Libera professione: poca libertà di scelta, ma talvolta libertà d’azione inattesa

Le attività dell’infermiere cosiddetto “libero professionista” non sono adeguatamente valorizzate, nonostante possano risultare innovative e di qualità

Le attività dell’infermiere cosiddetto “libero professionista” non sono adeguatamente valorizzate, nonostante possano risultare innovative e di qualità

Il collega Alessio Biondino ha descritto perfettamente la realtà degli annunci on-line riguardanti la nostra professione (vedi articolo) ed inoltre cosa sovente si celi dietro la cosiddetta “buona opportunità” di aprire una partita IVA per svolgere attività libero-professionale (v. articolo).
Rileggendo un articolo a proposito della Prima Giornata Nazionale sulla libera professione infermieristica dell’ottobre 2012 (v. link), con amarezza si può constatare che le migliori previsioni espresse dai docenti dell’evento sulla scelta di esercitare come libero professionista sono state, ad oggi, assai disattese.

 

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Nell’occasione, la senatrice Annalisa Silvestro affermò che l’attività libero-professionale potesse essere definita “una scelta coerente con la maturazione della professione e con la consapevolezza dei professionisti infermieri della specificità e autonomia del loro pensiero e del loro agire dopo un ricco e peculiare percorso formativo accademico”.

Innanzi tutto l’apertura di partita IVA nella maggior parte dei casi non è una scelta, bensì un’azione obbligata se si vuol esercitare, data l’assenza di offerte alternative contrattuali valide.

La “maturazione della professione” non ha raggiunto quella consapevolezza auspicata dalla senatrice visto che, ad oggi, giovani laureati (gli stessi che avrebbero svolto un “un ricco e peculiare percorso formativo accademico”) si candidano per proposte avvilenti, addirittura grottesche, come ben dimostrato dal collega Simone Gussoni

(v. articolo).

Chi si è trovato ad esercitare nella contemporanea realtà italiana nell’attesa di un inserimento in contesti dove sussistano contratti degni di esser chiamati tali, sa bene quanto sia difficile arrivare a fine mese, destreggiandosi in una sorta di collage di attività frammentate, scollegate ed incoerenti rispetto a quello che una vera crescita professionale presupporrebbe.

Inoltre il professionista spesso è solo (nel domiciliare, ad esempio), deve prendere decisioni importanti per  il proprio assistito senza potersi consultare con colleghi più esperti ed il datore di lavoro è un semplice committente privo di qualsiasi elementare conoscenza clinica.

È una realtà quindi complessa, nel senso etimologico del termine (“formata da più parti”).
Il termine complessità non possiede né uno statuto epistemologico, né una chiara definizione semantica e la complicatezza è un costituente della complessità.
Nonostante la dimensione impropria e mediocre da un punto di vista strettamente contrattuale, l’infermiere libero professionista può realizzare perlomeno alcuni obiettivi propri della nostra professione: prevenzione, gestione clinica autonoma del proprio assistito, educazione sanitaria.

Tutto questo avviene in contesti domiciliari ed anche in presidi ambulatoriali che fanno capo ad Onlus e Associazioni di vario tipo presenti soprattutto in aree urbane periferiche, in una cornice complessa appunto, dove nulla è scontato.

Benché l’ambulatorio infermieristico (VEDI) risulti ancora qualcosa di non particolarmente convincente poiché non è ancora chiaro ai più il ruolo dell’infermiere, in certe situazioni periferiche avvengono innovazioni che ricordano un po’ il Modello di E. Burgess esposto nel 1925 nel saggio The City  (Burgess, Ernest; Park, Robert; McKenzie, Roderick. La Città. Milano: Edizioni di Comunità, 1967).

La novità (culturale, professionale) viene elaborata e sperimentata nell’area periferica urbana in attesa che venga poi “accettata” nel centro-città, luogo decisionale ed ad alta competitività per eccellenza.

L’infermiere “libero professionista” si trova in piccoli ambulatori la cui gestione è frequentemente suo esclusivo appannaggio.

Una certa diffidenza fa sì che non siano in molti a rivolgersi a questi servizi, ma chi lo fa trova spesso risposte soddisfacenti ai propri bisogni. Questo avviene anche perché in tali contesti il professionista non ha un numero eccessivo di persone da seguire, lavora in autonomia e può effettivamente offrire prestazioni di qualità, essendo effettivamente libero di attuare tutte le fasi del processo di nursing, dall’accertamento alla valutazione.

Accade in silenzio, senza che ci sia il giusto riconoscimento economico e professionale, nell’indifferenza delle varie élite locali promotrici di politiche sanitarie spesso anacronistiche e disattente.

Costanza Bruschi

Redazione Nurse Times

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