Stamane poco dopo le 6.30 tra le macerie è stato ritrovato il suo corpo assieme a quello del marito. Selene era al nono mese di gravidanza.
Ve la immaginate l’esplosione di Ravanusa, il boato, il crollo.
Trovarsi improvvisamente sotto le macerie della dimora di una vita, addosso. Ve la immaginate l’infermiera Selene, infermiera al Pronto Soccorso, avvezza a gestire le emergenze. Io me la immagino con la sua faccia rassicurante, abituata a sussurrare al paziente in pericolo di vita: stia tranquillo non è grave, presto starà meglio.
Ve la immaginate l’infermiera con un bimbo in grembo che sarebbe nato di lì a poco, intorno al 25 dicembre. Chissà quante volte, scherzando con il marito, si sarà chiesta se fosse nato a Natale come Gesù Bambino.
I soccorritori mi sembravano un gregge smarrito, e spesso lo siamo.
Poche volte siamo ripagati. Com’è lontana Ravanusa.
Come sono lontane le luci di Natale che si accendono e si spengono. A volte mi vien voglia di cambiarle, sul mio balcone, quelle intermittenti, sebbene sembrino giocose con quel loro tintinnare, sotto gli sguardi incantati dei bambini, a volte si fermano per alcuni secondi in un buio atroce, tanto che sarebbe meglio averle sempre accese, bianche, senza colori.
Ve lo immaginate il bimbo in grembo, che non aveva idea di cosa potesse voler dire nascere a Natale, ma nemmeno di cosa potesse voler dire nascere. Si sta così bene qui dove sono.
Quando la madre ridendo diceva: ci pensi se nasce a Natale.
Lui restava perplesso: che sarà mai se nasco a Natale, e intanto un’onda partita da una carezza smuoveva tutto quel mistero.
Poi il boato. Le macerie, il peso sull’addome. Una carezza.
Quanto sono ripugnanti le pietre.
Ma è così che si nasce? Si sarà chiesto. Con tutto questo chiasso.
Cosa sto dicendo. Nulla.
Com’è lontana Ravanusa, oltre il mare, oltre le nostre preoccupazioni, i presepi, le classifiche, i patrioti. È che la maggior parte dei pensieri non li comprendo più, sotto pochi raggi di sole.
E mai, quanto sotto le macerie, dev’essere devastante, star soli sul cuor della terra.
Rino Negrogno
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