Orari ristretti e stipendi elevati: i privilegi dei medici di base

Riprendiamo dal sito de Il Giornale un’inchiesta su un tema che non smette mai di suscitare polemiche.

È una di quelle polemiche che non muoiono mai. Nelle sale d’attesa degli ambulatori, sullo stipendio dei medici di base, rimbalza sempre la stessa domanda: “Ma quanto guadagnano per lavorare così poco?”.

L’articolo 36 (“Requisiti e apertura degli studi medici”) dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i dottori di medicina generale fissa gli orari minimi di apertura degli studi professionali. Eccoli: 5 ore settimanali fino a 500 assistiti; 10 ore settimanali da 500 a 1.000 assistiti; 15 ore settimanali da 1.000 a 1.500 assistiti. Bene, ciò significa, per esempio, che un medico di base “massimalista” (così viene definito chi ha in cura il numero massimo di pazienti, fissato appunto a 1.500) può aprire il proprio studio per solo tre ore al giorno, per cinque giorni alla settimana, ed essere perfettamente in regola. Chi, invece, ne ha fino a 500, può tenere aperto appena un’ora al giorno durante la settimana. Precisiamo: il “può” non significa che poi lo faccia, ma volendo è un suo diritto.

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Sul monte ore effettivo di lavoro, Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione italiana medici di medicina generale, (r)assicura: “Poche ore? Macché, è un equivoco. Se andassimo a vedere la prima e l’ultima prestazione, ci renderemmo conto che le ore lavorate sono molte di più rispetto all’orario minimo. In media, un massimalista fa dalle 40 alle 50 visite al giorno: se i pazienti sono già dentro lo studio, è dovere del medico visitarli tutti; mica può cacciarli via”.

Ma facciamo un passo indietro e veniamo alla variabile-nocciolo della questione, ovvero a quanto (e come) 

guadagna un medico di base. Il dottore riceve una quota per ogni assistito che lo sceglie come proprio curante, cifra che è più alta per i bambini e per gli anziani. Oltre a questa quota “capitaria” fissa, riceve conguagli contrattuali e si prende anche ulteriori finanziamenti “mobili”. Per esempio, se si organizza in forme associate con altri colleghi, se assume personale di segreterie o infermieristico, se offre prestazioni in surplus (e dunque, pagate a parte) e se, infine, sostiene spese di informatizzazione (rimborsate secondo gli accordi regionali).

Una parentesi (sulla quota capitaria fissa): ogni paziente equivale a tot euro – dai 35 ai 70 euro circa – a seconda di quanti assistiti siano in dote al dottore, in modo inversamente proporzionale. In soldoni, più pazienti ha il dottore, meno vale ogni singolo paziente (35 euro circa), mentre meno pazienti ha, più vale ogni singolo assistito. Per esempio: sotto i 500, ognuno corrisponde a 70 euro.

Scotti ci spiega: “Sì, un paziente vale tra i 3 e i 4 euro lordi al mese, che è comunque una quota insufficiente rispetto ai carichi di lavoro”. Il segretario Fimmg considera reale e concreto il fatto che alcuni ambulatori siano organizzati male e pone l’accento sul problema della percezione dell’assistito: “Gli under 45, quando vanno in studio, lo trovano, spesso e volentieri, preso d’assalto da anziani, che presenziano in sala d’attesa anche più volte in settimana”.

La busta paga

Siamo riusciti a ottenere la busta paga di un medico di base “massimalista”. Diamole un’occhiata. Il lordo mensile ammonta a 7.895, che, tolte le ritenute (2.250), dà un emolumento pari a 5.643 euro e spicci. Ecco, è un netto un po’ lordo, visto che da questa somma sono (eventualmente) da togliere le spese per la gestione dello studio, quelle per il medico sostituto quando si va in ferie o si è in malattia (pari a 150 euro al giorno), oltre ai possibili conguagli Irpef e Irap. Bene, da quei 5.643 euro il vero netto si abbassa ulteriormente, a seconda delle suddette variabili.

Peraltro, la busta paga dei medici di famiglia è ferma al gennaio 2010, non essendo stata più rivalutata e adeguata alla variazione (in aumento) del costo della vita. Ciononostante, ecco che si arriva, comunque, a buste paga giustamente gonfie per l’effettiva delicatezza e importanza del lavoro del medico, ma ingiustamente sproporzionate se le ore effettive di lavoro corrispondono ai minimi previsti. Poi, ovviamente, non tutti (anzi) si attengono all’orario minimo, ma la stortura del sistema (che si basa sui soldi pubblici) è evidente.

Redazione Nurse Times

Fonte: www.ilgiornale.it

 

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