OSS e pratiche infermieristiche invasive: l’Accordo che li abilita c’è, ma…

…Sembra proprio che molti, inquietanti e sacrosanti dubbi rimangano…

Alcuni colleghi e non, commentando il nostro articolo “A Roma gli OSS vengono ‘abilitati’ a pratiche infermieristiche invasive” ci hanno ricordato che esiste una legge che, a livello nazionale, riferendosi strettamente all’assistenza domiciliare di pazienti tracheostomizzati, abilita di fatto i caregiver e gli altri operatori che si avvicendano a casa del paziente all’aspirazione tracheobronchiale, previa una “adeguata” (che vorrà mai dire…? Chi è che lo stabilisce? E come?) formazione.

Sì, c’è. Trattasi di una sorta di rettifica dell’Accordo Stato Regioni del 2001, datata 29 aprile 2010: “Accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concernente la formazione di persone che effettuano la tracheobroncoaspirazione a domicilio del paziente non ospedalizzato”.

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Perfetto. Sacrosanto. E ciò nonostante questa sia una procedura di stretta competenza infermieristica e in grado di scatenare complicanze più o meno importanti (VEDI) ai danni dei poveri pazienti. Il problema affrontato da noi nell’articolo precedente, però, non viene affatto risolto ri-leggendo l’Accordo: possibile che con un semplice piccolo corso complementare effettuato non si sa bene da chi e come gli OSS possano apprendere così tante nozioni e si possano esercitare come in tre anni di università e di tirocinio clinico presso gli ospedali?

Perché di fatto si tratta proprio di questo. Al termine degli pseudo corsi di cui sopra, infatti, comprendenti insegnamenti teorici

(“Anatomia e fisiologia umana, nozioni sulle principali patologie dell’apparato respiratorio, l’aspirazione endotracheale, le cure quotidiane legate alla tracheotomia, i segnali d’allerta, manutenzione del materiale, lavaggio e sterilizzazione, ripercussioni sociali e psicologiche dell’insufficienza respiratoria e della tracheotomia”… Eh la peppa, quanta roba in chissà quanto poco tempo!) e pratici (“Esecuzione in presenza dell’infermiere di almeno tre aspirazioni endotracheali comprendente la preparazione del gesto così come la manutenzione del materiale e le cure quotidiane”), di fatto si “abilitano” gli operatori socio sanitari (che non sono i caregiver, ovvero i parenti più prossimi al paziente che possono e vogliono assumersi la responsabilità delle loro azioni per aiutare il proprio congiunto, nonostante siano in possesso di ben poche competenze in ambito sanitario!) a svolgere in autonomia e sotto la supervisione di nessuno mansioni un tantino avanzate rispetto alle loro reali conoscenze. E, soprattutto, mansioni che sforano decisamente in un altro profilo professionale, quello dell’infermiere!

Ma non è tutto… Perché, rispondendo a chi ci ha accusato (in riferimento all’articolo precedente sulla questione) di non conoscere le leggi e di arrampicarci sugli specchi pur di alimentare di continuo una chissà quale “guerra fra poveri” tra infermieri e OSS, a cui non siamo affatto interessati, nell’articolo 2 di tale Accordo si legge: “La formazione dei soggetti di cui l’art. 1 è svolta da personale del Servizio Sanitario Nazionale operante presso la struttura che ha in carico il paziente”.

Ebbene… Oltre al danno, per gli infermieri, anche questa volta si è aggiunta la beffa: cosa diavolo c’entrano le cooperative e gli altri soggetti di intermediazione, di fatto privati e le cui modalità di selezione del personale sono a dir poco dubbie e di sicuro non paragonabili a quelli di una selezione pubblica per titoli ed esami, col SSN?

Perché devono essere i soggetti di intermediazione (sfruttatori per eccellenza degli infermieri) a formare gli OSS a svolgere procedure di competenza infermieristica, nonostante la legge dica ben altro? Quanto da noi denunciato nel precedente scritto raccontava proprio di questo. Ed è a dir poco assurdo.

Per quale motivo non sono le varie Asl, direttamente, col proprio personale, a formare gli operatori che si recano a domicilio dei pazienti per essere davvero sicure della loro competenza?

Perché si “lascia fare”, invece, alle varie aziende e azienducce appaltate, senza poi nemmeno controllare realmente la qualità dei servizi erogati?

Mistero… O forse no?

Alessio Biondino

Redazione Nurse Times

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