Massimo Randolfi

Presto addio alla contenzione nelle strutture sanitarie?

Nel corso della conferenza sul Nursing Abilitante tenutosi a Trieste il 30 marzo scorso è stata firmata la Carta Europea della Non Contenzione

Nel corso della conferenza sul Nursing Abilitante tenutosi a Trieste il 30 marzo scorso è stata firmata la Carta Europea della Non Contenzione

Il nostro Paese partì molto indietro nel tempo, all’inizio del secolo scorso con una normativa (Regio Decreto 615 del 1909, attuativo della Legge Manicomiale del 1904) che consentiva, nel rispetto di una procedura molto precisa e rigorosa, il ricorso alla contenzione quale evento eccezionale, nell’ambito delle strutture psichiatriche esclusivamente pubbliche, mentre in quelle private ne veniva fatto divieto.

Successivamente la nostra carta Costituzionale all’art. 13 ha sancito che la “libertà personale è inviolabile” e, di conseguenza, tutto ciò che tende ad andare contro questo enunciato deve essere rigorosamente motivato e calarsi all’interno dei soli casi e modi previsti dalla legge, caratterizzandoli in modo molto specifico con i termini dell’eccezionalità, necessità ed urgenza.

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Questo ha fatto sì che nel nostro Paese non sia mai esistita una legge che potesse esplicitamente o implicitamente consentire il ricorso alla contenzione in qualsiasi ambito, incluso quello sanitario.

Chi sino ad oggi ha potuto legittimare la decisione dell’utilizzo di mezzi di coercizione più o meno invadenti ed evidenti, è passato da un lato attraverso l’interpretazione degli artt. 52 e 54 del Codice Penale, dove uno stato di necessità impone un agire a salvaguardia dell’incolumità del singolo e di coloro che gli sono in prossimità, decisamente limitati ed attenuati dagli artt. 605 e 610 sempre del medesimo codice.

Anche gli artt. 3, 30 e 33 dell’attuale Codice Deontologico Infermieristico se ne occupano sempre dal punto di vista della salvaguardia della libertà e dignità della persona, in quanto valori giuridicamente tutelati.

Il deciso passo in avanti che si è voluto fare certamente deriva da una situazione purtroppo diffusa che è quella di un utilizzo improprio di strumenti che di fatto limitano la libertà personale non sempre a vantaggio della tutela dell’incolumità dei pazienti, ma avvantaggiano l’organizzazione di una struttura o di un’Unità Operativa nel momento in cui non si è nelle condizioni di poter tenere sotto stretta sorveglianza persone prevalentemente anziane, dementi o disabili psichici.

Nel 2010 è stato condotto uno studio osservazionale da parte dei Collegi IPASVI che ha messo in evidenza percentuali importanti di pazienti sottoposti a contenzione fisica in diverse tipologie di strutture, cosa che non poteva essere giustificata se non da motivi organizzativi e quindi del tutto estranei ad una reale condizione di eccezionalità, necessità ed urgenza.

La neonata Carta di Trieste al punto 3 stabilisce che “l’assistenza sociosanitaria costituisce un diritto del cittadino, e il rapporto fra l’equipe e la persona deve basarsi su una relazione orizzontale di rispetto, cittadinanza e di garanzia dei diritti” e al punto 6 che “Dobbiamo intendere la libertà al di là di una dimensione puramente filosofica, etica e di diritto, e considerarla anche quale elemento imprescindibile e fondante della salute fisica del paziente, oltre che quella psicologica e sociale”.

L’impatto psicologico dell’utilizzo della contenzione non può che essere profondo, non solo per i pazienti ma anche per i parenti e familiari nel vedere un loro congiunto o immobilizzato meccanicamente o sedato con l’utilizzo di farmaci, in questo caso non a scopo terapeutico ma repressivo di una sintomatologia.

Devono essere gli stili professionali e i contesti operativi a dover adattarsi alla esigenza di tutela dei beni giuridici, non il contrario.

Del resto non solo esistono SPDC che rifiutano per principio la contenzione, ma la commissione di inchiesta parlamentare sul SSN, ha rilevato che in alcuni di essi la contenzione, almeno meccanica, è stata completamente abbandonata e ne ha dedotto che questa tecnica di controllo non è indispensabile nemmeno in contesti particolarmente difficili.

Servono quindi modelli alternativi che possano consentire un salto di qualità in questo senso, rendendo la contenzione neppure più come estrema ratio, ma evento non ulteriormente contestualizzabile, quindi diamo il benvenuto alla Carta di Trieste che serva di auspicio e motivo per iniziare un percorso che ci conduca alla possibilità di mettere in atto strategie e comportamenti, sempre più rispettosi della dignità che ciascuna persona ontologicamente possiede.

Di seguito gli 8 punti della dichiarazione di Trieste:

1. L’invecchiamento della popolazione esige misure urgenti allo scopo di sensibilizzare i professionisti del settore sociosanitario, sulla necessità di promuovere le competenze delle equipe multidisciplinari, in maniera diffusa e gratuita, affinché nella loro azione quotidiana abbiano sempre in mente la garanzia dei diritti della popolazione anziana, soprattutto di quella che presenta maggiore vulnerabilità.

2. Per raggiungere tale obiettivo, è necessario che vi sia un’assunzione di impegni da parte delle equipe nonché la diffusione della cultura della Non Contenzione, dovendo la pratica essere coerente con i principi costituzionali che garantiscono la libertà della persona;

3. L’assistenza sociosanitaria costituisce un diritto del cittadino, e il rapporto fra l’equipe e la persona deve basarsi su una relazione orizzontale di rispetto, cittadinanza e di garanzia dei diritti;

4. Deve essere eliminata dalle pratiche sociosanitarie la contenzione, sia essa fisica, farmacologica o ambientale, in quanto incompatibile con la garanzia costituzionale della libertà, così come con il principio di dignità della persona;

5. Si riconosce la necessità di un lavoro permanente di sensibilizzazione nei confronti della comunità per il cambiamento culturale e passare da un paradigma paternalista basato sulla soddisfazione del bisogno e sulla assistenza come carità, verso un paradigma basato sulla garanzia dei diritti;

6. Dobbiamo intendere la libertà al di là di una dimensione puramente filosofica, etica e di diritto, e considerarla anche quale elemento imprescindibile e fondante della salute fisica del paziente, oltre che quella psicologica e sociale.

7.  Le persone hanno il diritto/dovere di partecipare individualmente e collettivamente ai percorsi di cura e assistenza.

8.  I Governi sono responsabili del livello e del rispetto dei diritti nei processi di cura dei propri cittadini.

 

 

Dario Porcaro

Fonte

www.triesteprima.it

Redazione Nurse Times

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