Fibrosi cistica, nuove prospettive terapeutiche da uno studio italiano

Chiarita l’interazione tra i composti chimici del farmaco Kaftrio e le cellule dei bronchi.

Uno studio tutto italiano pubblicato sulla rivista scientifica JCI Insight svela uno dei principali meccanismi di azione del farmaco Kaftrio, in uso per il trattamento della fibrosi cistica. La scoperta chiarisce l’interazione tra i composti chimici del farmaco e le cellule dei bronchi, aprendo nuove prospettive terapeutiche più efficaci per i malati.

La ricerca è stata condotta dal Laboratorio di Chimica analitica dell’IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, coordinato da Andrea Armirotti, in collaborazione con il gruppo di D3PharmaChemistry, diretto da Tiziano Bandiera, e con il gruppo di Nicoletta Pedemonte del Laboratorio di Genetica medica dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova. Questo lavoro è stato realizzato grazie al supporto della Fondazione ricerca fibrosi cistica.

Kaftrio è stato approvato recentemente dall’Ema come trattamento della fibrosi cistica in pazienti di età superiore a 12 anni e che presentino la mutazione F508 del gene CFTR. Tale mutazione è responsabile di una errata regolazione della proteina CTFR, una specie di canale che favorisce il passaggio degli ioni cloruro (ma anche di altri elettroliti) dall’interno all’esterno delle cellule, con conseguente secrezione di acqua. Questo difetto genetico comporta una difettosa regolazione della proteina e la conseguente disfunzione nel trasporto dei fluidi nei tessuti, in particolare nei polmoni e nel pancreas, causando i tipici sintomi della fibrosi cistica. Il trattamento con Kaftrio ha dimostrato di migliorare il funzionamento dei polmoni, ma senza che il suo meccanismo biologico fosse ancora del tutto chiaro.

Il gruppo di ricerca ha scoperto che le molecole che compongono il farmaco agiscono modificando la composizione lipidica delle membrane delle cellule dei bronchi. Usando tecniche analitiche molto avanzate, gli autori hanno osservato che il trattamento con queste molecole, in particolare con il Kaftrio, conferisce alle cellule una sorta di resistenza al processo, naturale e fisiologico, di morte cellulare, chiamato apoptosi. Questa protezione avviene attraverso la diminuzione dei livelli naturali di una famiglia di lipidi chiamati ceramidi, che hanno un ruolo importante in molti fenomeni biologici, fra cui proprio l’apoptosi.

“La nostra scoperta può aprire la strada a nuove prospettive terapeutiche per i malati di Fibrosi Cistica, gettando le basi per aumentare l’efficacia dei farmaci per la FC e il numero di persone che possano beneficiarne – dichiara Andrea Armirotti, responsabile del lavoro –. Nonostante le difficoltà che tutti abbiamo affrontato a causa della pandemia, la ricerca non si è mai fermata e questi risultati promettenti ci portano a continuare gli studi con una loro validazione su modelli sperimentali più avanzati”.

Il prossimo passaggio di questa ricerca prevede infatti di confermare questi risultati su cellule direttamente ricavate da pazienti con fibrosi cistica, allo scopo di valutare anche differenze individuali tra diversi pazienti. In futuro, lo stesso approccio potrà essere esteso ad altre mutazioni che causano la malattia, spingendo la ricerca verso la scoperta di nuovi farmaci sempre più “mirati” sui singoli pazienti. “Lo sviluppo di nuove terapie per le persone con fibrosi cistica è da anni l’obiettivo del nostro gruppo di ricerca”, conferma Nicoletta Pedemonte, responsabile dello studio per l’Istituto Gaslini.

“Questo studio – riferisce il professor Gianni Mastella, direttore scientifico della Fondazione ricerca fibrosi cistica – si inserisce in un più ampio programma di ricerca, sostenuto da FFC e finalizzato ad individuare terapie che colpiscano la malattia alla radice anche nei malati che ancora non hanno accesso a tali terapie”.

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Fonte: le Scienze

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