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L’Italia e la salute: un diritto costituzionale da difendere

Introduzione

Il Concetto di diritto, con la sua potenza, inteso come atto doveroso che spetta alla persona in maniera incontestabile e alienabile, risale alle prime forme arcaiche di aggregazione cittadina e raggiunge il suo completamento come concetto di “Diritto e Dovere” nella Polis Greca. E’ un aggettivo che a oggi conosciamo affiancato, quasi indissolubilmente, a quest’altro aggettivo, un’unione concatenante che li vede uniti per garantire l’un l’altro vicendevolmente. Per garantire i Diritti alla Popolazione, si necessita che quest’ultima garantisca una seria di doveri a chi elargisce tali Diritti e viceversa.

Un Diritto segno di civiltà

Per noi occidentali e italiani sono ancora normali, quasi banale pensare al valore fondamentale proprio del Diritto alla Salute, questo per diversi motivi: uno di questi, è data dalla purezza della nostra democrazia che garantisce attraverso la Costituzione, da settantacinque anni a questa parte, come un diritto fondamentale dell’individuo (art n32 della Costituzione italiana); altro motivo, noi italiani apparteniamo alla comunità europea, gli altri paesi membri di questa, condividono tale diritto fondamentale e di conseguenza ritroviamo tale diritto in tutta Europa.

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Basta guardaci intorno per capire che ciò che noi diamo per scontato e ampiamente assodato, non è così fuori dai confini europei; nel resto del mondo anche civilizzato, occidentale o occidentalizzato (esclusi pochi stati), la Salute non è intesa come un diritto ma come un Bene commercializzabile e come tale soggetta ai costi di mercato perché essa stessa ha un costo. Pensiamo al sistema Sanitario degli Stati Uniti, del Canada, di numerosi stati del Sud America, dove è necessario provvedere autonomamente alle cure personali, oppure pensiamo agli stati appartenenti al Continente africano, numerosi stati orientali, dove in gran parte di essi non esiste neanche un apparato Sanitario atto a garantire un’assistenza minima alla popolazione se pur a pagamento.

All’opposto, un Diritto che noi diamo per scontato, diventa un baluardo di Civiltà, di Umanità che è sempre di più circoscritto a pochi stati mondiali. Per tale motivo ho scelto di affrontare quest’argomento che ritengo, essere un punto di sicurezza che ha dato vita alla tranquillità atta alla produzione del Pensiero dell’Uomo Moderno italiano.

Ed ecco che in un mare burrascoso mondiale, dove il diritto alla salute resta sempre di più per pochi stati e sempre meno beneficio di molti, in Italia come in Europa ci troviamo difronte a un caposaldo della Costituzione; in esso, infatti, risiede un significato talmente importante, elevato, che in ambito giuridico viene definito

  • Inalienabile,
  • Intrasmissibile,
  • Indisponibile,
  • Irrinunciabile,

Storia del diritto alla salute

Quando mi sono approcciato a questo argomento, mi sono soffermato su delle riflessioni che mi hanno indotto una ricerca.

La prima domanda che mi si è formata è:

  • Quando il diritto alla salute è stato codificato ed è diventato effettivamente esigibile per tutti? 
  • E poi, cosà ha mosso l’essere umano a rendere il concetto di sanità, legata alla salute, così trasversalmente emancipante nell’arco dei secoli?

Sicuramente per arrivare alla concezione attuale, italiana ed europea del diritto alla salute, anche dal punto di vista giuridico sarà avvenuta un’evoluzione. Il seme primordiale del “concetto di sanità pubblica”, alberga tra le civiltà egizie; un popolo che nell’arco dei secoli ha strutturato un vero e proprio percorso di conoscenza medica e farmacologia il cui unico obiettivo era il raggiungimento di un popolo sanissimo come afferma Erodoto che li definisce appunto “il popolo dei sanissimi”, da intendere però che la possibilità di accedere alle cure sciamaniche era riservata al popolo libero e non schiavo. Il concetto si è andato man mano a evolvere con mondo greco e poi romano. Con l’avanzare dei secoli, le diverse società che si sono succedute hanno dato sempre maggiore importanza alla farmacologia e alla medicina, e di pari passo, all’accesso gratuito a tali cure o comunque.

