Effetti neurologici e psichiatrici del COVID-19

Dall’inizio della pandemia COVID-19, è sorto il dubbio che i pazienti che hanno sconfitto la malattia potessero essere a maggior rischio di disturbi neurologici.

Questa preoccupazione è stata presto confermata da una serie di prove che hanno evidenziato il coinvolgimento del sistema nervoso centrale. Domande molto simili sono nate anche riguardo eventuali conseguenze psichiatriche. Infatti, ricerche successive hanno dimostrato il maggior rischio per i guariti dal COVID-19 di soffrire di disturbi dell’umore, d’ansia e demenza nei tre mesi successivi all’infezione. 

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Alla base della ricerca, condotta nel Regno Unito dal Dipartimento di Psichiatria e dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Oxford, è stata utilizzata la TriNetX Analytics Network, una rete di cartelle cliniche elettroniche che registra dati anonimi in 62 organizzazioni sanitarie, per un totale di 81 milioni di pazienti. I dati disponibili includono dati demografici, diagnosi, farmaci, procedure e misurazioni (ad es. Pressione sanguigna). In questo modo è stato possibile indagare sull’incidenza delle diagnosi neurologiche e psichiatriche nei guariti dal COVID-19 nei sei mesi successivi all’infezione. 

La ricerca si è basata su uno studio caso-controllo: il gruppo “caso” è stato composto da pazienti con diagnosi confermata di COVID-19. Sono stati poi formati due gruppi di “controllo”: pazienti con diagnosi di influenza e pazienti con diagnosi di una qualsiasi infezione del tratto respiratorio.
Tutti  i pazienti presi in esame erano di età superiore ai dieci anni, per un totale di oltre 230.000 persone.

Sono stati considerati anche i fattori di rischio per la malattia COVID-19 come età, etnia, obesità, ipertensione, diabete, insufficienza renale cronica, asma, malattie respiratorie croniche, abuso di sostanze, malattie cardiache, trapianto di organi e varie immunosoppressioni. 

Le conseguenze neurologiche e psichiatriche sono state così rappresentate da 14 esiti verificatisi nei sei mesi successivi all’infezione. Troviamo per esempio: emorragia intracranica, ictus ischemico, Morbo di Parkinson e parkinsonismo, Sindrome di Guillain Barre, malattie muscolari, encefalite, demenza, disturbo psicotico, dell’umore o d’ansia. Per le malattie croniche, come demenza e morbo di Parkinson, sono stati esclusi i pazienti che avevano la diagnosi prima del contagio da COVID-19.

Queste conseguenze neurologiche e psichiatriche sono state influenzate dalla gravità della malattia?  Per rispondere a questa domanda, i pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi, a seconda se hanno avuto necessità di ricovero in ospedale o no, e se è stato diagnosticato il delirio o un’altra forma di encefalopatia.

L’utilizzo di TriNetX Analytics Network ha confermato questa previsione: la gravità dell’infezione da COVID-19 ha avuto un chiaro effetto sulle successive diagnosi neurologiche. Nel complesso possiamo dire che l’incidenza era maggiore nei pazienti che richiedevano il ricovero, e in modo marcato in quelli che sviluppavano encefalopatia, a testimoniare stati di ipercoagulabiltà, effetti neurali della risposta immunitaria e l’invasione virale del sistema nervoso centrale. Ictus ed emorragia intracranica rientrano tra le conseguenze più frequenti.

Uno studio precedente aveva già evidenziato un’associazione tra COVID-19 e demenza, elemento confermato con l’attuale pubblicazione.  Rispetto ai disturbi neurologici, l’incidenza dei disturbi psichiatrici comuni (disturbi dell’umore e d’ansia) risulta comparire in forma minore. Ciò può indicare che il loro verificarsi riflette, almeno in parte, le implicazioni psicologiche che possono insorgere in seguito ad una diagnosi di COVID-19 piuttosto che essere una manifestazione diretta della malattia.

Gli autori della ricerca, pubblicata su MedRxiv il 24 gennaio 2021, sostengono che i risultati ottenuti sono abbastanza solidi data la dimensione del campione, i valori ottenuti e i risultati delle analisi. Il punto debole dello studio potrebbe però essere costituito da variabili di non poca importanza, come i differenti problemi socio-economici dei pazienti, gli stili di vita e la mancanza di convalida delle diagnosi, che influenzano i risultati (per esempio tra i pazienti ospedalizzati, solo l’11% circa ha ricevuto diagnosi di encefalopatia, anche se si è ipotizzato un tasso molto più alto). 

In conclusione questi risultati non sono stati ancora sottoposti a revisione, ma confermano qualcosa che già da tempo sta emergendo: l’infezione da Coronavirus può portare ad alterazioni patologiche del cervello e problemi di salute mentale, che possono essere più o meno evidenti in base alla gravità con cui i pazienti sviluppano la malattia. Questi risultati possono decisamente essere un valido aiuto nella pianificazione di programmi sanitari e nell’identificazione di priorità scientifiche.

Fonte: https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.01.16.21249950v1

Francesca Pia Biscosi

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