Coronavirus, quanto dura l’immunità di chi è stato positivo? Rispondono tre studi

Buone notizie dai ricercatori americani, australiani e sud-coreani.

Quanto dura l’immunità al coronavirus dopo che si è stati positivi? È la domanda che tutti gli esperti si pongono dall’inizio della pandemia e alla quale tre studi cercano ora di dare risposta, fornendo importanti risultati in merito.

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Il primo, condotto dall’Istituto di Immunologia della La Jolla University, in California, è incentrato sulla resistenza della memoria immunitaria nelle persone che si sono ammalate di Sars-Cov2. E’ probabilmente il più completo mai condotto sulla memoria immunitaria del coronavirus, con 185 pazienti coinvolti tra i 19 e i 81 anni d’età. Nei campioni esaminati sono stati individuati quattro componenti del sistema immunitario: gli anticorpi, i linfociti B e due tipologie di linfociti T. Mentre gli anticorpi e i linfociti T tendevano a diminuire lievemente nel tempo, si è osservato che i linfociti B erano cresciuti di numero.

Nelle persone colpite da Sars-Cov-2 la risposta immunitaria modulata dagli anticorpi IgM e IgG mostra un’attivazione a partire dal settimo giorno successivo all’infezione, fino a registrare un aumento rapidissimo del numero di anticorpi totali tra la seconda e terza settimana, anche vicino al 100%. La ricerca, coordinata dalla virologa Shane Crotty, ipotizza che la risposta immunitaria possa durare molto a lungo, anche se è emerso però anche che non tutti sviluppano un’immunità a lungo termine. Una percentuale ridotta di pazienti non ce l’ha, probabilmente per la bassa quantità di virus a cui si sono esposti.

Il secondo è uno studio australiano, pubblicato su Science Immunology, e conferma quello che altre ricerche precedenti hanno già ipotizzato: l’immunità al coronavirus, per chi l’ha avuto, durerebbe almeno 8 mesi. Secondo gli scienziati della Monash University, cellule specifiche all’interno del sistema immunitario chiamate cellule B della memoria “ricordano” l’infezione da parte del virus e, se nuovamente esposte al virus, sono in grado di innescare una risposta immunitaria protettiva attraverso la rapida produzione di anticorpi.

Nello studio i ricercatori hanno reclutato 25 pazienti Covid-19 e ne hanno prelevato 36 campioni di sangue dal giorno 4 dopo l’infezione al giorno 242 dopo l’infezione. Gli scienziati hanno scoperto che gli anticorpi contro il virus hanno iniziato a diminuire dopo 20 giorni dall’infezione. Tuttavia hanno rilevato che tutti i pazienti hanno continuato ad avere cellule B della memoria che riconoscevano uno dei due componenti del virus: la proteina spike, che aiuta il virus a entrare nelle cellule ospiti, e le cosiddette proteine nucleocapsidiche.

Sulla base della loro analisi, i ricercatori hanno affermato che queste cellule B della memoria specifiche del virus erano presenti stabilmente fino a otto mesi dopo l’infezione. Gli scienziati ritengono che i risultati diano speranza riguardo all’efficacia di qualsiasi vaccino contro il coronavirus, e spiegano anche perché ci sono stati pochissimi casi di reinfezione tra i milioni di coloro che sono risultati positivi al virus in tutto il mondo.

“Questi risultati sono importanti perché dimostrano, in modo definitivo, che i pazienti infettati dal virus Covid-19 mantengono in realtà l’immunità contro il virus e la malattia – ha detto il coautore dello studio, Menno van Zelm, del dipartimento di Immunologia della Monash University –. Questa è stata una nuvola nera che incombeva sulla potenziale protezione fornita da qualsiasi vaccino e dà la vera speranza che, una volta sviluppati uno o più vaccini, forniranno protezione a lungo termine”.

Anche il terzo studio ha esaminato le risposte anticorpali in 58 pazienti Covid-19 confermati in Corea del Sud e ha trovato anticorpi otto mesi dopo infezione asintomatica o lieve da SARS-CoV-2, riscontrando alti tassi di anticorpi. Questi risultati, pubblicati su Emerging Infectious Diseases, sembrano in contraddizione con una ricerca precedente, che mostrava la diminuzione degli anticorpi dopo 20 giorni, ma gli autori suggeriscono che le variazioni nelle caratteristiche dei test immunologici e nella produzione potrebbero essere responsabili della differenza.

I livelli delle cellule B della memoria hanno continuato a salire fino a 150 giorni dopo l’infezione e sono rimasti rilevabili 240 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi, suggerendo che il sistema immunitario dei pazienti era pronto a rispondere ad una eventuale reinfezione. A causa della loro presenza estesa le cellule possono essere un indicatore migliore della risposta immunitaria a lungo termine rispetto agli anticorpi sierici.

I ricercatori hanno misurato gli anticorpi specifici per SARS-CoV-2 utilizzando quattro test immunologici in pazienti isolati presso un centro di trattamento comunitario dell’ospedale dell’Università Nazionale di Seoul dal 5 marzo al 9 aprile. Tre dei quattro test hanno mostrato alti tassi di sieropositività (dal 69% al 91,4%), in contrasto con un altro studio precedente che mostrava che i pazienti asintomatici diventano sieronegativi da due a tre mesi dopo l’infezione.

“I tassi differivano a seconda dei metodi o dei produttori di immunodosaggio, spiegando così le differenze nei tassi tra gli studi, hanno scritto gli autori. Ad esempio, hanno detto, uno studio BMJ di luglio ha riportato che alcuni test immunologici, cosiddetti chemiluminescenti, avevano una sensibilità IgG o IgM del 97,8%, mentre altri, i test immunoassorbenti legato agli enzimi, avevano solo l’84,3%. L’attività di neutralizzazione del virus, essenziale per la protezione dalla reinfezione, è stata rilevata solo nel 53,4% dei partecipanti allo studio a otto mesi dall’infezione, notevolmente inferiore al tasso di positività per i test immunologici.

“Nonostante le preoccupazioni per la diminuzione dell’immunità, i test immunologici appropriati possono rilevare gli anticorpi contro SARS-CoV-2 a otto mesi dopo l’infezione nella maggior parte delle persone asintomatiche o lievemente sintomatiche”, hanno concluso gli autori. Molto interessante è che, a detta degli scienziati che hanno condotto la ricerca, una riduzione delle cellule immunitarie così lenta e graduale nel breve termine lasciano immaginare che possano restare molto a lungo nel nostro organismo.

Con gli altri coronavirus, responsabili solo di lievi raffreddori, gli anticorpi duravano abbastanza a lungo e nei pazienti colpiti da Sars l’immunità si protraeva in alcuni casi sino a 34 mesi dopo l’infezione. Moltissimi sopravvissuti alla Sars, la forma di polmonite atipica causata da un altro tipo di coronavirus, presentano ancora cellule immunitarie 17 anni dopo la loro completa guarigione.

Questi studi sono di fondamentale importanza, anche perché rafforzano la probabilità che i vaccini funzionino a lungo. Mentre studi precedenti avevano dimostrato che gli anticorpi contro il Covid diminuiscono dopo i primi mesi di infezione, sollevando la preoccupazione che le persone possano perdere rapidamente l’immunità, queste nuove ricerche aprono prospettive molto ottimistiche. Tutti questi motivi fanno ben sperare, ma gli esperti concordano sul fatto che anche chi ha già avuto il Covid si dovrà comunque vaccinare, sebbene successivamente rispetto a tutti gli altri.

Redazione Nurse Times

Fonte: QuiFinanza

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