Sicuramente a influire sul costante pensiero di perseguire nelle logiche di preservazione della salute ha influito, nei secoli, una costante che è condivisa anche da pensatori contrapposti come possono essere Giovanni Berlinguer e Papa Francesco, che sono la sacralità della vita e patrimonio da preservare a tutti costi. Pensiero condiviso ampiamente anche da Ippocrate, che mentre passeggiava con i suoi discepoli nell’isola di Coo, disquisendo sui mali dell’umanità, altro non faceva che trasmettere il sapere degli Egizi che, con i loro papiri, hanno tramandato i primi fondamenti della medicina e chirurgia e dibatteva su quanto fosse necessario che questo Sapere divenisse patrimonio condiviso da tutti per preservare l’unicità della vita; concetto che con l’avvenire delle religioni monoteiste del cristianesimo diventa sempre più centrale.

L’attenzione del cristianesimo nei confronti di chi è colpito dalla malattia si radica in uno dei tratti essenziali della tradizione cristiana. Sino a poter dire che la cura e la guarigione dei malati sono centrali nelle Sante Scritture e particolarmente nei vangeli.

Nel Siracide, per fare un solo esempio nell’Antico Testamento, si scrive: “Al povero stendi la tua mano, perché sia perfetta la tua benedizione. La tua generosità si estenda a ogni vivente e al morto non negare la tua grazia. Non evitare chi piange e con gli afflitti mostrati afflitto. Non indugiare a visitare un malato, perché per questo sarai amato. In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato” (Siracide 7, 36-40). Ho citato per intero questo passo per rilevare il collegamento con la questione della povertà e l’invito a una generosità che si estende a ogni vivente.

Gli evangelisti fanno aprire il ministero pubblico di Gesù con azioni di guarigione di malati. E non è solo di un primum nell’ordine temporale. La cura dei malati è una dimensione centrale nella sua missione, parte integrante della sua opera. Gesù cura i malati nel senso più profondo: non solo li cerca e li ascolta, li guarisce. Sappiamo che i due termini, “curare” e “guarire”, pur essendo molto simili, hanno però una sfumatura diversa. Una cosa è evidente: la guarigione dalla malattia è una costante insopprimibile nella vita di Gesù.

Anzi è parte di uno dei due poli nei quali viene sintetizzata la sua missione: “Gesù andava attorno per tutta la Galilea, in­segnando nelle loro sinagoghe predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e d’infermità.”(Mt 4,23). Ed è bella la scena descritta da Luca: “Al calar del sole, quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva” (Lc 4,40). Anche Marco la riporta: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portava tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era radunata davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni”(Mc 1, 32-34). Luca, che Paolo chiama “medico caro”(Col 4,14), è l’evangelista che dà spazio all’azione di guarigione di Gesù: più di un quarto dei primi dieci capitoli (120 versetti su 425); e, nei quattro Vangeli, su 53 miracoli riportati, ben 30 sono miracoli di guarigione.

Da dove viene il diritto alla salute?

In diverse culture e religioni del mondo, il concetto di salute fisica e mentale, rappresenta un bene fondamentale da dover difendere; si tratta quindi di un concetto sublime che seppure concettualmente sia ed è stato ampiamente condiviso dall’uomo abitante del mondo a tal punto da cedere a delle contraddizioni assurde. Infatti, basti riflettere su concetto di tutela della salute in guerra e di come esso sia stato trattato nei secoli.

Senza dubbio parlare della tutela del diritto alla salute in contesti bellici rappresenta un paradosso, è un concetto assurdo ma ha rappresentato e (purtroppo ancora oggi rappresenta) un barlume di raziocinio in una pratica abominevole messa in atto dall’uomo per millenni. Potremmo quasi dire che alcuni processi evolutivi in ambito di soccorso sanitario si sono presentanti proprio in ambito bellico.

L’argomento della tutela della salute durante una guerra è stato da sempre abbracciato da imperatori, monarchi, governatori, Statisti, presidenti e ministri; i quali, nei secoli, hanno spesso nascosto sotto un velo umanitario la necessità di trovare tecniche di soccorso e assistenza sempre più strutturate e mano lasciate al caso e sempre più avanzate per poter rinsaccare in tempi previ i propri contingenti, le proprie file e ridurre al minimo le perdite.

Concetto che oggi più che mai è attuale e che sì ha un aspetto profondamente Umanitario da non trascurare che ha dato vita a processi di tutela, i quali seppur oggi non siano rispostati negli attuali contesti bellici del nuovo millennio, rappresenta la base del Diritto Umanitario Internazionale anch’esso spesso ampiamente disatteso. Emblematico è il Terzo Regolamento Fondamentale D.I.U. redatto dal C.I.C.R. il quale testualmente afferma “I feriti e malati devono essere raccolti e curati dalla parte in conflitto che li detiene in proprio potere. Il personale sanitario e gli stabilimenti, i trasporti e le attrezzature sanitarie, devono essere rispettati e protetti”. Si può benissimo dare una chiave di lettura volta alla difesa del Diritto alla Salute anche in caso di conflitto; o forse si può dire che il diritto alla Salute trova la sua massima espressione proprio nel momento in cui decade ogni logica di umana civiltà.

