Una giovane coordinatrice infermieristica del Nord d’Italia,
Nei giorni scorsi mi ha contattato una collega infermiera che presta la sua attività, come libera professionista, nel nord d’Italia. Voleva raccontarmi alcune cose e soprattutto… farmi alcune domande a proposito del ‘demansionante’ processo formativo di moltissimi studenti infermieri, visto che si era ritrovata a leggere per caso uno dei miei ultimi articoli (VEDI) che trattano la questione e che in questo periodo, nella sua attività professionale, si ritrova a vivere in prima persona qualcosa che definire assurdo è un eufemismo.
In pratica la collega, che mi ha chiesto di rimanere anonima così da salvaguardare il suo posto di lavoro, ha deciso di denunciare tramite Nurse Times qualcosa che in realtà è sotto gli occhi di tutti, che è considerata la ‘normalità’ in moltissime università e in troppi ospedali italiani; ma che, di fatto, mortifica (e sembra volerlo fare a tutti i costi) senza pietà la professione infermieristica.
La collega è una giovane coordinatrice dalla mente brillante, che da circa un anno gestisce un reparto dell’area medica in un ospedale lombardo e che lo ha letteralmente ‘rivoluzionato’, con l’obiettivo di migliorare la qualità assistenziale, di ottimizzare i tempi, di razionalizzare al meglio la grande mole di lavoro, di non confondere tra loro i vari ruoli che ruotano intorno ai pazienti e soprattutto… di esaltare quello degli infermieri, non facendogli perdere tempo in cose o ‘mansioni’ che non gli competono. Come ad esempio… il fantomatico ‘giro letti’ mattutino. Beh… c’è riuscita.
Un esempio virtuoso, quindi? Un qualcosa da studiare, promuovere, pubblicizzare, condividere e magari ripetere in altre realtà? Ma che… in Italia sappiamo tutti come funziona, purtroppo. E anche questa volta… niente eccezioni. Me lo ha raccontato in una interessante intervista.
“Quando un dirigente della mia azienda (una cooperativa) mi ha proposto di fare da coordinatrice presso il mio reparto ho accettato subito, ma… ho chiesto praticamente carta bianca, pur rimanendo nei parametri (vincolanti) dell’appalto, così da riorganizzare da capo l’Unità operativa, che non funzionava un granché. Ho selezionato così nuovo personale e promosso diversi cambiamenti, ma… praticamente sin dall’inizio il SITRA ha iniziato a non vedermi di buon occhio così come gli altri colleghi dell’ospedale.”
“Beh, un po’ perché hanno visto in me una chiara volontà di cambiamento, cosa che nel bel paese è sempre considerata come una terribile minaccia. E poi perché noi siamo ‘la cooperativa’… e perciò personale ‘esterno’, che non fa parte della struttura ospedaliera, personale più o meno di passaggio, ma che comunque lavora lì. Una sorta di costante insulto, ad esempio, per le tante persone assunte dall’azienda a tempo determinato e che aspettano concorsi da tempo immemore.”
Un chiaro esempio, questo, di come le dinamiche che vengono a crearsi all’interno delle aziende sanitarie, in seguito al precariato e all’esternalizzazione del servizio di cura e assistenza (cooperative, associazioni, ecc.), siano in qualche modo un’autentica spina nel fianco del lavoro d’equipe e dell’equilibrio che dovrebbe regnare tra professioni e professionisti della salute.
“Innanzi tutto perché negli altri reparti a mio avviso c’è una organizzazione ‘per compiti’, come in una catena di montaggio, dove si ragiona per cose da fare e non per ‘esigenze’ dei singoli pazienti. E poi perché secondo me ci sono risorse utilizzate in modo discutibile: la mattina, ad esempio, ci sono o 2 infermieri e un OSS, o un infermiere e un OSS; un infermiere parte col giro letti insieme all’OSS, mentre l’altro collega si occupa della terapia. Oppure l’OSS parte da solo col giro letti e aspetta che l’infermiere, impegnato con la terapia, lo raggiunga. Ovviamente, tutto ciò porta a dilatare terribilmente i tempi di lavoro; così il giro letti termina a mezzogiorno e la somministrazione della terapia, prevista per le ore 8, slitta alle 11 o giù di lì. Questa è una cosa che io ho sempre trovato illogica, già da quando ero una studente.
