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Istamina nel pesce: i rischi per la salute

Parliamo dei rischi connessi alla presenza di istamina nel pesce attraverso un approfondimento a cura dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

L’istamina è una sostanza naturalmente presente nel nostro organismo. Modula diverse funzioni, tra cui la secrezione di acido gastrico, diversi processi cerebrali e del sistema di difesa dell’organismo (risposta immunitaria). Può anche essere introdotta nell’organismo attraverso alcuni alimenti che ne contengono elevate concentrazioni. In particolare pesce, formaggio stagionato, cibi in scatola, cibi fermentati e vino rosso. L’ingestione di alte concentrazioni di può causare effetti indesiderati anche gravi.

L’istamina nell’organismo viene prevalentemente prodotta dai batteri presenti nell’intestino, a partire dall’istidina, un aminoacido importante per la costituzione di numerose proteine, tra cui quelle dei muscoli. Molti batteri gram-negativi che comunemente sono presenti nel cibo o lo contaminano sono in grado di produrre istamina. Si può pertanto concludere che il rischio di intossicazione alimentare da istamina è correlato alla presenza sia di istidina sia di batteri gram-negativi.

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Le specie di pesce più a rischio

L’intossicazione alimentare da istamina avviene principalmente tramite il consumo di pesce ed è una delle intossicazioni più comuni legate a questo alimento in Italia ed in Europa. L’istamina non è presente quando il pesce è ancora in vita: un eccesso di istamina si forma nel pesce conservato in modo inadeguato e impropriamente refrigerato. Infatti, i batteri presenti sulla cute, nelle branchie e nell’intestino, penetrano nei tessuti muscolari e cominciano a produrre istamina.

In linea di principio tutte le specie di pesce “a lisca” impropriamente conservate potrebbero dare luogo all’intossicazione da istamina. In pratica, fra i tipi di pesce comunemente consumati, alte concentrazioni di istidina, e quindi un elevato rischio di formazione di istamina, si trovano principalmente nei pesci appartenenti alla famiglia degli sgombridi, come il tonno, la palamita, la sardina, l’acciuga e lo sgombro. Data l’associazione molto forte con il consumo di questi pesci, l’intossicazione da istamina viene anche tradizionalmente denominata sindrome sgombroide.

Condizioni di conservazione che inducono la formazione di stamina

Per evitare la proliferazione batterica e la conseguente produzione di istamina, i pesci vanno trattati in condizioni di massima igiene e conservati e scongelati a basse temperature (non più di 6°C), evitando l’interruzione della catena del freddo. È molto importante provvedere alla refrigerazione immediatamente dopo la cattura.

L’istamina viene prodotta prima che il deterioramento del pesce possa essere individuato attraverso le caratteristiche sensoriali (aspetto, odore, sapore), soprattutto in presenza di “additivi” che conferiscono apparente freschezza al pesce ma non ne rallentano il deterioramento. Tra questi vi è il cafodos (o cafados), un prodotto non autorizzato in Italia.

Queste sostanze sono di per sé prive di tossicità; tuttavia il loro uso può andare oltre la semplice frode e causare un rischio sanitario, poiché porta il consumatore ad acquistare un pesce apparentemente di buon aspetto ma che ha già alti livelli di istamina al suo interno. Il cafodos e i prodotti simili sono composti da ingredienti molto semplici e non persistenti, come l’acido citrico, pertanto non sono rilevabili dalle analisi di laboratorio.

L’unico modo efficace di individuarne l’utilizzo è durante i controlli nei siti di trasformazione e conservazione del pesce. È fondamentale sottolineare che se l’istamina è già presente nella carne del pesce, la cottura non è in grado di inattivarla.

La tossicità: disturbi e rischi per la salute

Nelle persone sane, l’istamina ingerita con gli alimenti viene rapidamente trasformata (metabolizzata) da molecole proteiche (enzimi) specifiche per l’istamina (aminossidasi). Tuttavia, se i suoi livelli raggiungono una soglia critica, può essere pericolosa per la salute. Può provocare l’insorgenza di reazioni simili a una forma allergica, tra cui nausea, vomito, diarrea, eruzioni cutanee e orticaria, asma e problemi respiratori, aritmia e tachicardia.

Nelle persone in cui i livelli delle aminossidasi risultano insufficienti, a causa di una predisposizione genetica, di malattie gastrointestinali e di farmaci che li inibiscono, anche l’ingestione di piccole quantità di istamina può provocare gravi reazioni allergiche. I disturbi (sintomi) causati da una intossicazione da istamina compaiono molto rapidamente e possono durare fino a un paio di giorni. Nelle persone sane non vi sono complicazioni, ma in chi ha già problemi respiratori (asma) o di controllo della pressione le manifestazioni cliniche posso essere più gravi.

Nel caso si sospetti un’intossicazione da istamina, è consigliabile rivolgersi al proprio medico di famiglia, che provvederà alla prescrizione di antistaminici e cortisonici. Nei casi più gravi, in cui vi fosse l’insorgenza di disturbi respiratori e di pressione arteriosa bassa (ipotensione), è necessario rivolgersi al Pronto Soccorso per ricevere la terapia più appropriata.

Valutazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e limiti di legge

Nel 2011, sulla base di pubblicazioni scientifiche sull’argomento, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha valutato l’istamina, concludendo che, in assenza di misure di prevenzione, esiste un possibile rischio per i consumatori.

L’attuazione di misure igieniche volte a limitare la contaminazione batterica e il mantenimento della catena del freddo svolgono un ruolo essenziale nel ridurre la produzione di istamina. Per le persone sane, nonostante la presenza di incertezze scientifiche, si ritiene sicura l’ingestione di 50 milligrammi a pasto per individuo. Per persone con intolleranza all’istamina o affette da asma e da cardiopatie, si consiglia di mantenersi al di sotto dei limiti rilevabili.

Le normative vigenti (Reg. CE 854/04 e Reg. CE 2073/05) fissano un contenuto massimo di istamina di 200 milligrammi per chilo (mg/Kg) per il pesce fresco e di 400 mg/Kg per i prodotti conservati. Il Servizio Sanitario Nazionale ha il compito di vigilare per verificare il rispetto di questi limiti e il rispetto delle adeguate temperature di stoccaggio e trasporto.

Consigli ai consumatori sulla conservazione del pesce per minimizzare il rischio

Si consiglia di acquistare il pesce presso un rivenditore di fiducia, avendo la certezza della provenienza e della corretta conservazione del prodotto. È estremamente opportuno far pulire il pesce, eliminando le viscere e asportando le branchie e riducendo così la carica batterica.

Una volta a casa, conservare il pesce a temperature inferiori a 6°C e scongelarlo in frigorifero, in modo da non favorire la proliferazione batterica. L’uso dei prodotti come il cafodos rende il pesce brillante come se fosse freschissimo, ma non può mascherare i principi di deterioramento dei tessuti. Pertanto queste pratiche illecite possono ingannare la vista, ma non gli altri sensi.

Per verificare la freschezza del pesce si consiglia di:

  • tastarlo per verificarne la sodezza
  • controllare gli occhi: non devono essere appiattiti e infossati
  • annusarlo per verificarne l’odore
  • verificare le branchie: non devono apparire brune e opache

Redazione Nurse Times

Fonte: Iss Salute

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