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“L’angelo della morte” non oscuri chi lotta per la vita

In fondo è tutta colpa di Rossi e Saccardi, tutta colpa del Servizio Sanitario Toscano e probabilmente anche di Batman e Superman i quali, invece di lottare tra loro, hanno smesso di vigilare su quanto accade nel mondo e una “banalissima” infermiera è riuscita a diventare uno spaventoso serial killer. Serial killer, altro nome più appropriato non vi è, sempre che le accuse vengano confermate.

Già, perché di fronte ad episodi mostruosamente inspiegabili, il garantismo a cui tutti ci appelliamo per una serie infinita di motivi non vale, non possiamo permettercelo e soprattutto non vogliamo pensare che possa accadere nuovamente. In questi casi bisogna agire in fretta, circoscrivere l’infezione, mettere il “caso zero” in isolamento, buttare la chiave e non pensarci più.

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Peccato che il “mostro” di Piombino non sia il primo caso, che sia solo l’ultimo di una serie di casi che in questi mesi hanno affollato le pagine di cronaca nera dei giornali, ovviamente laddove la “morte” non è sopraggiunta per i pazienti, si è preferito non approfondire, non cercare di dare al tragico fenomeno della “violenza” una spiegazione plausibile che uscisse dalle frasi trite e ritrite della psichiatria da avanspettacolo.

Non è solo un problema giudiziario ma un problema professionale che deve essere affrontato, lontano dalle banalità, con la giusta delicatezza che non offenda chi, nei tragici fatti che si susseguono, ha subito la perdita di persone care o ha visto i segni delle violenze sui loro fragili familiari.

E’ chiaro che la difesa di ufficio dell’intera classe infermieristica appare quanto meno inutile, perché se è vero che si tende a generalizzare ed a parlare alla pancia delle persone, dubito che entrando in un Ospedale un qualsiasi cittadino possa pensare di dover temere le persone con una divisa bianca, sarebbe quanto meno stupido per non dire irreale.

Nessuna persona di buon senso può pensare che gli infermieri siano tutti potenzialmente degli assassini come nessuno di noi ha smesso di volare dopo il drammatico suicidio del pilota tedesco che ha portato a morte oltre 200 persone.

Quando mi occupai del caso Narnali con l’articolo “Non è un paese per vecchi” (VEDI), la domanda che faceva da sfondo alle mie riflessioni è se esistevano dei mandanti morali a quelle violenze. Identificai per quel caso una strisciante logica al ribasso delle politiche socio sanitarie affiancate da un mancato rigore formativo che impediva di fatto la crescita culturale di chi si occupava di assistenza a vario titolo.

Nel caso di Piombino tutto quanto da me ipotizzato non trova lo stesso conforto.

La collega era un’infermiera con oltre trent’anni di esperienza, lo stesso Primario della UO DI Anestesia e Rianimazione durante la confernza stampa ha dichiarato, quasi commosso come riportano le cronache, “Una persona con trent’anni di esperienza, maniacale nell’attenzione al paziente, diligente e sensibile”, ha detto a proposito della donna. “Se verrà ritenuta responsabile mi ricrederò di tutto ma voi tutti l’avreste apprezzata come infermiera”.

Come sia stato possibile che una collega ritenuta “diligente e sensibile” possa essersi trasformata in un killer spietato, non facciamoci distrarre dall’aggettivo “maniacale” utilizzato sicuramente senza alcuna volontà ad identificare una spiegazione. Colpisce soprattutto nelle sue ultime parole “voi tutti l’avreste apprezzata come infermiera”.

Dunque non possiamo che aspettare che le indagini facciano chiarezza su quanto accaduto perché ad oggi è pressoché impossibile dare una spiegazione plausibile ed accettabile.

Piuttosto occorre domandarci quale percorso affrontare per prevenire questi casi o se più semplicemente, qualunque percorso venga instaurato, se questi casi saranno sempre presenti nel nostro mondo.

Daniela Poggiali, Sonya Caleffi, Angelo Stazzi, Alfonso De Martino, Antonio Busnelli, Charles Cullen, Stefania Mayer, Maria Gruber, Irene Leidol e Waltraud Wagner sono solo alcuni nomi di “angeli della morte” che in questi anni hanno operato nelle corsie ospedaliere, casi passati all’onore della cronaca e velocemente dimenticati come incidenti di percorso.

Forse siamo davvero impotenti di fronte alla follia omicida, impossibilitati ad impedirne il ripetersi delle violenze, forse questa è l’unica drammatica ed amara verità che dovremmo accettare come classe professionale prima e come uomini dopo.

Sussiste tuttavia l’obbligo di esplorare quanto è avvenuto per obbligo morale, approfondire non per giustificare ne per demonizzare ma solamente per poter provare a raccontare anche “l’altra storia” che non raggiunge mai le cronache quotidiane ovvero quello di colleghi impegnati ad assistere i loro pazienti in qualunque condizione pur di dare delle risposte.

Se dobbiamo davvero provare a mettere in piedi un processo di conoscenza ed approfondimento, facciamolo perché esso sia funzionale a mettere in piena luce una professione che oggi si è di fatto caricata sulle spalle, insieme ai medici, nel sostenere la Sanità Pubblica e lo fa spesso silenziosamente e con una dignità senza pari.

Perché per ogni “angelo della morte” che la storia dell’uomo ci farà incontrare, mille “angeli della vita” lottano perché non venga infangata la loro reputazione di donne e uomini e di professionisti.

Su questo punto mi auguro che si discuta, animatamente nelle corsie e ne luoghi di lavoro, si metta al centro il valore del proprio lavoro in funzione delle comunità a cui apparteniamo.

Piero Caramello 

Redazione Nurse Times

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