L’ernia diaframmatica congenita (CDH – Congenital Diaphragmatic Hernia) del neonato è una grave patologia caratterizzata dal passaggio di visceri addominali in cavità toracica; attraverso un difetto, più o meno esteso, del muscolo diaframma, causato dalla mancata chiusura del canale pleuroperitoneale, che normalmente avviene tra l’8ª e la 10ª settimana di gestazione.
Nel 95% dei casi il passaggio dei visceri addominali in cavità toracica avviene attraverso i forami posteriori di Bochdalek; localizzati nella porzione postero-laterale del diaframma, ai lati della colonna vertebrale ed è per questo motivo che l’ernia viene definita postero-laterale.
L’ernia di Bochdalek nella porzione sinistra del diaframma è molto più frequente e gli organi che in genere erniano sono lo stomaco e/o l’intestino tenue e crasso e/o la milza; mentre l’ernia a destra è più rara e gli organi interessati sono il fegato e/o la cistifellea e/o l’intestino e talvolta il rene e in questo ultimo caso la prognosi è ancora più sfavorevole.
Le ernie anteriori (ernia di Morgagni-Larrey) sono molto meno frequenti rappresentando il 5% e si diagnosticano, generalmente, incidentalmente negli adulti asintomatici. La forma più estrema e rara di CDH è rappresentata dall’agenesia del diaframma. La migrazione dei visceri addominali in torace determina le seguenti conseguenze:
La presenza dei visceri addominali in torace può essere evidenziata all’ecografia fetale già alla 14ª settimana di gestazione ed è quindi diagnosticata in epoca prenatale, anche se non si può escludere un esordio tardivo. La terapia prenatale prevede un intervento chirurgico, effettuato in utero alla 26-28ª settimana di gestazione, in anestesia peridurale e anestesia fetale (tramite puntura intramuscolare ecoguidata); attraverso cui si occlude mediante fetoscopia e temporaneamente la trachea del feto (Fetal Endoscopic Tracheal Occlusion, F.E.T.O.) posizionando un ‘tappo-PLUG’ (palloncino) in trachea al di sotto delle corde vocali; in modo da impedire la fuoriuscita dei liquidi prodotti all’interno dei bronchi del feto per contrastare la compressione esercitata dai visceri erniati.
La nascita, quando esiste una diagnosi prenatale, deve essere ritardata, possibilmente, dopo le 38 settimane, programmandola per garantire un’adeguata assistenza; che deve avvenire in una struttura dotata di Terapia Intensiva Neonatale e Chirurgia Neonatale (centro di III° livello), avendo a disposizione una équipe multiprofessionale e multidisciplinare preparata e formata e con possibilità di eseguire, eventualmente, l’ECMO (ossigenazione extracorporea a membrana).
Il parto viene eseguito con procedura EXIT (Ex Utero Intrapartum Therapy), che consiste in un trattamento del feto al di fuori dell’utero materno durante il periodo del parto, mantenendo il cordone ombelicale e quindi la connessione vascolare finché non si completino i primi interventi come la rimozione del palloncino, l’intubazione, la ventilazione meccanica e il posizionamento di vena e arteria ombelicale.
In caso di non miglioramento del neonato alle tecniche di sostegno respiratorio meno invasive, la procedura EXIT, comunque, potrebbe essere sfruttata per dare inizio immediato all’ECMO, prima che si arresti il flusso ematico placentare. La maggior parte dei neonati con CDH presenta, immediatamente dopo la nascita, una grave difficoltà respiratoria. In questi neonati la ventilazione con maschera facciale è proscritta, perché il suo utilizzo porterebbe ad una distensione gastro-addominale e al peggioramento della funzione respiratoria.
Si rende, quindi, necessaria l’intubazione tracheale immediata, la sedazione e il posizionamento di un sondino oro-gastrico di grosso calibro (10 Fr) o ancor meglio di un tubo a doppio lume, tipo Replogle; molto più sicuro rispetto a un normale sondino, da raccordare ad una fonte di aspirazione continua, con il vantaggio di una limitazione della pressione negativa.
Per quanto riguarda il reperimento di un accesso vascolare inizialmente si può incannulare la vena ombelicale nel caso non vi sia erniazione del fegato e un accesso centrale a stabilizzazione avvenuta. Inoltre, al fine di impostare un frequente monitoraggio dell’emogasanalisi viene raccomandato l’incannulamento dell’arteria radiale; preferibilmente destra per calcolare l’indice di ossigenazione (OI=FiO2 x 100 x MAP/PaO2).
Il difetto del diaframma viene corretto chirurgicamente, non prima comunque delle 48 h dalla nascita, quando il bambino è stabile; da un punto di vista cardio-respiratorio, per almeno 48 h. Si definisce stabile un neonato che non presenti ipertensione polmonare; non necessiti di cambio di modalità di ventilazione e/o non richieda un incremento della concentrazione di ossigeno (FiO2).
L’intervento consiste tecnicamente nella chiusura del muscolo diaframma in modo diretto se il difetto è piccolo o attraverso l’utilizzo di un patch di materiale sintetico o biologico nei casi in cui il difetto è molto grande o è presente agenesia del diaframma. La correzione chirurgica risolve sì il problema dell’ernia ma non, almeno in tempi brevi; le conseguenze dell’ipoplasia polmonare, per cui può essere necessario un lungo periodo, da giorni a settimane, per riuscire a far respirare autonomamente il neonato.