Il diritto alla salute coincide col diritto al rispetto dell’integrità fisica dell’individuo; ma esso comporta anche il diritto all’assistenza sanitaria: infatti, con la riforma sanitaria del 1978, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ha esteso l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta la popolazione

Oggi, in Italia il Diritto alla Salute è una sfida! Una sfida costante che tra la Costituzione realtà che spesso è anticostituzionale seppur rispettosa delle norme e delle leggi. L’Articolo n. 32 della Costituzione Italiana afferma che la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti; ma quanto questa affermazione risulta essere realmente espletata in azioni concrete, ovvero vi è un effettivo accesso all’esercizio di tale diritto costituzionale?

In realtà il diritto alla salute pur essendo un diritto astrattamente nella pratica non è spesso effettivo, permanendo difficoltà di accesso ed esercizio del medesimo. A essere garantite, oggi, non è più la salute nel senso pieno del termine ma a malapena si riescono a garantire le cure sanitarie a chiunque sia costretto ad accedere alle procedure di primo soccorso indifferibili caratterizzate dall’urgenza, mentre l’assistenza a lungo termine e in generale tutte le prestazioni di prevenzione o di routine e i cosiddetti piani terapeutici richiedono l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, che a sua volta comporta diverse richieste di adempimenti burocratici (ad es. residenza anagrafica) non sempre accessibili da tutti e per quanto riguarda gli stranieri strettamente correlate alla regolarità della permanenza sul territorio nazionale. 

Dov’è Italia hai diritto alle cure

I Padri costituenti quando hanno elaborato questo diritto pensarono al concetto di uguaglianza applicato già sull’intera Costituzione ma rafforzato proprio sull’articolo 32. L’accesso alla sanità è stato pensato per tutti, non esclusivamente per i cittadini italiani ma a chiunque ne abbia necessità e si trovi anche solo per transito sul suolo italiano. Per suolo s’intende qualsiasi luogo anche extra confini nazionali che è identificato come suolo italiano, s’intendono ambasciate italiane all’estero e navi e basi militari italiane.

Altro aspetto dell’uguaglianza voluta dai padri fondatori era quello di uguagliare il territorio nazionale dal punto divista delle infrastrutture sanitarie, ciò significa che in qualsiasi parte d’Italia bisogna garantire lo stesso standard assistenziale non ché le stesse modalità d’accesso ad esso. Aspetto, quest’ultimo, che sia negli anni di stesura della Costituzione che oggi non è da sottovalutare visto l’enorme discrepanza non solo per l’accesso al servizio sanitario che non risultava essere omogeneo nel 19467 e non risulta tale neanche oggi dove ogni singola Regione legifera e normatizza in autonomia in temi di sanità.

Ad oggi ogni Regione ha autonomia sanitaria garantendo percorsi assistenziali differenti da regione a regione pur attenendosi alle direttive governative nazionali, tanto è vero che lo Stato determina i LEA che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Mentre le Regioni programmano e gestiscono in piena autonomia la sanità nell’ambito territoriale di loro competenza. Cosa significa “operativamente”? E’ come avere 21 differenti stecche che cercano di formare un ventaglio solo. Ventuno sanità differenti che operano con modalità diverse attraverso normative e leggi formulate e redatte dai diversi Presidenti di Regione che ne dettano gli indirizzi in base alle esigenze del territorio.

Quindi se da un lato la Sanità Nazionale cerca, attraverso le Regioni, di plasmarsi alle esigenze del territorio, dall’altro invece questa differenziazione crea inesorabilmente delle spaccature nonché delle differenze profonde nel accesso, nelle modalità assistenziali ecc.. Ciò crea numerose differenze delle modalità di trattamento creando regioni virtuose dal punto di vista della sanità e regioni che invece offrono una sanità scarna, disastrosa dividendo i cittadini che ne usufruiscono in cittadini che hanno a disposizione una sanità funzionante e competitiva e che riesce a rispondere tempestivamente alle esigenze sanitarie dell’utenza; dall’altro lato invece ci sono cittadini che non a disposizione una rete sanitaria adeguata anche dal punto di vista infrastrutturale a tal punto da recarsi verso le regioni più virtuose per ricevere cure e assistenza adeguate. Ecco che vengono a crearsi i così detti “viaggi della speranza” dove numerose persone sono costrette ad emigrare in altre regioni/città, spesso con i loro parenti, per accedere a percorsi di cure che non sono garantiti nella propria regione di residenza.

