionale alla tutela della salute.
«Il fatto che le risposte siano tutte sopra il punteggio 3 – spiega il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta (foto) – implica che tutte le autonomie sono considerate pericolose. Non solo: è emerso anche che non si può gestire le tre proposte come se fossero un’unica istanza, perché alcune autonomie hanno determinati contenuti e altre no. Il regionalismo differenziato non è un fenomeno univoco, perché le richieste delle tre Regioni sono guidate da differenti presupposti politici ed economici: dalla definizione degli ambiti su cui orientare le strategie di sviluppo regionale, senza contrapposizione con il Governo (Emilia Romagna), alla capacità istituzionale nella gestione efficace ed efficiente dei servizi con acquisizione di risorse aggiuntive tramite trasferimento della spesa statale regionalizzata e possibilità di disporre di entrate proprie (Lombardia), sino alla necessità di raggiungere la totale autonomia, finanziata anche dalla riappropriazione del residuo fiscale (Veneto)»
.E le proposte? «Ogni persona ha inviato un commento e mezzo. Il concetto generale è che, se le Regioni assumono più autonomia, lo Stato deve potenziare la sua capacità di indirizzo e verifica. Un tema di cui non si parla affatto e che invece andrebbe messo al centro dell’agenda, a fronte di istanze pure legittime delle singole Regioni. Il secondo è il meccanismo della solidarietà tra Regioni, che poi è al centro del progetto di legge proposto da Cittadinanzattiva: chi ha maggiore capacità aiuta chi è più debole. Un sistema che vedo di difficile attuazione tra Regioni con colori politici diversi».
Ecco i risultati della consultazione pubblica Gimbe.
Redazione Nurse Times
Fonte: www.ilsole24ore.it
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