L’accessorietà in sanità

L’accessorietà o la strumentalità di una mansione deve avere riguardo alla sua continuità in modo tale da rendere la prestazione completa cioè perfetta, compiuta, tanto da potersi legare alla prestazione principale tramite un rapporto di logica conseguenza in modo che la ratio sottesa le renda uniche ed imprescindibili l’una all’altra; per l’effetto le attività accessorie si collocano all’interno della mansione sia nella fase prodromica che terminale trasformando le tre sequenze in un’unica prestazione senza soluzione di continuità, anche se in sede di giudizio, l’esame giuridico imporrà la separazione delle fasi costitutive per consentirne una profonda disamina ai fini della declaratoria di demansionamento.

Per esempio, la somministrazione endovenosa di un farmaco renderà imprescindibile la rottura della fiale, la sua aspirazione nella siringa, la preparazione del materiale ovvero una serie di attività propedeutiche cioè preparatorie alla mansione (prestazione principale = somministrazione del farmaco) così come lo smaltimento della siringa e del materiale sarà un’attività consequenziale e terminale alla prestazione infermieristica. Su questa esegesi, sorretta da copiosa giurisprudenza si deduce che essendo le attività strumentali razionalmente legate alla prestazione principale, queste debbano possedere il requisito della tipicità della mansione affinché si mantenga inalterato l’ambito dell’agire professionale, evitando di sconfinare in altri profili. Per tali motivi “l’attività strumentale non deve rientrare nella competenza specifica di altri lavoratori di professionalità meno elevata” – ex multis Suprema Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 02 maggio 2003, n. 6714, nn. 7821/01, 2045/98, 6464/93, 3845/92.
In conclusione, quando un’attività presunta accessoria è già contemplata come mansione in una diversa qualifica, non è possibile definirla tale.

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Il criterio qui definitivamente acclarato, contrasta con l’asserzione che lega le attività igienico – domestico – alberghiere come accessorie alle attività dell’infermiere professionale, per almeno cinque motivi:

  1. le attività igienico-domestico-alberghiere non potranno mai essere strumentali all’assistenza infermieristica perché non posseggono alcuna ratio consequenziale alle prestazioni infermieristiche perché nessuna prestazione assistenziale indiretta può legarsi a prestazioni assistenziali dirette cioè ausiliarie. Per esempio, preparare il materiale occorrente alla sostituzione delle lenzuola, sostituire le lenzuola sporche e riassettare il letto, non possono essere legate ad alcuna prestazione infermieristica perché sono attività che si consumano ex sé;
  2. le attività igienico-domestico – alberghiere costituiscono una finalità propria e non accessoria ad altre attività. Possiedono sia la fase prodromica che terminale perfezionando la specifica mansione. Per esempio la finalità delle cure igieniche al paziente non è quella di somministrargli una flebo in ambiente pulito, ma di pulire la persona; diversamente andrebbero puliti solo coloro che devono subire una flebo – terapia non permettendo la ratio dell’accessorietà mansionale altre diverse applicazioni. Il riassetto del letto ha lo scopo di sistemare le lenzuola e sostituire quelle sporche, altrimenti si dovrebbero sostituire le lenzuola solo a colui che deve subire uno specifico trattamento infermieristico. Non solo! Se ciò fosse vero, anche il medico dovrebbe riassettare il letto prima di effettuare la visita medica, perché il cambio delle lenzuola sarebbe funzionale alla visita che deve essere svolta in ambiente pulito. Così il medico dovrebbe effettuare le cure igieniche al paziente prima di spogliarlo per la visita, in quanto è accessorioe strumentale affinché la visita si svolga sul corpo pulito.
    Anche il letto del medico di guardia dovrebbe essere riassettato e la stanza interamente pulita dallo stesso medico che la utilizza per finalità mediche. Il primario è responsabile dei malati, ergo, dovrebbe effettuare il giro letti e le cure igieniche, non potendo applicare ai medici una regola opposta a quella applicata agli infermieri (art. 7, D.P.R. n. 128/69). Tutto questo sembrerebbe assurdo e lo è. Ma non lo è perché si richiede al medico, lo è perché è impensabile che un professionista come il medico debba sprecare il proprio prezioso tempo e talento per svolgere attività semplici, manuali che chiunque altro potrebbe svolgere. Questo ragionamento però non dovrebbe valere solo per il medico, ma per ogni altro professionista, come lo è, appunto, l’infermiere. Non si comprende perché quando si parla dell’infermiere, la logica appena qui sostenuta e sicuramente condivisa da tutti e debba svanire come neve al sole e debba essere sostituita da altre logiche di tipo umanistiche, missionarie e assistenzialistiche. Ed allora l’infermiere diventa, d’incanto, non un professionista come il medico, ma il “soddisfatore” di ogni richiesta espressa dal paziente, la carezza sul volto, la speranza e il conforto di ogni anima sofferente. In una specie di delirio mistico, l’infermiere sostituisce in ospedale il buon samaritano, perdendo ogni fattezza di professionismo e competenza. La dignità al medico, l’abnegazione all’infermiere. Ovviamente, la regola dell’accessorietà deve avere un limite che, appunto, come si è specificato, non deve oltrepassare la tipicità della mansione cioè non deve essere attribuita ad altri operatori subordinati né deve sfuggire alla ratio che la lega alla mansione principale nel pieno ed effettivo rispetto degli altri;
  3. le attività igienico – domestico – alberghiere in ambito sanitario, appartengono a diversi profili rispetto all’infermiere. Il D.P.C.M. 24 settembre 1981, il D.M. 10 febbraio 1984, il D.P.R. n. 384/1990 ed, infine, l’Accordo Conferenza Stato Regioni 22 settembre 2001, disciplinano rispettivamente l’agente socio-sanitario specializzato che si è evoluto in operatore tecnico addetto all’assistenza che si è nuovamente evoluto in operatore socio sanitario. Tutte queste figure ausiliarie devono svolgere precipuamente attività igienico-domestico-alberghiere e, pertanto, escludono che siffatte mansioni possano essere attribuite all’infermiere ex professionale;
  4. il D.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, citato nella lettera in oggetto, non ha portata precettiva. Tale normativa ha subito un’abrogazione tacita, come tutti i rapporti di lavoro del pubblico impiego ante riforma ex D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (privatizzazione della P.A. non economica). Infatti il D.P.R. in parola disciplinava il “rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici, di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, contenuta nell’ipotesi di accordo del 31 luglio 1979 ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli 1, terzo co., 5, 12, 28, sesto co., 53 e 54 nonché agli articoli 17, primo co., quinta linea, e 33, quinto co., perché ritenute in contrasto con la legge 20 marzo 1975, n. 70. (GU n. 289 del 23.10.1979 – Suppl. Ordinario)” ormai sostituito dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro del Comparto Sanità (ARAN) che si rifà, sulle mansioni,all’attuale art. 52, D.Lgs. 30.03.2001 n. 165. Comunque, l’art. 14 del D.P.R. n. 509/79 confuta la tesi del Dott. Montanile: “… Le mansioni proprie di ogni qualifica comprendono, oltre a quelle specificate nella relativa declaratoria, anche gli adempimenti riferibili a qualifiche corrispondenti di altro ruolo ovvero immediatamente inferiori o superiori, dello stesso o di diverso ruolo, purché rivestano carattere accessorio e/o strumentale, siano strettamente collegati nell’ambito delle specifiche procedure l’organizzazione del lavoro no ne consenta l’attribuzione ad altri dipendenti. …”. In poche parole l’infermiere professionale non avrebbe dovuto svolgere alcuna mansione igienico – domestico – alberghiera perché nel ruolo immediatamente inferiore (immediatamente non corrisponde alla categoria ausiliaria ma all’infermiere generico il cui mansionario è tuttora vigente – D.P.R. n. 225/74, art. 6) erano già contemplate le mansioni di assistenza diretta, considerato che tali attività erano svolte, all’epoca (1979) primariamente dall’infermiere generico. L’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001, vigente, è tassativo sul divieto delle mansioni inferiori in quanto permette solo quelle superiori: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore (coordinatore) che abbia successivamente acquisito …” tutta la giurisprudenza in materia punisce il datore di lavoro che assegna il lavoratore, anche difatto, a mansioni inferiori.
  5. La discrepanza funzionale tra infermiere e personale ausiliario, anche comparando esclusivamente l’O.S.S. che è collocato nella declaratoria superiore, è abissale. L’infermiere è come minimo collocato i categoria D fascia zero, mentre l’O.S.S. è collocato in categoria B (nemmeno C) o al massimo Bs. L’intera categoria C distanzia sensibilmente i due diversi ruoli, non permettendo neppure un contatto di affinità o di confine. Le sentenze Tribunale Lavoro Roma n. 15564 del 03 ottobre 2012, Roma n. 2771 del 16 febbraio 2012; Tribunale Lavoro Cagliari n. 1287 del 16 agosto 2013 hanno visto dichiarare demansionante per gli infermieri la chiusura dei ROT, il riordino degli armadi e dei carrelli e il riassetto del letto, condannando l’ospedale a risarcire alle nove infermiere demansionate 278.000 euro. Così anche la Cassazione lavoro n. 1078 del 09 febbraio 1985 aveva dichiarato vietate dagli infermieri il riassetto del letto, l’uso di pappagalli e padelle, rispondere ai campanelli. Cassazione 19.02.2008, n. 4060, nn. 24293/2008; 16.05/2006 n. 11430; 15.04.2002 n. 5444; 04.11.2003 n. 16530; 26.06.1999 n. 6663; 27.06.1997 n. 5737; 12.04.1996 n. 8939, hanno sanzionato il demansionamento vietandolo. Secondo il Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, ordinanza 24 novembre 1999, il demansionamento è un danno grave ed irreparabile che giustifica il procedimento cautelare e l’ordine di reintegra nel proprio profilo professionale (così anche Cass. sez lav., 06.11.2000 n. 14443; 18.10.1999 n. 11727; 11.08.1998, n. 7905; 04.02.1997, n. 1026). La carenza di personale subalterno all’infermiere determina a carico del datore di lavoro un inadempimento contrattuale che si risolve in una situazione lesiva della dignità del lavoratore in quanto comporta un gravoso ed improprio cumulo di mansioni – Tribunale Civile di Milano, Sezione Lavoro n. 2908 del 29 dicembre 1999. 