Dal diritto costituzionale alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

L’articolo 25 comma 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo infatti stabilisce che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.[…]”.

A tal fine nel 1948 a Ginevra è stata istituita l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS); essa è l’organismo di indirizzo e di coordinamento in materia di salute all’interno delle Nazioni Unite. L’OMS è formata da diversi organi di governo: il segretariato, l’assemblea mondiale, il consiglio esecutivo; ed è articolata in sei uffici regionali e dislocata negli uffici degli Stati membri e nei centri collaboratori che sviluppano le sue attività.

Tra i vari compiti l’OMS è impegnata a fornire una guida sulle questioni sanitarie globali, indirizzare la ricerca sanitaria, stabilire norme e standard e formulare scelte di politica sanitaria basate sull’evidenza scientifica; inoltre, garantisce assistenza tecnica agli Stati Membri, monitora e valuta le tendenze in ambito sanitario, finanzia la ricerca medica e fornisce aiuti di emergenza in caso di calamità. Attraverso i propri programmi, l’OMS lavora anche per migliorare in tutto il mondo la nutrizione, le condizioni abitative, l’igiene e le condizioni di lavoro

L’articolo 32 della nostra Costituzione tutela il diritto alla salute considerando sia il benessere del singolo sia quello della collettività; inoltre lo Stato garantisce cure gratuite per gli indigenti. Al secondo comma dello stesso articolo è espresso un doppio limite, il primo riguarda la libertà della persona di sottoporsi a determinati trattamenti sanitari a meno che questi non siano imposti dalla legge, il secondo riguarda l’inviolabilità dei limiti posti dal rispetto della persona umana.

A riguardo occorre evidenziare che il rapporto medico-paziente nel corso degli anni ha subito una notevole evoluzione; difatti se in origine il medico era visto come un riferimento sicuro per la propria salute, una persona che per conoscenza e competenza si poneva al disopra nel rapporto con il paziente, oggi grazie anche a numerosi interventi legislativi, il rapporto “paternalistico” tra medico e paziente è mutato diventando più equilibrato.

Oggi non solo il paziente ha diritto ad essere curato, ma ha inoltre il diritto ad essere informato sulle cure, gli interventi e gli eventuali rischi ai quali si sottopone; in questo modo, la libertà di decidere viene lasciata al paziente stesso.

Ciò non richiama solo quanto sancito dall’articolo 32 della Costituzione ma anche altri principi anch’essi costituzionalmente garantiti, come l’inviolabilità della libertà personale e il rispetto della dignità della persona umana; tali principi sono ribaditi non solo nell’articolo 1 della Legge n. 833 del 1978, con la quale si istituiva il servizio sanitario nazionale, ma anche in un recente intervento normativo che regolamenta a tutti gli effetti il consenso informato (la Legge 22 dicembre 2017 n. 219, rubricata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”).

In materia di consenso informato la Convenzione di Oviedo consacra il principio secondo cui ogni interessato deve esprimere il proprio consenso prima di ogni intervento e può revocarlo in qualsiasi momento. Il trattato statuisce che ogni paziente ha il diritto di conoscere ogni informazione raccolta sulla propria condizione di salute, in particolare i risultati dei testi genetici. La Convenzione riconosce anche il diritto del paziente a non essere informato.

Affinché sia valido il consenso deve essere: personale (manifestato dalla persona che sia in grado di intendere e volere), esplicito (espresso in modo chiaro e univoco), specifico (deve indicare in maniera puntuale i trattamenti sanitari prospettati o l’intervento da eseguire), attuale (dato all’inizio del trattamento sanitario o dell’intervento da eseguire), libero (senza costrizioni), consapevole (dato dopo aver ricevuto le informazioni necessarie) e informato (dato dopo aver conosciuto anche gli eventuali rischi). A livello internazionale, non si può non menzionare la “Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina” meglio conosciuta come Convenzione di Oviedo; essa considera l’essere umano al disopra dell’interesse della scienza e della società e intende proteggere la sua dignità, i suoi diritti e le sue libertà contro l’abuso dei progressi della biologia e della medicina.

Oltre al diritto all’informazione all’individuo sono riconosciuti una serie di diritti contenuti nella Carta europea dei diritti del malato; quest’ultima, elaborata nel 2002 grazie alla collaborazione tra il Tribunale per i Diritti del Malato e quindici organizzazioni civiche partner della rete europea di cittadinanza attiva, raggruppa i diritti inalienabili del paziente che ogni Stato europeo dovrebbe tutelare e garantire.

