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Il caso dell’infermiera di Piombino ad Uno Mattina in Famiglia: ma la catena dei controlli funziona?

Continua a far discutere il caso dell’infermiera arrestata a Piombino, sospettata di aver ucciso 13 pazienti con delle iniezioni letali di eparina, rinominata dai media con nomi quali “Infermiera Killer” o “Angelo della morte”.

Si chiama Fausta Bonino e su di lei ricadono forti sospetti: dieci i casi di decessi in quattordici mesi, dal 13 gennaio 2014 all’11 marzo 2015, tanti, troppi, tanto da richiamare le attenzioni del Direttore Generale della Asl di Livorno che decide di capire meglio cosa stesse succedendo nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Piombino.

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A maggio i carabinieri del Nas cominciano ad indagare. Dopo i decessi inspiegabili, i medici avevano analizzato il sangue dei ricoverati e avevano trovato un’alta concentrazione di un farmaco che non doveva essere somministrato, l’eparina. Vengono inviati due campioni di sangue degli ultimi due ricoverati morti in maniera sorprendente per i medici che li avevano in cura.

E’ il Centro trombosi dell’ospedale Careggi di Firenze ad alzare il telefono per avvertire i colleghi di Piombino che quei campioni ematici parlano da soli: la concentrazione di eparina nel sangue delle vittime è così alta “da escludere la negligenza” o l’errore incauto di un infermiere, visto che in entrambi in casi il farmaco non rientrava nelle terapie prescritte dai medici.

Per l’ospedale “Villamarina” è la prova che qualcuno in reparto somministra l’anticoagulante al di fuori di ogni protocollo. Qualcuno che continua a farlo, visto che nei mesi seguenti altri tre pazienti muoiono nella stessa maniera. Due di loro presentano la stessa caratteristica degli altri dieci: una concentrazione anomala di eparina nel sangue.

E’ l’estate del 2015 quando gli inquirenti, d’accordo con la struttura ospedaliera, cominciano a restringere il campo dei sospetti: in anestesia e rianimazione a Piombino lavorano quasi trenta persone tra medici, infermieri e operatori sanitari. Ma basta incrociare i turni con i decessi incriminati per arrivare a un nome univoco, quello di una infermiera sempre presente al momento della morte dei 13 pazienti e nelle ore precedenti. Fausta Bonino. A suo carico anche delle intercettazioni che, secondo i magistrati che stanno conducendo le indagini, la inchioderebbero.

Intanto domani sarà una giornata cruciale per questa vicenda, è previsto infatti l’interrogatorio di garanzia presso il carcere di Pisa; lei continua a dichiararsi innocente.

Di fatto, si avranno forse delle prime risposte. Una persona gentile e sorridente, con circa 30 anni di esperienza, può effettivamente trasformarsi in una killer metodica e spietata?

Ovviamente la vicenda di cronaca è esplosa dal punto di vista mediatico, richiamando nei vari Talk criminologi, psichiatri, ed anche la nostra massima rappresentante, la presidente della FNC Ipasvi Barbara Mangiacavalli,

a cui spetta il compito gravoso di argomentare su di una vicenda che ha colpito l’intera comunità professionale.

Nell’ultimo appuntamento televisivo “Uno Mattina in Famiglia” (VEDI) andato in onda oggi su Rai1, condotto da Tiberio Timperi ed Ingrid Muccitelli, sono intervenute la dott.ssa Barbara Mangiacavalli e Francesca Moccia, presidente del Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva.

Attraverso un comunicato di qualche giorno fa la federazione Nazionale IPASVI esprime ferma condanna per questo tipo di episodi: “Non c’è nessuna giustificazione per atti di questa rilevanza, la legge deve essere durissima perché quanto avvenuto è inaccettabile.

Un episodio di questa entità non può verificarsi in un ospedale pubblico,  perché ci sono una serie di controlli e di organi competenti che sono deputati alla gestione del rischio clinico; sono strutture che dovrebbero mettere in campo una serie di procedure e protocolli che possano facilitare il contenimento di alcuni alert della vita sanitaria.

Ricordo che gli infermieri, in funzione alla collocazione lavorativa, effettuano delle visite periodiche  di controllo, e per ognuno viene redatta una relazione sullo stress da lavoro correlato.

Secondo alcuni studi, lo stress in corsia colpisce 1 persona su 4, ed attualmente, a seguito delle difficoltà economiche con la perdita di moltissime unità di personale in organico con blocco del turnover, il contingentamento degli organici, nonostante l’applicazione della legge europea che prevede momenti di riposo tra una turnazione e l’altra volti al recupero psicofisico, viene rispettato nella forma, ma non nella sostanza”.

Durante la diretta di Uno Mattina in Famiglia la presidente Mangiacavalli pone all’attenzione dei suoi interlocutori la questione della valutazione, da parte del Ministero della Salute e delle regioni, delle reali condizioni di lavoro degli infermieri.

La domanda che tutti si pongono: come evitare questa deriva di morte?

Ovviamente, se le accuse dovessero essere confermate siamo di fronte ad una killer seriale, e solo il caso vuole che questa sia appunto un’infermiera.

E allora come neutralizzare casi come questo in futuro?

Noi crediamo che sia opportuno creare degli “alert” e prevenire derive di questo tipo. Le ipotesi proposte vedono la costituzione di gruppi di prevenzione del burnout per non lasciare abbandonati a sè stessi gli operatori sanitari in situazioni limite, evitando così che si raggiungano livelli di stress intollerabili che sfociano in reazioni imprevedibili e pericolose  per lo stesso operatore e, soprattutto,  per il paziente.

Savino Petruzzelli

Redazione Nurse Times

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