Coronavirus, pensieri sparsi di un’infermiera in prima linea: “Nulla sarà come prima”.

Riceviamo e pubblichiamo lo scritto di Laura Regazzoni, collega che lavora nel reparto Covid di Medicina dell’Ospedale San Paolo di Savona.

Sotto la cuffia, la visiera, la maschera e la tuta integrale ci sono solo rimasti gli occhi per comunicare. Con quelli dobbiamo tentare di trasmettere speranza, fiducia e conforto. Dobbiamo nascondere paura, stanchezza e fallimento. Dobbiamo affrontare questa sconosciuta e inaspettata realtà che ci è piombata addosso e accogliere nuovamente l’insicurezza della vita, del mondo e del futuro. E’ un’insicurezza che ci pervade e spesso ci impedisce di agire/reagire razionalmente, trascinandoci nella paura e nell’ansia. Tutto questo ci conduce a comportamenti talvolta superficiali, che ignorano la solidarietà che, a livello fisico, si manifesta nei nostri occhi, nelle increspature dei nostri volti e nei cauti movimenti dei nostri corpi. In momenti così critici ci si rende conto di quanto le fragilità umane emergano e si manifestino con più facilità, esacerbando l’umano egoismo e il suo ancestrale istinto di sopravvivenza. Così, dentro di noi, sprofondano basilari sentimenti solidali quali l’amicizia, la gratitudine e il senso di comunanza, lasciando spazio a una compromessa capacità d’accettazione e una lacunosa  tolleranza. Talvolta si ha la sensazione di essere sospesi in uno spazio-tempo immobile e statico, il fatto che la Natura intorno a noi muti e si trasformi secondo i suoi ritmi ci coglie occasionalmente increduli, facendoci meravigliare di quanto poco a Lei importi di noi. Ma noi siamo costretti a restare fermi dove siamo. Ci abituiamo gradualmente a convivere con l’ansia, la paura e l’insicurezza. La maggior parte della gente scopre risorse dimenticate: la pazienza, la calma, la generosità, persino la coscienza che in questo stare fermi il tempo della vita non è sprecato e, anzi, può trasformarsi in opportunità, dandoci la possibilità di riflettere sulle nostre emozioni, su aspirazione future o mancate, sul ritrovamento di legami familiari e affettivi e sul riscoprire come questo tempo lento sia molto più ricco e vitale se confrontato con la frenesia di quello che per noi era il tempo “normale” della vita. Sono tuttavia dell’idea che la vita non tornerà come prima. Il tempo “lento” ha forse obbligato molti di noi a riflettere su prospettive diverse e a meditare su nuovi comportamenti. Famiglie che prima del Covid-19 stavano insieme per necessità, consuetudine o decoro si renderanno conto che i loro problemi non erano così insormontabili, oppure troveranno il coraggio di separarsi. Al contrario, coppie separate scopriranno, per causa di forza maggiore, che la mancanza dell’uno o dell’altro non è poi così profonda. Oppure persone che hanno deciso di mettersi in autoisolamento piuttosto che rischiare di contagiare le persone amate realizzeranno l’importanza di una scelta sia affettiva sia civile. Probabilmente si sceglieranno con più accuratezza coloro con cui relazionarsi, perché questo può fare la differenza su come costruiremo il nostro il futuro. Possiamo renderci conto di essere forti, capaci di resilienza e di resistere ad ambienti o circostanze nocive, ma comunque nulla sarà più come prima, e prima lo intuiamo meglio lo affronteremo. Si pone nuovamente il problema dell’enorme influenza che i media hanno su di noi in questo periodo. La scelta delle notizie e soprattutto del modo in cui ci vengono propinate stimolano reazioni, anche inconsce, che giungono persino ad attivare particolari cascate ormonali, tra cui la reazione fight to flight
, la classica risposta “combatti e fuggi” delle nostre capacità intellettive e motorie per affrontare situazioni inusuali o pericolose. Noi operatori sanitari ci ripetiamo spesso: “E’ dura, ma siamo forti”. Ma anche noi abbiamo paura della malattia e della morte, paura di essere contagiati e di contagiare gli altri, siano familiari o sconosciuti. Paura di non farcela, di non prendersi adeguatamente cura dei pazienti e di non fare il possibile per loro. Le altre persone ci ripetono sempre che siamo “eroi”, ma non è così. Siamo solo Umani, umani fragili e, questo è certo, irresponsabilmente coraggiosi. Noi operatori sanitari, coraggiosi e umani e sempre presenti da quando è iniziata questa pandemia, saremo probabilmente di nuovo dimenticati una volta che si tornerà alla “normalità”. E tornano alla mente le parole di un medico in tempo di pandemia: “Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché dalla glorificazione mediatica all’accusa di codardia il passo è brevissimo. E quando, per investitura universale, diventi un eroe, non puoi più lagnarti se ti manca la mascherina…di essere mandato in guerra senza le armi. Perché chi ti chiama eroe ha la passione per gli slogan, isterici e riduttivi. E, in tempi normali, la ‘mal sanità’ era uno slogan, uno dei più riusciti…”. Noi operatori sanitari non lo scorderemo mai, questo momento. Chi ha vissuto quest’emergenza in prima linea troverà impossibile dimenticare. Rimaniamo dunque consci di quanto siamo importanti e fondamentali, non solo in questo momento, ma sempre. “Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.” (Citazione dal film Dune, litania contro la paura Bene Gesserit). Laura Regazzoni Aggiornamenti in tempo reale sull’epidemia in Italia Aiutateci ad aiutarvi
 
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