“Noi infermieri non vogliamo essere eroi in tempo di guerra ma essere rispettati come professionisti anche in tempo di pace”

Buongiorno a tutti. Mi pare abbastanza chiaro, che molte persone non abbiano ancora ben capito cosa stia accadendo al nostro Paese, nel corso di queste settimane.

Cercherò di riassumere l’attuale situazione nel modo più semplice e chiaro possibile:

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Iniziamo col dire, che, quello del cosiddetto SARS-Cov-2, da noi brevemente chiamato COVID-19, è un virus, il cui modo di agire, o meglio di “sopravvivere”, clinicamente parlando, viene da noi compreso solo ora e di conseguenza non abbiamo ancora a disposizione un vaccino per poterlo debellare.

Il concetto da tenere ben a mente, però, su questo agente patogeno, è la sua “replicabilità virale”.

A questo punto vi domando… In che modo è possibile quantificare la replicabilità di un agente patogeno?

Con R0, ovvero il numero di riproduzione.
Poniamo adesso un paragone:

Influenza stagionale

  1. R0 EPIDEMIA stagionale: 1,4 – 1,6
  2. R0 PANDEMIA: 1,8 – 2
  3. R0 COVID–19: 2,5

Risulta evidente che, se il valore di R0 fosse inferiore a 1, l’agente patogeno prima o poi sarebbe destinato ad estinguersi. Viceversa, nel caso R0 si dimostrasse maggiore a 1, questo costituirebbe un problema. Se, invece, il valore di R0 fosse uguale a 2, significherebbe che una persona avrebbe la potenziale capacità di contagiarne altre due.

Quindi, sorge necessario chiedersi: in che modo poter sconfiggere il Virus COVID-19?
Ebbene, in due modi:

  1. Vaccino: in merito a questo c’è poco da dire… le possibilità che venga messo in commercio prima del prossimo anno sono alquanto scarse.
  2. Immunità di gregge: vi chiederete… cos’è?
    E’ una condizione per cui una popolazione (nel nostro caso umana) diventa IMMUNE all’agente patogeno per una percentuale che va ben oltre il 70% della popolazione. Da premettere, che la percentuale ottimale è rappresentata dal 95%.

Come rendere, a questo punto, IMMUNI le persone?

  • Con l’utilizzo di un vaccino di massa (cosa praticamente impossibile prima del prossimo anno)
  • Per mezzo delle persone che hanno contratto la malattia e che da cui sono guarite
    Riprendendo il secondo punto, quindi, per guarire, le persone devono ammalarsi… Sì, sembra strano come concetto, ma il punto è proprio questo!

La popolazione deve ammalarsi “un po’ alla volta”. Perché se dovesse ammalarsi tutta insieme, sapete cosa accadrebbe? Si dovrebbe giungere alla scelta di chi salvare. Questo perché?
Perché, come sappiamo, la percentuale di complicanze (che può degenerare in morte) si aggira intorno al 4-6%. Attualmente i posti nelle Unità Operative, quali Malattie Infettive, Rianimazione e Unità Intensive sono veramente limitati.

Se dovessero ammalarsi 100.000 persone…parlo di piccole cifre… sapete cosa accadrebbe?
Che 5-6.000 dovranno essere ricoverati in questi reparti. Ma se i posti letto fossero occupati, dove andrebbero a finire? Questo è il vero grande problema!

Sono intervenute, in questo periodo così critico e delicato, alte cariche istituzionali, come il Governo centrale in collaborazione con i suoi Ministeri e la Direzione di Comando e di Controllo della Protezione Civile, con nuovi piani di sicurezza, anche se, in questo caso, purtroppo, ha giocato molto il fattore “tempo”.

Ritorniamo un pò ai numeri…

Fino ad ora ho fatto riferimento a piccole cifre (100.000). Immaginate cosa potrebbe accadere se, ad ammalarsi, fossero 1.000.000 di persone nello stesso momento. Come ho accennato prima, per raggiungere una minima immunità di gregge, servirebbe il 70% di persone IMMUNI…

In Italia siamo 60.000.000… ed il 70% di 60.000.000 è 42.000.000! Questo significa che, per ottenere la soglia minima dell’immunità di gregge, 42 milioni di persone “dovranno” ammalarsi.

Di questi 42 milioni, ben 1.680.000 finirebbero in reparti di Rianimazione o di Terapia Intensiva.
Ma come ben sappiamo, attualmente, i posti letto a disposizione si aggirano a poche migliaia.

