Massimo Randolfi

Gli infermieri e la “regola dell’abbiamo sempre fatto così”. Le riflessioni di un laureando

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di sfogo di Fulvio, studente giunto alla fine del proprio percorso. Demoralizzato da alcune esperienze negative, ha deciso di esternare i propri sentimenti.


Gentilissimo collega, o, per meglio dire, futuro collega, mi presento. Mi chiamo Fulvio, ho 22 anni. Sto per concludere il terzo, nonché ultimo anno del corso di laurea.

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Se tutto va come dovrebbe, a novembre sarò anch’io membro del nostro ormai Ordine delle Professioni Infermieristiche. Sto per terminare anche le ore di tirocinio, attualmente presso una C.O. 118.

Mi rivolgo alla Sua gentile attenzione poiché ho il bisogno irrefrenabile di dar sfogo ad una frustrazione che mi porto dentro dall’ultimo turno di tirocinio.

Turno di notte, ore 2:15: l’equipaggio del MSA (del quale seguo gli interventi con medico ed infermiere specialista) viene allertato dalla centrale operativa per una paziente con riferita insufficienza respiratoria e forti rumori polmonari.

Giunti sul posto rinveniamo una paziente di circa 80aa diaforetica, posta in posizione Fowler dai familiari, con forti rantoli udibili già da prima dell’ingresso nella stanza.

All’auscultazione, il medico formula già il sospetto di Edema Polmonare Acuto. Allo stesso tempo, riscontrando SpO2 inferiore all’ 80%, viene somministrato ossigeno in maschera BLB dall’infermiera, mentre io mi accingo a reperire un accesso venoso periferico.

La paziente viene poi trasferita sulla barella per essere trasportata in pronto soccorso.

Giunti in PS, dopo aver ultimato le procedure, il medico mi invita ad auscultare il MV della paziente a fine didattico, dati i rantoli davvero ben udibili e caratteristici. Nelle procedure di accettazione non riesco ad auscultarla bene, motivo per cui chiedo il permesso di tornare dentro e ritentare.

Al mio ingresso nell’ambulatorio di PS trovo un’infermiera, in attesa del medico che avrebbe visitato la paziente. Mi presento e, riferendo quanto detto dal nostro medico, chiedo gentilmente se, in attesa del medico di PS, potessi auscultare la paziente.

Non riesco a terminare la richiesta che vengo investito da uno sguardo carico di sdegno. In un impeto contornato da dialetto volgare e tono sufficiente, l’infermiera, si rivolge a me dicendo:

“Ma tu chi sei? Un medico? E che vorresti fare? Auscultare? No, No. Queste non sono competenze per infermieri, qua lo fanno i medici.”

Resto impietrito. Io, che in genere non ho mai avuto problemi a tener testa a infermieri del genere, non sono più riuscito a proferir parola. Con la coda fra le gambe e lo sconcerto in faccia, per quello che avevo appena sentito, mi congedo e torno alla C.O.

Nel tragitto non mi frullavano in testa altre parole che “Accertamento infermieristico, ispezione, palpazione, percussione, auscultazione”.

L’ ambiente nel quale svolgo il tirocinio, ancora non capisco se purtroppo o per fortuna, è composto da estremi. Una buona parte, in calo, di infermieri vecchio stampo (alcuni ancora generici); la restante parte è composta da neolaureati assunti da agenzie interinali.

O bianco, o nero. Qualche sfumatura di grigio, fortunatamente capita, come l’infermiera, specialista in area critica, con cui abbiamo svolto l’intervento quella sera, e i vari tutor di tirocinio.

È da queste persone che uno studente come me riesce a trarre il massimo. A prescindere dall’opinione generale, è vero che l’infermiere anziano possiede un bagaglio di esperienza inimmaginabile al mio livello, ma difficilmente è in grado di condividerlo secondo evidenze scientifiche come siamo abituati noi fin dal primo anno.

In questo modo si finisce per imparare procedure e tecniche “perché qui si fa così” o ancor peggio “perché in 30 anni di servizio ho sempre fatto così”.

Tutto ciò mi ricorda un po’ quando da bambini si chiedeva qualcosa ai genitori e questi, per non volere seccature, rispondevano con un lapidario “perché sì/no”.

Non a caso prima ho specificato che la componente anziana, ultimamente, sia in calo: parlando con miei amici e compagni di corso, ci siamo resi conto di come, con il pensionamento di molti di loro, venga a mancare nei reparti quella componente spigliata e disinvolta, ma arretrata, di personale, lasciando posto a infermieri giovani e neolaureati, pronti e aggiornati, ma inesperti e con capacità di problem-solving ancora da sviluppare.

A questo punto, sul piatto della bilancia, cosa viene a pesare di più? La perdita di personale esperto, o il freno allo sviluppo della professione che, sfortunatamente, come sopra dimostrato, molti di loro purtroppo costituiscono?

Ovvio è che questo termine di confronto non debba in alcun modo generare dissapori o dislivelli fra pari.

L’intenzione è tutt’altra, ovvero quella di fornire uno spunto di riflessione fra colleghi esperti e colleghi meno esperti, un punto di incontro in cui discutere dello sviluppo, dell’evoluzione della nostra amata professione, a volte portata ad essere odiata ancor prima della laurea, dai nostri stessi colleghi o superiori.

Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante con la costituzione di un Ordine Professionale, con la richiesta a gran voce del riconoscimento delle competenze specialistiche, la ribellione sul contratto nazionale: tutte cose che fanno ben sperare nel futuro persone come me, prossime alla laurea.

Aspettative incredibili che poi crollano davanti ad un “ma sei un medico? Queste non sono cose da infermieri.”.

È per i motivi sopraelencati che faccio questo tentativo. Sperare che possano le mie parole passare per i vostri megafoni e giungere alle orecchie di un popolo di Professionisti che si sta svegliando, affinché questo ben voluto risveglio, non subisca più battute d’arresto del genere.


Caro Fulvio, gli episodi da te descritti sono stati vissuti da molti altri colleghi. Purtroppo la professione infermieristica deve spesso combattere contro gli infermieri stessi per poter evolvere. In bocca al lupo per la tua prossima carriera professionale.

Simone Gussoni

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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