Tra la sfide più importanti del Collegio IPASVI di Firenze l’identificazione di una nuova figura di infermiere di famiglia e di comunità.
L’infermiere di famiglia e di comunità è un professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica a servizio della persona, della famiglia e della collettività. Opera nel territorio e ha la responsabilità di assistere e di prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute e della libertà. Lavora sui percorsi clinico-assistenziali in continuità con gli ospedali, con le case di cura e con le residenze assistenziali.
“Questa nuova figura del nurse – spiega Cecilia Pollini, vicepresidente del Collegio IPASVI di Firenze – è stata concepita per avere propria autonomia, come qualsiasi tipo di professionalità. Per questo, come area territoriale, stiamo lavorando ad un progetto ad hoc da presentare alla Regione Toscana e all’Università di Firenze. In questo senso abbiamo già programmato un incontro con il responsabile regionale servizi alla persona, Lorenzo Roti e vogliamo promuovere un convegno, ad aprile, per presentare il progetto”.
Un impegno importante per costituire un gruppo di professionisti esperti nelle attività e nelle politiche territoriali che sappia valorizzare e implementare le attività infermieristiche extraospedaliere o poco conosciute.
“In questi mesi come area territoriale – precisa Cinzia Beligni del Collegio IPASVI di Firenze – abbiamo partecipato a diversi workshop e sessioni di lavoro in occasione della “Festa del medico di medicina generale”, promosso eventi come “La fiera della salute” e vogliamo tornare ad occuparci da vicino della sanità in carcere. Naturalmente ci siamo concentrate, soprattutto, sul progetto dell’infermiere di famiglia e di comunità, affinché possa partire al più presto la sperimentazione sul territorio”.
Gli infermieri, infatti, avrebbero già le competenze necessarie per assistere la persona nella sua globalità, collaborando con i medici (e non lavorando su due livelli differenti) per il pieno raggiungimento degli obiettivi di salute. E la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità potrebbe, in molti casi, impedire la re-ospedalizzazione, evitare il riacutizzarsi di patologie croniche, ma anche ridurre gli accessi impropri al pronto soccorso. Senza dimenticare che, per molti professionisti, potrebbe essere una buona opportunità lavorativa.
“Potremmo poi pensare – conclude la vicepresidente Pollini – di concerto con la Regione e l’Università ad un percorso di laurea, con un iter comprensivo del 3+2 riconosciuto anche contrattualmente e nei percorsi di carriera. La vera sfida sarebbe quella di avere un corso di laurea in Scienze Infermieristiche e tre grandi indirizzi specialistici: uno per l’infermiere di famiglia e di comunità, uno per l’infermiere in ambito ospedaliero e uno per il management e il coordinamento”.
Massimo Randolfi
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