Che fine faranno tutti gli altri? Ebbene, a quel punto, si dovrà SCEGLIERE CHI CURARE!
Ecco perché abbiamo ricevuto l’ORDINE di rimanere a casa.

L’obiettivo delle estese e severe quarantene ordinate è di rallentare la diffusione del contagio in modo da poter gestire (e idealmente guarire) con le nostre strutture sanitarie più malati possibile.

Il rallentamento dei contagi consente di prendere tempo per gestire i malati, nonché l’emergenza sociale creata dal prolungato isolamento, senza sovraccarichi eccessivi per gli ospedali, fino a che non venga reso disponibile un vaccino, scadenza su cui non ci sono tempi chiari.

L’emergenza sanitaria però NON finirà entro aprile. Lo stato di emergenza sanitaria, proclamato dal Governo il 31 gennaio ha una durata di sei mesi ed è eventualmente prorogabile con un altro decreto per altri sei mesi.

Per il momento, il nostro compito è quello di attenerci alle disposizioni governative. Altri decreti verranno emanati, altre disposizioni e altre misure saranno annunciate e prese in accordo con l’andamento della situazione e dell’epidemia.

La guerra è ancora lunga ma una prima, decisiva battaglia la stiamo combattendo adesso, grazie al contributo di ogni singolo ospedale e di ogni cittadino di questo Paese, che sta affrontando una sfida che mette, davvero, a dura prova!

A proposito di “guerre”, nel nostro caso, però, batteriologiche… esisterebbe un terzo modo per sconfiggere il COVID-19…

Si rispetta l’ordine di rimanere a casa per settimane, la popolazione nel frattempo riprende a guarire, ma la Nazione chiude le porte a qualsiasi tipo di trasporto, fino alla messa in commercio di un vaccino…
Questa possibilità risulta chiaramente non contemplabile e sicuramente impensabile da attuare.

Chi vi ha scritto è un infermiere che percepisce lo stipendio più basso d’Europa…

Un infermiere, come tanti, che rischia ogni giorno di contrarre non solo un virus come il COVID-19, ma qualsiasi tipo di patologia trasmissibile. Per non parlare del rischio di ricevere violenza fisica, minacce, insulti, comportamenti tesi a umiliare o mortificare, situazioni di burnout, stress lavoro correlato e mobbing.

Gli Infermieri sono forse gli unici professionisti intellettuali italiani che continuano a lavorare con stipendi da fame. Sono figure che possono operare liberamente nel Servizio Sanitario pubblico, in quello privato o in regime di libera professione.
Sono anche soggetti che continuano ad essere sfruttati e demansionati.

E’ ammissibile che non abbiamo la forza per creare un’area autonoma di contrattazione per la nostra professione tale che possa far riconoscere la peculiarità e particolarità del qualificato lavoro che ognuno di noi garantisce quotidianamente per il benessere dei cittadini?

Consapevoli di rappresentare il 45% del capitale umano del Ssn e di garantirne il funzionamento dobbiamo aspettare inermi il prossimo contratto o troviamo il modo di determinare il nostro futuro professionale e sociale?

Vi è sempre stata una forte disomogeneità tra gli stipendi degli infermieri in Europa, considerando sempre l’Italia il fanalino di coda dell’area europea.

E’ reato parlare di equiparazione con la media europea?
E’ reato considerare la possibilità di stabilizzare gli infermieri all’interno del proprio territorio?

La verità è che noi infermieri precari vaghiamo da un’ASL all’altra, costretti ad accettare incarichi a tempo determinato, senza avere garanzie di una continuità, senza avere la certezza di uno stipendio fisso, pagando affitti e magari con la lontana speranza di poter, un giorno, aprire un mutuo.

Questo però sarebbe facilmente possibile attuando manovre di stabilizzazione e avendo così, finalmente, la possibilità di lavorare nel proprio territorio.

Vogliamo parlare, poi, della realtà del privato? Stipendi che si aggirano intorno ai 1.200 euro al mese, turni massacranti con annesse responsabilità giornaliere.

Come scrive Alberto Campagnolo, Presidente dell’OPI di Asti:
“Ricordatevi di noi infermieri, perché noi non ci siamo mai dimenticati di voi, e potete essere certi che mai lo faremo.

In questi giorni, in molti ci state chiamando angeli; ciò ci lusinga e ci riempie di orgoglio, ma non vogliamo essere riveriti come eroi in tempo di guerra: preferiamo essere rispettati come professionisti anche in tempo di pace.”

Dott. Dinoia Vincenzo

Redazione Nurse Times

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