È uscito in questi giorni il rapporto Agenas sul personale del Ssn relativo all’anno 2020. A impressionare sono i dati relativi alle due principali professioni del nostro servizio sanitario. Parliamo di medici e infermieri. Nel contesto europeo, scrive Agenas, il nostro Paese domina le graduatorie per numero di medici che praticano attivamente la professione: 4 medici ogni 1.000 abitanti, contro i 3,17 della Francia e numeri per Spagna (4,58) e Germania (4,47), simili ai nostri. Completamente opposto il dato relativo agli infermieri rispetto ai medesimi Paesi europei: 6,2 infermieri per 1.000 abitanti in Italia, contro gli 11 della Francia e i 13 della Germania per 1.000 abitanti.
«Di fronte a questo quadro europeo di grave carenza – sottolinea Sonia Todesco, della Fp Cgil Veneto -, anziché invertire la rotta, sostenendo e incentivando una maggior offerta formativa, anche con costi interamente a carico dello Stato, il Governo italiano, col Decreto legge del 28 marzo u.s., apre alla deregolamentazione del servizio pubblico, togliendo tout court il vincolo di esclusività agli operatori sanitari fino al 2025».
Il personale sanitario dipendente dal Ssn potrà quindi aprirsi la partita Iva e lavorare per il privato dopo o prima il suo orario di lavoro in azienda. Lo potrà fare anche per quel privato palesemente in concorrenza, e quindi in conflitto di interesse col servizio pubblico. Il Governo, infatti, oltre a togliere il vincolo di esclusività (lavorare solo per il servizio pubblico), deroga anche all’art. 53 del D.lgs 165/2001, che individua le attività extraistituzionali assolutamente vietate e quelle che possono essere svolte solo previa autorizzazione (incompatibilità relative).
Continua Sonia Todesco: «Ad analizzarlo bene, il Decreto legge, si nota come per le due categorie professionali, medici e operatori sanitari del comparto (infermieri, ostetriche, fisioterapisti…) siano state trovate soluzioni completamente opposte. Da una parte, con l’art. 11, il Governo prevede l’aumento a 100 euro l’ora per le prestazioni aggiuntive dei soli medici svolte all’interno dell’azienda, mentre nulla viene previsto per il personale sanitario del comparto. Lo Stato rinuncia quindi allo straordinario contributo che dava e avrebbe potuto ancora dare il personale del comparto, sempre all’interno delle aziende sanitarie, all’abbattimento delle liste di attesa. Dall’altra parte si consegna la possibilità di aumentare il proprio reddito, con l’art. 13, al privato».
Oggi in Veneto la tariffa media oraria per una prestazione aggiuntiva di un infermiere (ad esemio in sala operatoria) non è fissata né per legge né per contratto nazionale, ma da tariffe aziendali (peraltro una diversa dall’altra), e si aggira attorno ai 35 euro lordi.
«Come Fp Cgil Veneto – prosegue la sindacalista -, abbiamo chiesto alla Regione di valutare la fattibilità di una norma regionale che regolamenti e fissi una tariffa dignitosa anche per il personale del comparto, perché a tutt’oggi l’istituto è normativamente molto fragile. Con l’abolizione del vincolo di esclusività è probabile che l’attività prestata oggi in regime di “prestazione aggiuntiva” dal personale infermieristico in Veneto (ad esempio l’attività di sala operatoria aggiuntiva per l’abbattimento delle liste di attesa) verrà a cessare. Il privato, a caccia di utili, sarà disposto a pagare bene questo personale che, immesso senza vincoli nel mercato, sceglierà la remunerazione migliore».
La risposta non può essere che mancano le risorse, visto che sempre il medesimo Decreto legge, all’art. 8, prevede che le imprese beneficino, sui costi dei dispositivi medici, di oltre 1 miliardo sui 2,2 (payback), che avrebbero dovuto restituire alle Regioni. A coprire il miliardo nei bilanci regionali sarà la solita fiscalità generale. Entro 60 giorni il Decreto legge dovrà essere convertito in legge, pena decadenza. Vedremo come la Regione Veneto si comporterà di fronte a una norma fortemente negativa per le sue aziende sanitarie.
Redazione Nurse Times
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