Ecco, ci risiamo, il passato non ci insegna niente. Lo disconosciamo e magari, da ottimisti, lo vediamo roseo come il futuro, se non di più. La nostra memoria, purtroppo, vaneggia, si nasconde in antri bui dove neanche il sole farebbe luce. Ma la legge di Murphy ci viene incontro e ci insegna che “Se qualcosa può andar male, andrà male”. In poche parole, la memoria ignora la probabilità dell’accadimento di un evento negativo, ma ciò non esclude il fatto che non sia impossibile.
Probabilità e frequenza, due problemi che non possiamo permetterci di trascurare, noi che ci accupiamo di salute, sicurezza del paziente e qualità delle cure. Il ricordo senza apprendimento è vano, l’importanza dell’elaborazione è significativa per il costrutto mnemonico. Fino a quando non riutilizziamo quello che abbiamo chiuso e serbato in un “cassetto”.
Tutto finisce nel dimenticatoio, come si suol dire. In un angolino, al riparo da che cosa, poi? Rinchiudiamo le nostre paure? Servirà a qualcosa, specialmente sprangare le porte ai nostri ripetuti orrori? Ma questo cassetto a volte esplode, altre implode, e i danni sono irreparabili, le schegge impazzite ne innescano di altri e peggiori.
Ecco, la storia si ripete, e prende le solite vesti dismesse del passato. Un buco nel pavimento all’ingresso del reparto di Nefrologia e dialisi dell’ospedale S. Caterina Novella di Galatina (LE). Non si tratta certo di una voragine. Nel tempo è rimasta impassibile, si è levigata, ha smussato la sua pericolosità. Sì, perché sembra, a parere del Nuovo Quotidiano di Puglia (edizione di Lecce) del 24 agosto scorso, che sia lì da alcuni mesi, recando non pochi disagi a utenti e operatori.
C’è stato solo un piccolo near-miss (quasi incidente) per una ruota di barella rimasta incastrata nell’anfratto, tanto che il paziente ha sussultato un pochino, ma niente di che. Succede. Per di più la buca si è “autoriparata” con gomma e cerotto. È una buca intelligente, si “auto-chiude”, essendo consapevolmente conscia del danno che potrebbe provocare.
Ma ormai tutta la pavimentazione presenta delle lesioni. In attesa di una presa di coscienza anche del suolo, con una solerte auto-recriminazione e successiva auto-riparazione, si spera in una campagna di sensibilizzazione ospedaliera tramite cartelli con avvisi al “salto della buca”.
Ma come si fa a scherzare sulla salute? Come si fa a prescindere da ciò che ci insegna il passato? Nel 2003, al “Cardarelli” di Napoli, una donna cadde dalla barella, finì in un fosso, e morì per “grave trauma encefalico”. Il portantino fu condannato. Secondo la Cassazione (2013), infatti, l’uomo non prestò le dovute attenzioni, pur conoscendo le precarie condizioni in cui versava il nosocomio napoletano. Nello specifico l’accadimento riguardò il fatto che nel pavimento una mattonella non era al suo posto. Cosicché la manovra azzardata per disincagliare la barella, tenendola di spalle e non di fronte, ne causò il ribaltamento.
È stato stimato che nel 92% dei casi le cadute siano dovute a problemi di carenza strutturale o di “cattiva gestione” del paziente da parte del personale.
Cosa dice la Legge? Si richiama all’uopo il caso di Responsabilità della struttura ex art. 2051 c.c., in cui emerge una responsabilità oggettiva del proprietario del bene per mancata manutenzione (buche, pavimenti scivolosi, ecc.). In poche parole, come stabilito dalla Suprema Corte (Cass. 2 aprile 2004, n. 6515), all’azienda ospedaliera viene richiesta un’adeguata attività di vigilanza e controllo dei propri beni patrimoniali, garantendo standard di diligenza ed efficienza certamente più elevati, in considerazione delle particolari caratteristiche dell’utenza, alla quale non può richiedersi, nell’uso del bene pubblico, quel livello di vigilanza e di accortezza normalmente spendibile dall’uomo medio in discrete condizioni di salute(salvo che provi il caso fortuito).
Quindi si attende una chiara e repentina risoluzione. Un incisivo appoggio logistico, un aiuto a quell’insidioso pavimento che non guarirà neanche di “quarta”… intenzione. Un occhio al passato è d’obbligo, ci aiuta a non rimarcare gli errori, a non cullarci su allori non meritati.
Giovanni Trianni
Infermiere legale forense
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