Lavoro

L’immobilità infermieristica

In una società che mira sempre più alla globalizzazione, allo scambio interculturale, alla crescita e al miglioramento delle idee attraverso lo scambio, le aziende sanitarie italiane, diventano sempre più campanilistiche e autoreferenziali, nei confronti dei propri dipendenti.

E’ attuale la problematica che attanaglia gli infermieri di tutta Italia, e che non permette a molti colleghi di esercitare la propria professione presso l’ente e nel luogo dove scelgono di vivere la vita. Prigionieri di un posto di lavoro che ci si è conquistati col merito, attraverso il superamento di un concorso pubblico, ad oggi unico strumento meritocratico che garantisce la legittimazione del proprio ruolo.

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Succede al nord ma anche al sud, che gli infermieri vincitori di concorsi pubblici, che prestano servizio presso le diverse aziende sanitarie sparse per il nostro Bel Paese, dopo aver obbligatoriamente prestato il loro servizio per anni presso la stessa azienda, in base all’accordo firmato sul contratto di lavoro, vedono negata loro, la possibilità di decidere cosa fare della propria vita, e presso quale azienda svolgere il loro lavoro.

E’ proprio così, una volta che l’infermiere viene convocato dall’azienda presso la quale risulta vincitore di concorso, firmando il proprio contratto di lavoro viene “invitato” a firmare una clausola per cui deve obbligatoriamente prestare servizio presso la stessa azienda per il numero di anni indicato dalla clausola stessa, uno , due o molto spesso cinque anni. Accade che l’”invito” diventa un obbligo e che l’obbligo implica anni di vita.

Al termine di questi anni l’infermiere potrebbe teoricamente, in base alle normative vigenti, avere la possibilità di decidere finalmente della propria vita e decidere in base a necessità personali, familiari, sociali, di salute, o semplicemente per puro piacere, dove svolgere il proprio lavoro e in quale città vivere la propria vita.

Esistono molteplici ragioni per cui si puo’ decidere di cambiare città o posto di lavoro, ad esempio padri e madri che desiderano tornare a vivere vicino ai loro figli; mariti o mogli che desiderano ricongiungersi ai propri coniugi, figli che decidono di vivere accanto ai propri genitori, infermieri che ambiscono a lavorare presso aziende che operano per ambiti specialistici, o che vogliano fuggire da situazioni di mobbing e tanto altro…. Ed è per questo che molti dei nostri colleghi infermieri una volta superato l’obbligo di permanenza, imposto da contratto, presso l’azienda d’appartenenza, manifestano il desiderio di un trasferimento presso altro ente, partecipando a bandi di mobilità.

La procedura di mobilità per i dipendenti che prestano servizio presso amministrazioni pubbliche, è regolata dal  D.Lgs. 30-3-2001 n. 165 che tratta di: “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” All’articolo 30 infatti si parla del “passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse.”

Nello specifico l’articolo recita: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell’amministrazione di appartenenza.”

Questo articolo rappresenta un’arma a doppio taglio per noi infermieri, poiché da un lato esprime la possibilità di trasferirsi presso un altro ente e dall’altra subordina questo diritto di libertà al “consenso dell’amministrazione d’appartenenza”

. Questo articolo è stato ribadito e reso ancor più proibitivo con l’attuale governo attraverso l’emanazione del D.Lgs 114 del 2014  art. 4 in materia di mobilità.

Cosa accade oggi in Italia? Accade che quasi tutte le aziende sanitarie italiane, a causa dei vari piani di rientro, essendo a corto di personale, esprimono parere negativo costringendo gli infermieri, ma anche gli altri professionisti sanitari (tecnici di laboratorio, fisioterapisti, tecnici di radiologia, audiometristi, ostetriche ecc….) a prestare servizio, contro la loro volontà, in aziende e città dove non desiderano lavorare, provocando negli stessi un disagio psicologico, sociale, umano. Spesso dunque ci si trova davanti a situazioni di burnout, e di disagio, a causa di questa libertà negata, da parte di quelle stesse aziende che “dovrebbero garantire la salute dei cittadini”, ma che ignorano quella dei propri dipendenti!

Si ricorda quanto affermato nella “Carta di Ottawa” (documento redatto nel 1986 durante la prima “Conferenza internazionale per la promozione della salute”) e precisamente che: “Grazie ad un buon livello di salute l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e di adattarvisi”.

La capacità di adattamento all’ambiente, dunque, viene considerata un elemento indicatore di un buono stato di salute. Ma perché tutto questo agli infermieri non è concesso? Perché coloro che assistono la salute degli altri non meritano la tutela della propria salute?

Incredibile e vergognoso è pensare che l’ostacolo più grande per gli infermieri sia rappresentato dal parere negativo dei dirigenti infermieristici D.I.P.S.A, perché sì, sono proprio questi dirigenti voluti e ambiti dalla nostra categoria, al fine di controbilanciare la dirigenza medica all’interno delle aziende a tutela della nostra professione a firmare e protocollare questo “parere dell’azienda” sono i responsabili del S.I.T.R.A che negano i nullaosta definitivi per il trasferimento e addirittura i nullaosta preventivi, questi ultimi inesistenti dal punto di vista legislativo vengono puntualmente inseriti nei bandi di mobilità tra i requisiti di partecipazione, non permettendo agli infermieri, non solo di non trasferirsi dove decidono e dove le loro esigenze ed aspirazioni li conducono, ma addirittura impedendo e negando crudelmente la possibilità di poter anche solo partecipare a questi bandi pubblici.

La negazione del nullaosta preventivo e definitivo ha colpito in primis chi scrive questo articolo, ma continua instancabilmente a colpire un numero sempre più numeroso di colleghi. L’invito di questo articolo è di unire le nostre forze, affinchè questo scempio abbia fine, e affinchè i professionisti della salute possano esercitare la tutela della salute, innanzitutto su se stessi. Chiunque abbia storie di nullaosta negati o colleghi che abbiano subito vicende simili, non si limitino a subire ma ricordiamoci che l’ unione fa la forza ritroviamoci su facebook nel gruppo: nullaostanegato.

BEATRICE DIBENEDETTO

GIOVANNI FILANNINO

Redazione Nurse Times

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