Riguardo la determinazione delle dotazioni organiche, non è compito dell’infermiere sapere come organizzare il personale e gli uffici anche se un interesse personale potrebbe essere gradito; è fondamentale, invece, per lo scrivente e l’Associazione che rappresenta oltre che per il lavoratore ingenerale, essere garantiti e tutelati, come stabilisce l’art. 2087 C.C., da ingerenze funzionali che nulla hanno a che fare con le attività infermieristiche.

L’azienda si dovrebbe preoccupare di non impiegare gli infermieri come sguatteri tuttofare, come invece fa non per legge ma per mero opportunismo ed egoismo. Solo evitando di sfruttare gli infermieri si potrà creare un clima di serena convivenza e rispetto reciproco, come auspicato dall’art. 7, comma 1, parte b) del D.Lgs. 30.03.2001 n. 165 novellato dalla legge 04.11.2010 n. 183 che così in parte recita:

“Gestione delle risorse umane. Le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno”.

Costringere gli infermieri a svolgere mansioni dequalificanti, umilianti e svilenti che il medico nemmeno oserebbe pensare per la propria categoria, nemmeno in caso di necessità, significa sminuire una professione a beneficio dell’altra e non riconoscere la giusta importanza che ogni lavoro ricopre per il bene collettivo.

Mauro Di Fresco

Redazione Nurse Times

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