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Elezioni IPASVI: quorum si, quorum no, le criticità della legge istitutiva del 1950

Questa stagione autunnale è stata caratterizzata, in ambito infermieristico, dal rinnovamento degli organi collegiali di tutta Italia, toccherà poi nel prossimo marzo a quelli della Federazione nazionale a Roma

Questa stagione autunnale è stata caratterizzata, in ambito infermieristico, dal rinnovamento degli organi collegiali di tutta Italia, toccherà poi nel prossimo marzo a quelli della Federazione nazionale a Roma

Sono neofita nel sistema IPASVI e alcune cose mi hanno meravigliato molto, forse per chi ne fa parte già da diversi anni, si tratta di situazioni già vissute e stabilizzate, considerate cioè normali.

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Centotre Collegi devono indire elezioni triennali per garantire il corretto funzionamento e rinnovamento degli enti stessi, l’articolo di legge di riferimento, come sappiamo, contiene delle indicazioni che facevano forse già presagire una certa difficoltà rappresentativa ed elettiva, in quanto la validità dell’elezione parte da un terzo degli iscritti in prima convocazione e in seconda «qualunque sia il numero dei votanti purché non inferiore al decimo degli iscritti e, comunque, il doppio dei componenti il consiglio», quindi quanto meno il limite della decenza viene stabilito facendo in modo che i consiglieri uscenti non si possano eleggere da soli.

Partire da un terzo, per scendere ad un decimo, per concludere sul doppio dei componenti il consiglio (al massimo trenta persone) è un tentativo al limite del disperato, per garantire l’esistenza di questi enti, verrebbe da dire, a qualsiasi costo.

I comitati centrali sono eletti dai presidenti dei rispettivi collegi provinciali a maggioranza relativa, ma ciascun presidente non porta il suo voto singolo, ne dispone di uno per ogni duecento iscritti o frazione di duecento.

Ora, se si dispone di una tipologia di voto di questo tipo, il rappresentato dovrebbe poter esercitare il diritto di manifestare le proprie intenzioni di voto attraverso il proprio collegio, diversamente, cioè come avviene attualmente, il tutto assume l’aspetto di un esercizio quanto meno improprio rispetto a volontà potenzialmente differenti dei duecento o frazione di duecento.

Anche questa scelta, che a me ricorda i tempi feudali, avrà certamente avuto una sua motivazione, che oggi sinceramente sfugge.

Gli articoli di pertinenza datano 1946 e 1950, quindi sono collocati in un delicato passaggio temporale, nel quale il nostro Paese veniva traghettato dalla monarchia alla repubblica, possono aver subito di conseguenza l’influenza del sentire dell’epoca, oggi dovremmo aver raggiunto una maggiore indipendenza psicologica rispetto a quel periodo e ripensare meccanismi di voto meno “bulgari”.

Terza ed ultima questione, ma sicuramente la non meno trascurabile: il denaro.

I Collegi sono enti pubblici non economici e per poter funzionare devono sovvenzionarsi, così è stabilita una tassa (disciplinata come un’imposta diretta) che deve limitarsi a coprire “strettamente” i costi che un Collegio deve affrontare; ne dovrebbe derivare il fatto che più un Collegio gestisce in maniera oculata ed attenta le proprie spese, minore sarà l’importo della tassa.

In questo senso dobbiamo imparare a voler bene al nostro Collegio consultandone il bilancio, così da capire come vengono spesi i nostri soldi ed eventualmente chiedere i chiarimenti del caso nelle assemblee che prevedono la presentazione dei bilanci stessi, perchè la vigilanza sulle spese del Collegio spetta a noi iscritti.

Premesso questo facciamo alcune considerazioni.

Per quanto si debbano pubblicare le date delle elezioni di ciascun collegio su di una apposita pagina virtuale della Federazione, nulla poi viene pubblicizzato riguardo ai risultati, fatta eccezione per quei collegi che qualcosa pubblicano sul proprio sito istituzionale.

Tutti vertono in via definitiva sulla seconda convocazione, immagino perchè si ritenga impensabile poter raggiungere quel terzo di votanti indispensabile alla prima.

Non riuscire a raggiungere il quorum, oppure farlo con grandi difficoltà, può avere un significato?

La stragrande maggioranza degli infermieri non vota affatto per il rinnovo di un organismo come il Collegio.

Un’importante città del nord, Torino, non avendo raggiunto in quorum previsto (circolare ministeriale 29/4/2011 prot. n. 21943) ha indetto nuove elezioni.

Un’altra sempre al nord e importantissima, Milano, non lo ha raggiunto, ma si è proceduto con lo spoglio delle schede ugualmente.

Un’altra al sud, Potenza, ha organizzato un seggio itinerante, che come una carovana si sposta di città in città per raccogliere i voti necessari.