Il Tribunale per i Diritti del Malato nasce nel 1980 con lo scopo di tutelare e promuovere i diritti dei cittadini in ambito sanitario e favorire un’umana, efficace e razionale organizzazione del sistema sanitario nazionale. Esso è formato da cittadini comuni, professionisti e operatori dei diversi servizi; attraverso sedi locali, territoriali e regionali il TDM promuove iniziative riguardanti i diritti in ambito sanitario oltre ad offrire un servizio di informazione, consulenza e assistenza su servizi sanitari e socio-assistenziali. L’operato del TDM è finalizzato a rimuovere situazioni di sofferenza inutile e di ingiustizia, senza escludere la protesta pubblica e il ricorso all’autorità giudiziaria, privilegiando però l’esercizio dei poteri di interpretare le situazioni, di mobilitare le coscienze, di rimediare agli intoppi istituzionali e infine a conseguire nel più breve tempo possibile i cambiamenti materiali della realtà che permettano il soddisfacimento dei diritti violati.

Tra le varie iniziative del Tribunale per i diritti del Malato da segnalare vi è la Carta europea dei diritti del malato che si compone di quattordici articoli i quali sanciscono:

  • Il diritto alle misure preventive
  • Il diritto all’accesso
  • Il diritto all’informazione
  • Il diritto al consenso
  • Il diritto alla libera scelta
  • Il diritto alla privacy e alla confidenzialità
  • Il diritto al rispetto del tempo dei pazienti
  • Il diritto al rispetto di standard di qualità
  • Il diritto alla sicurezza
  • Il diritto all’innovazione
  • Il diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari
  • Il diritto ad un trattamento personalizzato
  • Il diritto al reclamo
  • Il diritto al risarcimento

Occorre però sottolineare come alcuni di questi diritti non siano del tutto garantiti, infatti un’analisi reale della sanità evidenzia come le risorse economiche destinate al welfare sanitario non siano impiegate in misura uguale sul territorio nazionale, creando così un divario non solo tra regioni, ma anche tra strutture pubbliche e private per i servizi offerti.

Va aggiunto inoltre che per accedere ai servizi del sistema sanitario nazionale i cittadini devono sottostare a procedure burocratiche molto lente e lunghe che vanno ad incidere negativamente sulla loro necessità di cura e assistenza sanitaria.

Da tutto ciò ne consegue che per ottenere servizi adeguati, che rispondano ai requisiti di tempestività, qualità e innovazione, molto spesso i malati si trovano costretti a rivolgersi a strutture private o al di fuori della propria regione, dovendo oltretutto sostenere costi elevati.

Tale problematica genera una violazione del principio di uguaglianza in quanto non tutti gli utenti godono di una disponibilità economica tale che consenta loro di usufruire di un’assistenza sanitaria all’avanguardia, il che li porta alla drastica scelta di dover rinunciare alle cure. Per cercare di porre rimedio a questa criticità, il ministero della salute con la Legge di Bilancio 2020 ha eliminato la quota aggiuntiva sulle visite specialistiche e gli esami clinici.

Perché in un Paese sviluppato come il nostro possa dirsi raggiunto l’obiettivo di garantire uno stato di benessere, e dunque essere in salute, è necessario: aumentare le risorse destinate al sistema sanitario nazionale, migliorare le strutture sanitarie rendendole più sicure e adeguate alla cura e all’assistenza, far sì che tutte riescano ad offrire servizi innovativi e nel minor tempo possibile anche grazie ad una continua formazione del personale sanitario, ma soprattutto cooperare per fare in modo che il diritto alla salute abbia un’attuazione più ampia e si raggiunga uno stato di benessere anche nelle famiglie, nelle scuole e sul lavoro.

Cosa ci manca?

Ci manca il rispetto costituzionale con un binario di norme giuridiche che ne garantiscono e ne rinforzano il valore e non che osteggiano l’ art 32 della Costituzione; ci serve una rete assistenziale completa ed omogenea, un’unica Sanità nazionale e non 20 differenti, una Sanità che non discrimini ma che sia inclusiva verso TUTTI, un sistema sanitario di tutti e non solo per tutti. Ci manca conoscere il perché della presenza dell’articolo 32 nella Costituzione Italiana, oggi sempre di più sono i giovani e i meno giovani che ignorano il motivo per cui questo articolo è stato scritto. Non basta studiarlo ma è necessario capirlo, approfondire le sue radici e soltanto così potrà acquisire rispetto e potrà essere difeso da ogni possibile attacco.

Gustavo Castellano

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