Nel ‘mio’ reparto, oggi, funziona in modo diverso: l’ho organizzato con piccole equipes, dove i 30 posti letto sono divisi in 3 sezioni, ognuna delle quali (composta da 10 pazienti) viene assegnata a un infermiere (notte esclusa, dove in turno ci sono 2 infermieri e un oss a sorvegliare i pazienti). Gli infermieri organizzano il giro letti a seconda del tipo di pazienti e delle eventuali criticità/difficoltà assistenziali e gli OSS partono per effettuarlo… uno si occupa dei pazienti più autonomi e gli altri due si dedicano agli allettati. Poi, intorno alle 8.30, uno di loro si stacca per le colazioni. E gli infermieri, intanto… fanno gli infermieri.”
“No. Non vedo proprio per quale motivo dovrei sprecare dei professionisti per rifare i letti e per far eseguire le cure igieniche ai pazienti. Tutto ciò è di responsabilità, ma non di competenza infermieristica. Ci sono delle sentenze che lo dicono, non si tratta solo di buon senso.”
“Sì, erano due tutor universitari del primo anno del Corso di Laurea in Infermieristica… hanno lamentato una serie di mancanze, carenze, anomalie, per cui non potevano (a loro dire) mandare presso la mia unità gli studenti ad effettuare il loro tirocinio clinico. Il nostro dialogo fu praticamente questo, lo ricordo molto bene:
‘Per noi è un problema il fatto che i tuoi infermieri non facciano il giro letti’.
‘Mmmh. E perché sarebbe un problema?’
‘Perché gli studenti devono effettuare il giro letti, e qui gli infermieri non lo fanno’
‘Beh, se per voi devono necessariamente farlo possono affiancare gli OSS. Ma francamente mi sembra ridicolo che dei futuri infermieri debbano imparare dagli OSS’.
‘No, assolutamente no, non si può. Gli OSS sono un’altra cosa. Servirebbe un infermiere che facesse il giro letti’.
‘Mi dispiace, ma nel mio reparto gli infermieri hanno ben altro da fare.’
‘Però devi capire che gli studenti devono imparare a fare il giro letti.’
‘E perché? È così necessario che un infermiere debba farlo? Ed è qualcosa di così complicato, poi, da imparare?’
‘Scusami se insistiamo, ma… come potrà, un futuro professionista dell’assistenza, coordinare del personale di supporto se non sa cosa debba fare e come farlo?’
‘Sì che lo sa… non ci vuole una laurea per eseguire l’assistenza di base ad una persona, per dare direttive in tal senso e per vigilare sull’operato degli OSS.’
‘Eh, però se non lo sa fare come fa?’
‘Guardate… io non credo che il signor Agnelli abbia mai imparato a montare la portiera di una Fiat Punto… eppure ne ha costruite e vendute, di automobili. Cosa c’entra ciò che mi state dicendo?’
‘Personalmente, se mi togliessero il giro letti mi sentirei orfana di una parte importante del mio lavoro… l’intimità col paziente, la valutazione della cute, ecc…’”
Ecco che ritornano le solite scuse. Per giustificare cosa? Beh… probabilmente la manovalanza offerta GRATIS dai poveri e per certi versi ignari studenti in infermieristica… e il disegno più o meno spudorato di produrre professionisti ‘inconsapevoli’, pronti a fare di tutto e a eseguire gli ordini di tutti (a proprio rischio e pericolo, per giunta). La figura ideale, per una sanità allo sbando: il ‘factotum’ di reparto! ‘Professionista’ solo teorico, che in realtà è sempre pronto ad esaudire ogni più recondito ed inimmaginabile desiderio degli utenti e dei ‘superiori’ (i medici…). Che magari accetta di rassettare il letto del Medico di guardia, di spingere il carrello durante il giro visita, di distribuire il vitto con tanto di cuffietta in testa e di servire la colazione nell’ufficio del Primario. Una figura totalmente agli antipodi rispetto al profilo professionale cui appartengono gli infermieri.
