I neonati estremamente prematuri sono quelli che nascono al di sotto delle 28 settimane di età gestazionale. Sono i più piccoli tra i piccoli, complessi e necessitano di un’attenta valutazione di tutte le problematiche che coinvolgono la prematurità.
“Per questo – spiega il professor Giovanni Vento, direttore della Uoc di Neonatologia e terapia intensiva neonatale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e professore associato di Pediatria generale e specialistica all’Università Cattolica, Campus di Roma – necessitano di strategie dedicate a partire dalla sala parto, con il clampaggio del cordone ombelicale da eseguire solo dopo che i loro polmoni siano stati sufficientemente aerati. Quest’assistenza deve continuare anche dopo, in terapia intensiva neonatale”.
“È necessario – spiega il professor Vento – evitare il più possibile l’intubazione e la ventilazione invasiva. Questo siamo riusciti a ottenerlo anche grazie alla collaborazione con gli specialisti in Ostetricia (l’equipe del professor Antonio Lanzone, direttore Uoc Ostetricia e patologia ostetrica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e ordinario di Ginecologia e ostetricia all’Università Cattolica), che sono particolarmente attenti nella somministrazione prenatale sia degli steroidi, nei tempi e nelle dosi corrette, al fine di promuovere una maturità polmonare adeguata, sia del magnesio solfato che garantisce una buona neuro-protezione”.
Prosegue Vento: “Queste accortezze ci permettono di evitare spesso l’intubazione in sala parto e di offrire al neonato un supporto respiratorio non invasivo, anche durante il ricovero in terapia intensiva neonatale. A questo proposito stiamo effettuando uno studio con un apparecchio che permette una ventilazione nasale non invasiva e sincronizzata, cioè rispettosa del ritmo respiratorio del neonato”.
“Recenti evidenze – prosegue il professor Vento – hanno dimostrato che è fondamentale anche la tecnica con cui si somministra il surfattante, soprattutto nei neonati estremamente prematuri. Al Gemelli abbiamo messo a punto una procedura innovativa, IN-REC-SUR-E, acronimo per INtubate-RECruit-SURfactant-Extubate, cioè Intubare- Reclutare-Surfattare-Estubare. Attraverso un tubo endotracheale, utilizziamo una tecnica di ventilazione non convenzionale (alta frequenza oscillatoria) per ‘reclutare’, cioè aprire bene gli alveoli parzialmente o totalmente chiusi, a causa della carenza di surfattante”.
Sempre Vento: “A questo punto somministriamo il surfattante esogeno, che si diffonderà in maniera più uniforme negli alveoli precedentemente aperti, questi ‘acini d’uva’ piccoli e ‘appiccicosi’ che devono essere ricoperti di surfattante per evitare che si sgonfino e si richiudano. Questa nuova tecnica è stata già oggetto di un trial multicentrico italiano su 218 neonati prematuri, che si è concluso due anni fa con una pubblicazione su Lancet Respiratory Medicine”.
“Il nostro studio – ricorda il Vento – ha dimostrato che la nuova tecnica IN-REC-SUR-E è più efficace e riduce anche la mortalità. A corollario di questa ricerca è stato pubblicato sullo stesso numero di Lancet un editoriale a firma di prestigiosi neonatologi americani, che suggerivano come step successivo il disegno di un nuovo trial per confrontare il nostro metodo IN-REC-SUR-E, con un’altra tecnica che nel frattempo si è andata diffondendo in Germania e in altri paesi europei, la LISA (Less Invasive Surfactant Administration), che non prevede l’intubazione”.
E ancora: “Il Policlinico Gemelli si è fatto quindi promotore di un nuovo trial internazionale che coinvolge 80 Centri di Terapia Intensiva Neonatale mettendo a confronto, nei neonati molto piccoli sotto le 28 settimane di età gestazionale, la tecnica IN-REC-SUR-E con la LISA. Arruoleremo un campione di circa 400 neonati. Obiettivo dello studio è dimostrare che l’efficacia della tecnica IN-REC-SUR-E è maggiore della LISA nel prevenire esiti molto importanti, come la morte o lo sviluppo della broncodisplasia polmonare, una patologia cronica che è l’anticamera della BPCO dell’età adulta, dell’asma e di una ridotta performance respiratoria. Lo studio, che ha già arruolato i primi 31 pazienti, avrà anche un follow up molto lungo”.
“Quella del Gemelli – ricorda Vento – è dell’8%, ben al di sotto della media internazionale. Questi risultati sono frutto di un grande lavoro di squadra di tutto il personale che collabora alla realizzazione del grande Progetto Neonato, il nostro futuro. Ma dobbiamo continuare a prevenire; i neonati con la broncodisplasia infatti, crescendo, avranno una ridotta tolleranza all’esercizio fisico. Questi bambini vanno seguiti negli anni con test di funzionalità respiratoria, per capire e predire quali sono quelli da intercettare per modificare il loro stile di vita e utilizzare più precocemente alcuni farmaci, allo scopo di farli recuperare il prima possibile”.
Aggiunge Vento: “Si è visto che fino agli otto anni questi ex-neonati prematuri con broncodisplasia hanno una funzionalità respiratoria comunque ridotta; poi dagli 8 anni in su migliorano perché il polmone continua a crescere. E le bambine migliorano più dei maschietti. I neonati ventilati per meno di 14 giorni hanno esiti migliori e per questo dobbiamo fare ogni sforzo per ridurre il più possibile la durata della ventilazione invasiva, laddove necessaria. Ecco perché anche le tecniche di somministrazione del surfattante ricoprono un ruolo molto importante”.
“I risultati – rivela Vento – dimostrano che i neonati che hanno ricevuto il surfattante con la tecnica IN-REC-SUR-E, hanno tassi di ospedalizzazione nei primi due anni di vita minori, rispetto ai neonati che hanno ricevuto il surfactant con la tecnica INSURE”.
Riuscire a gestire adeguatamente l’insufficienza respiratoria del neonato prematuro, riducendo al minimo sia il ricorso alla ventilazione meccanica invasiva, che la sua durata, ha infine ripercussioni importanti anche nella prevenzione del danno cerebrale, altra grossa patologia della prematurità.
“Se riusciamo a far respirare spontaneamente questi neonati con il supporto respiratorio non invasivo, controllando da vicino anche la funzione del cuore e a somministrare loro il surfattante nel modo più efficace possibile, possiamo far sì che il flusso di sangue che perfonde il cervello, vi arrivi in maniera controllata e adeguata, minimizzando i rischi di un’emorragia o di una lesione ipossica cerebrale”, conclude il professor Vento.
Redazione Nurse Times
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