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Infermiere neo-mamme: un percorso tutto in salita?

Recenti indagini hanno evidenziato le numerose difficoltà che le madri lavoratrici devono affrontare.

Come ogni anno, anche ieri, nella Giornata dedicata alle donne (8 marzo), si è cercato di ricordare le difficoltà, le discriminazioni e gli ostacoli che nel tempo e nei vari luoghi del mondo il gfentil sesso han subito e ancora subisce. A tal proposito ricordiamo una ricerca, elaborata nel 2021 dalla testata Reboot Online, che analizza le condizioni  lavorative delle neo-mamme europee e le loro possibilità di accesso ad avanzamenti di carriera.

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Su 30 Paesi europei, inaspettatamente, la Bulgaria risulta al primo posto in termini di possibilità di carriera e agevolazioni nel peridodo di maternità. Il Paese dell’Est Europa permette alle neo-mamme di chiedere un periodo minimo di 58,6 settimane di congedo (410 giorni) e paga il 90% del loro stipendio durante tale periodo. Al secondo posto troviamo la Croazia, che offre alle mamme possibilità simili. L’italia, purtroppo, è classificata soltanto all’ottavo posto. Ultima la Turchia.

Un’altra ricerca, questa volta elaborata dal sindacato Nursind, sottolinea la condizione delle neo-mamme infermiere italiane. Nonostante le tutele legali esistenti, non mancano le note dolenti. Tra tutte le infermiere neo-mamme intervistate, il 44% attribuisce al lavoro il motivo per cui non ha avuto altri figli. Emerge inoltre che il connubio maternità-lavoro, per alcune infermiere, diventa difficile e traumatico, sopratutto per l’atteggiamento ostile che le aziende sembrano assumere nei loro confronti. Un’atmosfera poco conciliante genera un rapporto di scarsa fiducia tra datore di lavoro e dipendente, che rischia di culminare in assenze improvvise o in gestioni discutibili del diritto alla maternità.

I punti cruciali del rapporto difficile tra maternità e lavoro sono:

  • Permessi per allattamento – Nella ricerca stilata da Nursind il 12% circa delle infermiere intervistate ha dichiarato di non aver usufruito di questo congedo perchè non conoscevano la possibilità di farlo, mentre il 6% ha risposto di non aver usufruito dell’allattamento per non creare “problemi aziendali”.
  • Congedi per malattia del figlio – Il 6% delle infermiere intervistate non ha usufruito a pieno di questo congedo “per non gravare sui colleghi” o “per non lasciare il turno scoperto”.
  • Rientro al lavoro – Il 63% delle intervistate è tornato nello stesso reparto o servizio in cui le stesse erano impiegate prima della gravidanza. Quando c’è stato uno spostamento, le preferenze delle infermiere interessate sono state tenute pienamente in considerazione nel 13% dei casi. Nel 63% dei casi l’azienda ne ha tenuto conto “in parte”, mentre il restante 23% delle infermiere afferma che non sono state considerate affatto. In alcuni casi il trasferimento è stato vissuto in maniera molto critica, in particolare quando ciò ha comportato il dover accettare mansioni professionalmente meno qualificate.

Purtroppo tutte le neo-mamme che hanno manifestato difficoltà e disagio nel rientro a lavoro, attribuiscono la responsabilità di questa situazione a colleghi e coordinatori. La maggior parte dei colleghi non ha miostrato un atteggiamento solidale e non ha sostenuto la neo-mamma, ma anzi ha criticato assenze e congedi. Molti coordinatori sono poi accusati di non avere competenze comunicative adeguate: commenti verbali malevoli per aver usufruito dell’orario ridotto per l’allattamento, “a differenza di altre colleghe che non l’hanno fatto”; organizzazione della turnistica senza tenere conto delle difficoltà organizzative delle neo-mamme; mancanza di adeguata formazione dei coordinatori sulle normative e sulle modalità di accesso al lavoro post-gravidanza.

Duole sottolineare che nella maggior parte dei casi i coordinatori o i colleghi ostili, secondo quanto riferito, sono donne. La condizione delle infermiere neo-mamme, dunque, è ancora da migliorare, per ottimizzare anche un’organizzazione aziendale che rischia di dover sopperire ad assenze improvvise, causate dall’impossibilità delle lavoratrici di conciliare lavoro e famiglia.

Alla luce di queste criticità esistono tante strade da percorrere per agevolare le infermiere mamme e creare così una sorta di “patto di solidarietà” tra azienda e dipendente, affinché entrambe le parti ne guadagnino.

La prima soluzione per agevolare le mamme e permettere loro di affrontare i turni di lavoro serenamente è rappresentata dalla creazione di nidi aziendali. Questi non sono una realtà esistente in tutti gli ospedali italiani e, laddove esistano, spesso sono ceduti a privati, che richiedono costi mensili proibitivi per alcune categorie di lavoratori, oltre a orari poco flessibili. Un nido con costi contenunuti e orari flessibili permetterebbe alle infermiere neo-mamme di lavorare con serenità e costanza, eliminando il rischio di assenze improvvise.

Inoltre una maggiore attenzione alla gestione degli orari di lavoro, il ricorso al part-time, convenzioni con servizi di babysitting, offerte di servizi come lavanderia e mensa take-away ottimizzerebbero il tempo dei neo-genitori, favorendo una maggior presenza al lavoro.

Oltre a ciò, visti i rapporti talvolta difficili con alcuni coordinatori, l’azienda potrebbe organizzare momenti ad hoc pre e post-congedo, con specifiche forme di formazione (ad esempio sulla normativa vigente in tema di maternità, sulla salute e sulle misure da osservare nel corso della gravidanza). Infine si potrebbe mantenere un filo diretto e continuo con le neo-mamme, informandole di ciò che accade in azienda durante la loro assenza. E al rientro dovrebbe essere obbligatorio organizzare un incontro per capire le nuove necessità della madre e cercare una soluzione condivisa.

Tutte queste iniziative favorirebbero un clima di fiducia reciproca tra dipendente e datore di lavoro, contribuendo al progetto di una sanità eccellente e, sopratutto, di una società veramente civile. Come diceva Oscar Wilde, “Date alle donne occasioni adeguate ed esse saranno capaci di tutto”.

Valeria Pischetola

Redazione Nurse Times

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