Ma torniamo alla nostra collega in guerra contro le assurdità universitarie:
“La mia conclusione è stata: ‘Se tu vuoi che gli studenti infermieri vengano qua a fare il giro letti e a rifare i letti io non entrerò in contrasto con la vostra impostazione del Corso di Laurea, ma… secondo me l’infermiere non studia per questo. Dovrebbe fare tutt’altro. E qui, anche se non imparano a fare i letti, è il posto ideale per esercitarsi a pianificare e a programmare l’assistenza.’
‘Guarda, io non voglio dirti come organizzare il tuo reparto… ma ad esempio potresti mettere, anziché un infermiere ogni 10 pazienti, un infermiere ogni 15 così che l’altro possa effettuare il giro letti con gli studenti’.
‘Cosa? No. Io c’ho messo un anno a creare una realtà che funziona… e sovraccaricare di lavoro dei colleghi in modo che altri vadano a insegnare a rifare i letti agli studenti, non la trovo un’idea geniale. Ora, con la divisione del reparto in tre sezioni, i degenti del mio reparto assumono finalmente la terapia ad orario e le cure igieniche terminano ad un’ora più che accettabile. Non vedo proprio perché adesso si debba stravolgere di nuovo tutto, così da non farlo funzionare”.
“Beh, se durante il primo anno di tirocinio devono ‘insegnare’ ai futuri professionisti intellettuali come rifare i letti e come effettuare l’igiene perineale… abolissero il tirocinio clinico del primo anno! Facciano studiare di più i ragazzi e poi, durante il secondo anno, gli mostrino finalmente qualcosa di serio, negli ospedali…”
“Parecchio. Basti pensare che i due Tutor di cui sopra, sono dipendenti dell’ospedale. Più mi sforzo di comprendere e più non lo capisco: come possono, due dipendenti dell’ospedale, essere anche tutor del Corso di Laurea in infermieristica? Cosa diavolo c’entrano loro con l’Università? Come possono avere come obiettivo la vera formazione degli studenti se in realtà sono in qualche modo assoggettati alle dinamiche e agli obiettivi aziendali, che sicuramente prevedono il massimo risultato col minimo sforzo (economico)…? Eh sì, sembra quasi che si sia diventati professionisti laureati solo in teoria, mentre in realtà si sia rimasti ben ancorati alla vecchia ‘Scuola Infermieri’.“
La testimonianza di questa collega, comprensibilmente amareggiata e delusa, fa riflettere. E lo fa sotto diversi punti di vista. Anche perché non poche sentenze, nel tempo, hanno chiarito come il giro letti, il rifacimento degli stessi e l’igiene del paziente non siano ‘mansioni’ di competenza infermieristica:
E allora penso che sia oltre modo lecito domandarsi… come diavolo è possibile che nei programmi dei corsi di laurea in infermieristica sia ancora riportato, tra gli obiettivi del primo anno di tirocinio clinico, quello di rifare i letti occupati, non occupati (!!!), l’igiene del paziente, accompagnamenti, sanificazione dell’unità paziente (VEDI) e altri obbrobri di questo tipo?
In realtà, e sottolineo in realtà, quanto del finanziamento del corso di laurea in infermieristica viene realmente investito nella formazione degli studenti infermieri?
Non sarebbe il caso che i vari coordinatori del tirocinio clinico-pratico responsabilizzassero molto di più i tutor universitari che, tra l’altro, sono anche dipendenti dell’ospedale e non delle università (e quindi inevitabilmente coinvolti in un palese conflitto di interessi)? Non sarebbe opportuno obbligarli a raggiungere determinati obiettivi e a controllare realmente e sul campo che tali obiettivi vengano quotidianamente perseguiti e infine raggiunti, così da costruire veramente i professionisti sanitari infermieri del futuro?
Perché è giunto il momento di dire BASTA. Gli infermieri italiani non ce la fanno più ad essere poco riconosciuti, sviliti ed umiliati sin dal loro percorso universitario. Sono decisamente stufi di subire continui insulti alla propria intelligenza da parte di chi giustifica il demansionamento infermieristico e lo sfruttamento più becero, con le solite e poco credibili parabole come quella del giro letti che serve a valutare la cute del paziente, ad entrarci in intimità e che bisogna ‘necessariamente’ saper fare, così da poter addestrare a dovere il personale di supporto.
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