Morte cardiaca improvvisa: la storia (a lieto fine) di due ragazzi bolognesi

Una vicenda che fa riflettere sulla necessità dei defibrillatori nelle scuole.

Erano seduti al banco di scuola: 15 anni lui, 11 lei. Lui, Marco, alle superiori. Lei, Anna, alle medie. Il 29 settembre lui, il 29 febbraio lei. A 4 mesi e 4 chilometri di distanza. Stessa ora, le 9 del mattino. Stesso cuore fermo, con l’anima che prova a volare oltre il banco. Poi il 118, per far ripartire il cuore coi 100 joules del defibrillatore. Tra tutti questi numeri e il cielo c’è lei, la prof di matematica. Non perde l’attimo, si getta sul ragazzo e, prima che arrivi il 118, mette in pratica la rianimazione cardiopolmonare che qualcuno le ha insegnato.

La morte cardiaca improvvisa colpisce in Italia 70mila persone all’anno: una ogni 8 minuti. Tra queste, il 7% ha meno di 30 anni e il 3,5% meno di 8, il che vuoi dire circa 2mila ragazzi. Molti di loro sembrano perfetti, ma hanno un segreto in fondo al cuore che sfugge anche agli esami più accurati e che si svela alle 9 di mattina, a scuola. A questo punto c’è solo un rimedio: la diffusione della cultura del pronto soccorso e le città cardioprotette dai defibrillatori, a cominciare dalla scuola. Non si può sempre sperare nel 118, che arriva in 5 minuti. Dopo 10 minuti non c’è più niente da fare.

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Marco è venuto alla prima visita di controllo dopo la dimissione, il giorno stesso in cui Anna si è arrestata (i medi ci parlano così). Sapeva dai giornali. Ha chiesto di conoscerla «per farle coraggio». È forte, generoso. Divide con Anna la stessa storia, a 4 mesi e 4 chilometri di distanza: il banco, le 9 del mattino, il defibrillatore che non c’è, l’arrivo del 118, la scarica, la rianimazione dell’Ospedale Maggiore, il coma, la cardiologia pediatrica del Sant’Orsola, la terapia, la pizza come prima cosa, appena tornati a casa. Lui con un defibrillatore sotto la pelle, davanti al cuore. Lei col gilet defibrillatore, intanto che le medicine fanno effetto.

Il giorno prima della dimissione di Anna, Marco viene a trovarla in ospedale. Lei è muta. Lui rispetta il suo silenzio con inaudita maturità. Ha rivisto gli infermieri dei suoi 45 giorni. Le dice che non sarebbero potuti finire in un posto migliore. Sognava di diventare un campione di basket. Parla, e soprattutto tace, in modo pazzesco (i giovani parlano così). Dice che l’arresto l’ha fatto crescere. Non credeva che esistessero bambini di pochi giorni e pochi chili a cui viene aperto il cuore. Nonostante il mondo che gli è caduto addosso, si è preoccupato degli altri.

Anna ha visto qualcosa di grande, il quarto dei re Magie che gli ha portato in dono la forza. Un giorno capirà, e starà bene. Questi cuori in allarme, che con tre salti sono fuori dalla scuola, devono far pensare. Non possiamo sceglierci il cuore, non conosceremo mai tutti i suoi segreti. Ma possiamo scegliere di diventare come quella prof di matematica. Possiamo insegnare a un dodicenne la rianimazione cardiopolmonare. Possiamo rendere obbligatori i defibrillatori a scuola.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere di Bologna

 

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