Altri hanno organizzato bus navetta per portare al seggio gli indecisi.

Alcuni Collegi hanno palesato i risultati, inclusi Trento, Venezia e Modena, ma di tanti altri redatto e chiuso il verbale delle votazioni non è dato sapere nulla, alla Federazione è sufficiente inviare l’esito finale dei voti ottenuti.

Su di un sito istituzionale ho potuto leggere le parole seguenti: “[…]vogliamo ringraziare dal cuore tutte/i i Colleghi che numerosissimi hanno partecipato e attestato vicinanza e appartenenza…”.

Non viene esplicitato però alcun numero.

Ma se un estraneo al sistema IPASVI leggesse la normativa di riferimento e poi guardasse a quanto sta accadendo in questi giorni al suo interno, quale idea o immagine conclusiva potrebbe farsi?

Percepirebbe una certa opacità?

La norma prevede anche che alla conclusione delle operazioni di voto, preso atto di tutto quello che deve essere inserito all’interno del verbale, le schede utilizzate per il voto vadano distrutte.

Mi sembra che ci sia solo un altro precedente del genere in uno Stato a noi confinante, che brucia le schede dopo ogni votazione regalandoci fumate bianche o nere.

Perché il quorum è interpretato come un vulnus e non una garanzia che il voto sia espresso da una quantità di persone sufficiente per poter avere un significato?

Eppure esiste un documento chiaro nel merito, la decisione n. 2 anno 2008 – ricorso n. 135.6/2006 (VEDI), nella quale la Commissione Centrale per gli esercenti le Professioni Sanitarie si è espressa in modo estremamente chiaro, da non poter dare adito ad interpretazioni fuorvianti, il quorum da raggiungere per poter dichiarare valide le elezioni sono del 10% del numero degli iscritti.

Già circa dieci anni fa queste questioni venivano dibattute e in un Collegio che aveva concluso le votazioni con la proclamazione dei nuovi componenti il direttivo e dei Revisori dei Conti, veniva fatto ricorso avverso il provvedimento di proclamazione degli eletti, non essendo stato raggiunto il quorum fissato dalle norme specifiche (art. 2 dlgs n. 233/1946).

Da quell’anno però pare che diversi Collegi continuino con deleteria pervicacia ad interpretare la norma in modo errato, rifugiandosi nel già citato “doppio dei componenti il Consiglio”, cioè mancato il quorum del 10% scatterebbe l’opzione dei trenta (al massimo).

Ma la CCEPS ha rifiutato tale lettura in quanto il quorum minimo è comunque del 10% «e che i voti espressi da tale percentuale di iscritti devono essere in ogni caso non inferiori al doppio dei componenti del Consiglio», con questa motivazione sono state dichiarate nulle le operazioni elettorali.

Alla luce di quanto accade in questi giorni pare chiaro che la norma evidentemente non è più adatta ai nostri tempi, qualcosa cambia grazie al DDL Lorenzin e ci auguriamo sinceramente in meglio, esistendo un Albo deve necessariamente esistere un organismo che lo rediga e lo conservi, ma il modo elettivo di questi organismi deve essere profondamente ripensato, così il sistema si sta rendendo asfittico da se stesso, un campanello di allarme sta suonando, non lasciamo che le cose peggiorino.

Che senso può avere oggi un presidente della Federazione espressione del voto di un gruppo di presidenti di collegi provinciali, che votano per il numero di iscritti che hanno (la maggioranza dei quali non li vota) e che sanno poco o spesso nulla delle loro decisioni?

Come infermiere mi piacerebbe molto che il nostro presidente fosse eletto da tutti i colleghi d’Italia, ne basterebbe anche un decimo per rimanere nel tema, così da poter uscire dai giochi delle stanze del potere romano, dagli intrighi del palazzo, dal do ut des col signorotto del momento che necessariamente si instaura.

Mi piacerebbe uno sganciamento dalla politica di questa persona, perchè chi sceglie di rappresentare una totalità di professionisti lo deve fare al di fuori di qualsiasi logica partitica; soprattutto deve essere qualcuno che abbia vissuto la corsia di un ospedale, che conosca il nostro lavoro per averlo fatto e non per sentito dire da qualcun altro.

Utopia?

 

Siamo oltre quattrocentomila in tutta Italia, smettiamo di lamentarci e basta!

Servono solo cinquantamila firme per proporre una legge di iniziativa popolare da presentare in Parlamento.

Se i nostri rappresentanti più illustri non riescono a modificare il sistema dall’interno, la democrazia ci dà la possibilità per farlo da soli!

Questo sistema costoso e opaco sta mostrando più di un cedimento, anacronismo, scarsa aderenza ai principi democratici, forse così com’è semplicemente non ci serve più.

 

Dario Porcaro

 

 

 

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