Fsi-Usae indice lo stato di agitazione. Bonazzi: “Basta. È ora di finirla. Con un contratto così, nel comparto, i professionisti sanitari continueranno ad essere retribuiti con paghe da fame”

Fsi-Usae, organizzazione con decine di migliaia di iscritti nel comparto della sanità pubblica, ha indetto lo stato di agitazione del personale del comparto sanità e chiesto l’attivazione della procedura conciliativa prima di procedere con una stagione di manifestazioni e di scioperi nazionali degli operatori del comparto.

Lo stato di agitazione è ampiamente giustificato dai contenuti del documento diffuso in questi giorni, “Atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale del triennio 2019- 2021 per il personale del comparto della sanità”.

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Un documento che dichiara di aver recepito gli obiettivi contenuti nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale del 10 marzo 2021, in cui sono previsti a regime 1.015,57 milioni di euro a decorrere dal 2021 (per gli arretrati del 2019 e 2020 sono invece previsti, rispettivamente, 301,54 e 466,22 milioni).

Basta. È ora di finirla. La bozza di direttiva non prevede né il superamento del vincolo dell’esclusività per le professioni sanitarie né, tantomeno, la riclassificazione di tale personale nella dirigenza. Prevede solo un limitato riequilibrio nei limiti delle compatibilità economiche. Ciò significa che anche in questo contratto non si prenderà atto della crescita professionale, delle nuove competenze e delle specializzazioni che negli ultimi venti anni la legislazione ha imposto nel settore ai professionisti sanitari che con un contratto così, nel comparto, continueranno ad essere retribuiti con paghe da fame. Nella sanità le cosiddette alte professionalità già ci sono: sono le professioni sanitarie; professioni a cui si accede con laurea specifica” afferma il segretario generale, Adamo Bonazzi che continua : “con un facile calcolo possiamo quantificare gli aumenti medi mensili lordi in una somma di poco superiore ai 90 euro, a cui vanno però detratte le somme che già sono in busta paga dei lavoratori (come l’indennità di vacanza contrattuale) che ridurranno la disponibilità effettiva a poco più di 70 euro medi mensili lordi pro capite. Una somma indecorosa per il personale di un comparto, la sanità, che esce con le ossa rotte da un’epidemia ancora non terminata

 e che già è stato costretto ad ingoiare – mal volentieri – il rospo di un Ccnl 2016-2018 dagli aumenti evanescenti con la promessa (ora infranta) della riclassificazione prevista dall’art.12. Le risorse stanziate non basteranno a garantire agli Infermieri ed ai professionisti Tecnico Sanitari, della Riabilitazione e della Prevenzione, uno stipendio base netto mensile di almeno 2.000,00 euro, cifra che è considerata irrisoria da tutte le altre professioni intellettuali e che invece, ancora una volta, sarà loro negata”.

Fsi-Usae ha criticato la quantità di risorse stanziate dal governo nelle varie finanziarie in favore dei Lavoratori del comparto sanità che ricordiamo hanno retto, in questi ultimi due anni, un’emergenza pandemica senza confronti nel secolo scorso ed ha, inoltre, stigmatizzato il fatto che questa direttiva arrivi a metà dell’ultimo anno del triennio contrattuale e che l’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, non sia ancora in grado di aprire la trattativa per la sottoscrizione del contratto di lavoro con delle proposte che siano specifiche per il settore della sanità limitandosi a riproporre le soluzioni oscene già fatte per il comparto delle Funzioni Centrali dove vorrebbe istituire un’area per le “alte professionalità” ben retribuita ma vuota, senza nessuno dentro, che Fsi-Usae definisce una vera e propria “presa in giro” per i lavoratori.

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