Falsi vaccini a Napoli, per gli infermieri scatta l’accusa di epidemia dolosa, delitto punito con l’ergastolo

Non c’è solo la storia dei falsi documenti, della truffa ai danni del sistema sanitario nazionale. No, in questa brutta vicenda di tangenti e sprechi, fa la sua comparsa un’altra accusa, di quelle che fanno la differenza (in negativo): epidemia dolosa è infatti il reato contestato a carico di due infermieri arrestati per aver distrutto decine di dosi di vaccino, assicurando green pass posticci a decine di cittadini. Un’accusa che, se venisse confermamata anche alla fine delle indagini preliminari, renderebbe doveroso un processo dinanzi alla Corte di Assise. Finti vaccini, veri green pass, gente in circolazione libera di contagiare e di veicolare il covid, proprio nei mesi in cui infuriava a Napoli la variante Omicron, con ospedali presi d’assalto da positivi di tutte le età. Ricordate quelle immagini a Capodimonte? Lì, all’interno dei box allestiti dall’Asl, Giuliano Di Girolamo e Rosario Cirillo hanno confessato di aver fatto un lavoro decisamente sporco.

Intascavano 150 euro dalle mani di ogni cittadino che aveva interesse a simulare la vaccinazione, con le dosi che venivano iniettate nel batuffolo di ovatta e non nella spalla del singolo paziente. A distanza di quindici giorni, le accuse a carico dei due infermieri finiti agli arresti si aggravano, secondo quanto emerge dall’analisi degli atti depositati dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli. A carico dei due infermieri, l’accusa di aver accettato il rischio di diffondere il covid, di aver agito con lucidità e cinismo, garantendo una finta immunità al gruppone di clienti che si recavano al loro box per le finte somministrazioni. Inchiesta condotta dal pm Henry John Woodcock, al lavoro i carabinieri del Nas, che – in questa, come in altre vicende – hanno agito grazie a una segnalazione interna. Una denuncia formalizzata dal dirigente dell’Asl Napoli uno Ciro Verdoliva, sulla scorta di strani maneggi notati all’interno degli stand di Capodimonte.

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Ma in che cosa consiste l’accusa di epidemia dolosa? E soprattutto: a quante persone potrebbero essere contestate ipotesi del genere?

Sono quasi quaranta i beneficiari del finto vaccino, alcuni dei quali hanno organizzato la messa in scena ben sapendo di essere positivi. A leggere le carte a sostegno della misura cautelare, spicca addirittura il caso di un’intera famiglia positiva al covid. E sono sempre le intercettazioni telefoniche a far emergere la consapevolezza di assicurare a soggetti positivi (o potenzialmente veicolo di contagio per la loro vicinanza a soggetti alle prese con il covid) una libertà di manovra senza limitazioni e al riparo da controlli. 

Verifiche in corso sulla famiglia di un imprenditore che si reca a Capodimonte e che investe centinaia di euro pur di risultare tra i titolari della carta verde, che proprio in queste ore diventa uno strumento normativo decisivo per poter condurre la propria attività lavorativa e per avere rapporti sociali in genere.

Ma non è tutto. Verifiche in questo senso anche nei confronti di due dipendenti del Ministero della pubblica istruzione. Si tratta di due docenti del Beneventano, che si recano a Capodimonte, versando mazzette ai due infermieri. Inevitabile battere alcune verifiche: come quelle legate ai contagi riscontrati (sempre alla luce dei dati della piattaforma regionale) nei luoghi di lavoro dei due professori, per capire se è possibile contestare anche a loro carico l’ipotesi di epidemia dolosa.

Un fronte tutto da esplorare, che potrebbe coinvolgere gli altri furbetti del vaccino interessati da indagini analoghe, a partire dai medici del Vasto (che hanno venduto finti documenti a presunti boss della camorra), per finire ai soggetti (ancora da identificare) che avrebbero venduto per trecento euro a paziente la certezza di finire sulla piattaforma regionale come cittadini vaccinati con tre dosi di fila.

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