Fials. Gli “eroi” servono vivi non con medaglie alla memoria

Siamo seriamente preoccupati per i NOSTRI operatori che sono costretti ad operare in situazioni precarie, di incertezza e, lasciatemelo dire, a volte, di pressapochismo.

Siamo seriamente preoccupati per i NOSTRI operatori che sono costretti ad operare in situazioni precarie, di incertezza e, lasciatemelo dire, a volte, di pressapochismo.

E’ giusto invitare la popolazione a stare a casa, ma non è sufficiente, occorre effettuare i tamponi alle persone che hanno avuto contatti stretti con casi positivi. E’ ampiamente risaputo che diagnosi precoce, isolamento e trattamento sono i principi base per contenere le epidemie, così come la tracciabilità si rivela fondamentale.

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Il propagarsi dell’infezione è favorito dal ritardo di misure omogenee in tutto il territorio e la scarsa tracciabilità dei casi positivi asintomatici a cui non viene effettuato il tampone nonostante siano stati a stretto contatto con uno o più pazienti accertati.

Non è accettabile che professionisti e operatori sanitari siano sottoposti a tampone solo se sintomatici. Ogni giorno quelli che chiamate “eroi” curano decine di malati Covid-19 positivi senza alcun tipo di controllo e con misure di protezione ridotte ai minimi termini.

“La politica del tampone solo a pazienti sintomatici potrebbe rivelarsi insufficiente”, e “la cartina di tornasole è il numero dei morti: 6,6%, più alto rispetto all’attuale 4,5% di Wuhan” dice il professor Massimo Galli infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano.

Stando ai dati comunicati dalla dottoressa Susanna Esposito diffusi dalla WAIDID (Associazione mondiale delle Malattie infettive e i Disordini immunologici), in Italia la letalità legata all’epidemia Covid-19 è fino a 12 volte maggiore rispetto ad altri Paesi e la più alta del mondo.  

Sono troppi gli operatori sanitari infettati (e morti) in Italia. Ho il timore che quelli che oggi sono “eroi” domani saranno ancora quelli dimenticati, nel riconoscimento sociale, nelle retribuzioni, nei diritti contrattuali. E’ già successo. Nell’epidemia SARS su 8098 infettati, 1707 (21%) sono stati gli operatori sanitari e ben il 9,6% sono morti, pochi ancora lo ricordano, gli operatori sanitari sì. In quell’occasione si ribadiva che, soprattutto nelle fasi iniziali, in cui le informazioni sono ancora limitate su trasmissione e potenza infettiva del virus, sono necessarie misure di protezione aggressive (come occhiali protettivi, maschere FFP2 e camice idrorepellente) per garantire la sicurezza di tutti gli operatori sanitari durante la presenza di un focolaio di epidemia.

Alle medesime conclusioni si può giungere esaminando un recente documento pubblicato su Lancet il 13 febbraio scorso “Protecting health-care workers from subclinical coronavirus infection”[1], nel quale si evidenzia che il coronavirus COVID-19 in Cina è stato trasmesso al personale sanitario anche da casi paucisintomatici o del tutto asintomatici.

Ad oggi non potendo più rimediare a ritardi legati a una pressapochistica azione preventiva e conseguenti misure di comunicazione e catene di comando improvvisate e frettolose è necessario e urgente intervenire per limitare i contagi agli operatori della sanità.

Bisogna passare immediatamente dal dire al fare, non si può più sentire che ci si attiene alle linee guide dell’OMS e minacciare gli operatori che vengono diffidati dall’utilizzo di mascherine quando non previsto specificamente dal protocollo aziendale.

Senza operatori pronti, formati, qualificati non ci sono speranze. Le nuove assunzioni servono per dar respiro, per consentire di accasciarsi un attimo su una tastiera di un pc ma non possono sostituire chi è in grado di gestire un’emergenza di questa portata, di utilizzare respiratori e CPAP, di indossare e dismettere con naturalezza e puntualità i DPI indicati.

Quanto indicato nel documento dell’OMS “Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease 2019 (COVID-19)”[2] sembrerebbe stato elaborato partendo dal presupposto che le persone asintomatiche e paucisintomatiche molto difficilmente riescono a trasmettere la malattia in contraddizione con quanto riporta l’articolo di Lancet. Inoltre, le raccomandazioni OMS vanno intese come standard minimi e, quindi nulla vieta, integrazioni e con misure precauzionali più stringenti soprattutto in assenza di certezze assolute in situazioni di elevato rischio.

Perciò non è irragionevole, anzi assolutamente necessario, rivedere i protocolli operativi prevedendo per tutto il personale sanitario in Italia lavori indossando una mascherina chirurgica e occhiali protettivi in tutti i setting sanitari. Il personale della rete emergenza, trasporto pazienti, PS, radiologia, ed ovviamente infettivi, terapie intensive e “reparti COVID” devono invece sempre indossare mascherine FFP2, camice idrorepellente e occhiali protettivi.

Siamo il secondo Paese al mondo per numero di infezioni e per numero di morti e il trend è ancora in crescita. Per fermare questo inferno in primis bisogna salvaguardare la salute dei nostri soldati, i vostri “eroi” servono vivi non con medaglie alla memoria.

1. De Chang, Huiwen Xu, Andre Rebaza, Lokesh Sharma, Charles S Dela Cruz. (2020),  Protecting health-care workers from subclinical coronavirus infection, [on line], disponibile da: https://www.thelancet.com/journals/lanres/article/PIIS2213-2600(20)30066-7/fulltext, ultimo accesso 13/03/2020;

2. WHO (2020), Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease 2019 (COVID-19),

disponibile da: https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/331215/WHO-2019-nCov-IPCPPE_use-2020.1-eng.pdf, ultimo accesso 13/03/2020;

3. Claudio Beltramello (2020), Salvare gli operatori sanitari, [on line] disponibile da: https://www.saluteinternazionale.info/2020/03/salvare-gli-operatori-sanitari/ ultimo accesso 13/03/2020;

Dott. Salvatore Santo, Infermiere dirigente, Segretario Generale Provinciale FIALS Laghi e Ovest Milanese

Redazione Nurse Times

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