Il ‘Gold standard’ dell’assistenza respiratoria, in caso di CDH, è la ventilazione ad alta frequenza oscillatoria (HFO), che è una tecnica di ventilazione non convenzionale che utilizza una pressione di distensione continua (MAP – Mean Airway Pressure); costante e regolabile sulla quale la pressione oscilla (Ampiezza ∆P), con frequenze elevatissime di 10 -15 Hertz (1Hz = 60 atti al minuto), bassi volumi correnti (VT), inferiori allo spazio morto anatomico (2ml/Kg), impostando il TI al 33% (ossia I/E=1:2).
Si realizza, così, una ventilazione meno invasiva con un reclutamento alveolare ottimale, ideale nell’ernia diaframmatica, in cui c’è un maggiore rischio di rotture alveolari e pneumotorace; riducendo il rischio di ventilator-induced lung injury (VILI) e la conseguente morbidità polmonare. L’HFO è l’unica modalità di ventilazione in cui l’espirazione è attiva permettendo; così, di eliminare il problema dell’air trapping e di ridurre in maniera significativa l’ipercapnia per ottenere un pH arterioso tra 7,35 e 7,45.
Tra le complicanze annoveriamo lo pneumotorace e l’ipertensione polmonare, quest’ultima è una complicanza temibile e rappresenta la maggiore causa di mortalità nei bambini con CDH. L’ipertensione polmonare si realizza per sovvertimento dell’anatomia dei capillari del polmone ipoplasico e il neonato sopravvive grazie al passaggio diretto di sangue venoso dall’arteria polmonare nella circolazione sistemica (shunt destro-sinistro) attraverso il forame ovale e il dotto di Botallo.
Il sangue immesso nella circolazione sistemica è, però, non ossigenato, per cui si ha una cianosi persistente. E’ importante, quindi, monitorare di continuo la saturazione di ossigeno pre-duttale (mano dx) e post-duttale (piede dx o sin), assicurandosi che la differenza si mantenga inferiore al 3%. In caso di ipossiemia andrebbe fornito una supplementazione di ossigeno per ossigenare adeguatamente i tessuti e ridurre il rischio di acidemia lattica.
Si raccomandano Sat.O2 > 93-94% per garantire una ottimale ossigenazione (PaO2 tra 60-80 mmHg) e ridurre la vasocostrizione polmonare indotta anche dall’ipossia, che è un potente vasocostrittore polmonare. Nei casi più gravi si possono registrare pressioni polmonari maggiori di quelle sistemiche e in questa situazione si dovrà ricorrere; attraverso un apparecchio dedicato, all’uso inalatorio di ossido nitrico (NO), che è un potente vasodilatatore polmonare selettivo.
In caso di ipotensione e scarsa perfusione, possono essere somministrati boli di fluidi isotonici, come la soluzione fisiologica (NaCl 0,9%) e; se necessario, inotropi, come la dopamina, l’adrenalina, la noradrenalina e la dobutamina. In alcuni casi particolarmente gravi, non responsivi ai trattamenti convenzionali, si può ricorrere all’utilizzo della ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO).
L’infermiere, oltre ad assistere direttamente il neonato, ha il compito cruciale di supportare i neogenitori sin dal primo contatto con il loro bambino, di provvedere all’accoglienza; di offrire le prime informazioni e far conoscere i regolamenti interni al reparto, come il lavaggio delle mani prima di entrare e tutte le volte che è necessario farlo e la necessità di utilizzare indumenti (camice, cuffia, copriscarpe e mascherina), ecc…
Il neonato, di cui ci siamo occupati, richiede un enorme dispendio di energie e di risorse in una complessità assistenziale che fa riferimento ai seguenti tre aspetti:
Il neonato affetto da CDH è un neonato considerato ‘A Massimo Impegno Assistenziale’ e quindi rapportato al livello1 delle Scale di Misurazione del Livello di Dipendenza (Dependency Level Scales) dei neonati in TIN proprio per la richiesta di assistenza e procedure nel periodo di stabilizzazione pre- e post-operatorio.
Lo Saff Ratio, cioè il rapporto neonati assistiti/infermieri, ci permette, insieme alla valutazione del Livello di Dipendenza; di prevedere il peso dell’assistenza e quindi gestire le risorse umane in modo da ottenere un’assistenza qualitativamente e quantitativamente ottimale. Gli attuali riferimenti scientifici propongono, per questi neonati, uno ‘Staff Ratio’ più stretto e cioè 1:1 rispetto agli attuali rapporti di 1:2 o 1:3.
L’assistenza erogabile deve essere basata su solide evidenze scientifiche, documentabile, osservabile, misurabile, confrontabile per renderla visibile e diretta ai bisogni globali della persona, aspetti realizzabili, solamente; attraverso un cambio culturale e di mentalità e nella piena consapevolezza di essere in grado di offrire valide risposte ai bisogni dinamici e molteplici del neonato e dei suoi genitori.
Articolo dedicato alla memoria del Dr. Dino Servedio, persona speciale e professionista eccellente, che ha scritto pagine di storia nel campo della chirurgia neonatale e pediatrica italiana.
Dentico Domenico.
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