La triste storia di un’oss: “A mai più rivederci, maledetto Covid”

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di un’operatrice socio-sanitaria che ha voluto raccontarci la sua drammatica esperienza.

Cari lettori, sono una oss e lavoro in un ospedale lombardo. Sono originaria del Sud, ma, per la carenza di opportunità lavorative dalle mie parti, da quasi sei anni lavoro al Nord. Ora vi racconto la mia triste vicenda.

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Il 22 febbraio vennero a tromarmi mia sorella e mia figlia. In quel periodo si pensava che il coronavirus fosse una cosa lontana e che appartenesse solo alla realtà cinese. Qualche giorno prima del loro arrivo, però, ci fu la notizia del paziente 1 a Codogno, con la conseguente istituzione di  una zona rossa tra i comuni della lodigiana. Negli altri ospedali lombardi tutto appariva tranquillo. Poi arrivarono i Dpi, ma era già troppo tardi (ormai tutti gli ospedali erano infestati da pazienti positivi al Covid-19).

Il 28 febbraio i miei famigliari decisero di tornare a casa in auto, ma prima chuamarono i numeri verdi utili che il sindaco del loro paese aveva postato sui social. Venne detto loro che quella non era una zona rossa e che potevano tornare tranquillamente alle loro vite e al loro lavoro. Durante il colloquio telefonico fu fatto presente più volte che a casa c’erano due anziani con pluripatologie, ma… niente! Tornate a casa cercarono di adotrare tutte le precauzioni possibili: guanti, mascherina e distanziamento sociale (era febbraio e non vigeva ancora l’obbligo delle mascherine).

Purtroppo il 7 marzo mia figlia cominciò ad avere una febbricola, che le passò nel giro di due ore e che non si ripresentò più. Il 12 marzo toccò a mia sorella, con una febbricola che durò meno di 24 ore. Purtroppo il giorno dopo mia mamma cominciò ad avere febbre alta, che non accennò mai a diminuire, né col paracetamolo né con l’antibiotico prescrittole dal medico di base.

Il 23 marzo, finalmente, arrivò il 118. Mia madre era già incosciente e saturava al 70%. La portarono in terapia intensiva e la intubarono con la diagnosi di polmonite interstiziale da Covid-19. Il 24 marzo toccò a mio padre, che lamentava solamente astenia e fiato corto: era lucido e non aveva mai avuto febbre. Premetto che era già cardiopatico, iperteso, con BPCO e in ossigenoterapia h24. Portarono anche lui in rianimazione e lo intubarono. Il giorno dopo arrivò anche per lui la diagnosi di polmonite interstiziale da Covid-19.

Mia mamma è deceduta il 31 marzo e mio padre l’ha seguita due giorni dopo. I primi di marzo ho incominciato anch’io a non sentirmi bene. Prima comparvero nausea, astenia e cefalea, ma li attribuii all’uso per ore e ore della mascherina. Poi persi l’olfatto e il gusto, ed il 16 marzo ebbi 37,5 di febbre per due giorni (poi scomparve). Rimasi a casa per una settimana, poi ritornai al lavoro.

Nel frattempo anche mia sorella si ammalò. La diagnosi, sempre la stessa: polmonite bilaterale da Covid-19. Fortunatamente non necessitava di ricovero e si curò a casa. Intanto il 29 marzo mi sentii male, avvertendo dispnea e tachicardia. Mi recai al Pronto soccorso del mio ospedale, dove mi visitarono, provarono i parametri, feci l’emogasanalisi, l’ECG, la radiografia al torace e il tampone. Tornai a casa, e il giorno dopo mi comunicarono che ero positiva al Covid e che avevo un inizio di polmonite bilaterale. Iniziò quindi una quarantena segnata da sofferenza, solitudine, malattia, dalla morte dei miei genitori, dalla paura per la sorte dei cari che ancora mi restavano.

Nel frattempo il Policlinico San Matteo cominciava a fare i primi tentativi di trasfondere il plasma dei guariti dal Covid ai pazienti gravi. Allora mi venne l’idea di  contattare l’ospedale per offrirmi volontaria per un prelievo di plasma: non ho mai ricevuto risposta! Circa 20 giorni fa ho mandato una mail anche al Papa Giovanni XXIII di Bergamo per lo stesso motivo, ma anche da lì nessuna risposta! Ora mi chiedo: com’è possibile ignorare una simile proposta, quando quasi ogni giorno si fanno appelli in televisione per invitare a donare il plasma? Si sa che il plasma è più efficace se proviene da una persona appena guarita dal coronavirus, perché è più ricco di anticorpi.

Dopo aver effettuato due tamponi nell’arco di 24 ore, entrambi negativi, il 6 maggio mi comunicarono che sono guarita dal Covid. Certo, sono negativa, ma i problemi ai polmoni rimangono. Poi, dopo tutto quello che ho passato, soffro anche di sindrome post-traumatica da stress. Infine l’impossibilità, almeno fino al 3 giugno, di poter riabbracciare i miei cari e di portare un fiore sulla tomba dei miei genitori, non migliora certo la situazione. Ci definiscono eroi, ma per noi nessuna gloria: solo sofferenza, morte, solitudine e paura per la vita dei nostri cari. Grazie di tutto, maledetto Covid 19. A mai più rivederci.

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