Coronavirus, lo sfogo di un’infermiera”ringraziate l’Italia e la Sanità Pubblica”

C'è chi per 1400 euro al mese ha la responsabilità di mantenere in vita una persona e c'è chi per la stessa cifra è seduto ad una scrivania. Con tutto il rispetto per qualsiasi professione, ma forse qualcosa non quadra.

Riceviamo e pubblichiamo il libero sfogo di una infermiera alle prese con l’emergenza sanitaria che sta colpendo tutta l’Italia

“Da un giorno all’altro ci hanno “chiesto” di trasferire tutti i pazienti di un intero reparto poli-specialistico al piano di sotto, in un altro poli-specialistico. Sempre da un giorno all’altro ci hanno chiesto di accogliere i pazienti con coronavirus. Il nostro gruppo infermieri è stato diviso in altri reparti, come per altri.

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Abbiamo perso i nostri medici, per averne altri. Lavorare con persone che conosci è molto importante. E in una nuova “avventura” ancora di più.

Questo nuovo virus, è nuovo per tutti, anche per noi. Anche se ci siamo 365 giorni l’anno, con bestie ben peggiori. E ogni giorno preghi di non aver portato a casa, dalla tua famiglia, qualche bestiaccia. Non vi nego che siamo un po’ preoccupati anche noi, catapultati in un’altra realtà, che stiamo imparando a conoscere. Non abbiamo farmaci specifici, né vaccino, e il buon vecchio metodo dell’isolamento è l’unica cosa che possiamo fare, per ora.

Per una volta vi chiedo di ascoltare “quello che si dice”: di rispettare le buone norme igieniche e di evitare luoghi affollati. È un virus molto contagioso, che può portare ad avere segni e sintomi respiratori molto gravi e al ricovero in terapia intensiva. I polmoni non si espandono ed è necessaria l’intubazione.

Se non hai una “macchina per respirare”, addio, e i posti in terapia intensiva sono meno di quelli di un reparto. Limitiamo il contagio. Vi chiedo per una volta di ringraziare questa “povera Italia” perché ha ancora una Sanità Pubblica, o quello che ne rimane. Salviamola.

Stiamo lavorando da tempo in mancanza sia di risorse umane sia di risorse materiali. Pazienti, non arrabbiatevi se non arriviamo subito dopo il primo squillo del campanello, siamo professionisti sanitari, ma abbiamo anche noi due mani e non il mantello dei supereroi o l’aureola degli angeli, ma vi giuro che facciamo il possibile per aiutare tutti. Non picchiateci, non aggrediteci. Non mettete a soqquadro un intero reparto, abbiate rispetto per chi è lì ad aiutarvi, in situazioni di emergenza o meno.

Ricordatevi che c’è sempre chi sta più male di voi, chi è un codice rosso, giallo, verde; che tu ti trovi in pronto soccorso o in reparto. In ospedale, non esiste solo il coronavirus, ci sono i malati di sempre, quelli di tutti i giorni.

Tutti hanno bisogno di protezione. Spesso si entra in ospedale perché “ho tanto male qui dottore”, ma vi assicuro che vedere una persona dolorante, non è così devastante come vedere negli occhi del paziente la sensazione del “non respiro, sto soffocando”.

È terribile, anche per noi, che siamo del mestiere. Credo che non mi abituerò mai a questo. Anche noi, vestiti contro il coronavirus o qualsiasi altra bestiaccia, non respiriamo, abbiamo troppo caldo, la maschera fpp2 o fpp3 ti “prosciuga”. Ma per fortuna c’è anche il paziente che lo capisce, fin troppo. E se per rimettersi le cannule nasali (ossigenoterapia) deve togliere la sua mascherina, ti caccia fuori dalla stanza in fretta, perché non vuole contagiarti e ti dice “ci penso io, non ti preoccupare”. E io ringrazio voi pazienti, gentili o meno, rompiscatole o meno, grazie.

Senza di voi, non avrei scelto questo lavoro. Un lavoro in cui hai la responsabilità di conservare la vita, tutti i giorni, non solo in questo periodo del coronavirus. Tutti si lamentano dello stipendio, adesso stiamo alzando la voce, adesso ci stiamo facendo sentire. Solo ora?

Forse siamo poco furbi anche noi. C’è chi per 1400 euro al mese ha la responsabilità di mantenere in vita una persona e c’è chi per la stessa cifra è seduto ad una scrivania. Con tutto il rispetto per qualsiasi professione, ma forse qualcosa non quadra.

Ma non quadrerà mai, perché nessuna cifra potrà eguagliare l’emozione di aver raggiunto l’obiettivo con un paziente; che sia il poter tornare autosufficiente al domicilio o restituirgli la vita, dopo averlo rianimato (vi assicuro che la prima volta vi rimane la pelle d’oca, per tutto il turno almeno e il ricordo la fa tornare).

Non ricordateci e ringraziateci solo ora, visto lo stato di emergenza. Ricordatevi sempre, perché come dicevano i nonni “la salute è la prima cosa”.

Vi ripeto ancora un’ultima volta, ringraziate l’Italia e la Sanità Pubblica, salviamole, perché altrimenti avremo per le strade tanti ammalati. I nostri nonni una cosa giusta sicuramente l’hanno sancita “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Comprendiamo, una volta per tutte, queste parole. Questa è l’umile opinione ed esperienza di un’infermiera con soli due anni e mezzo d’esperienza”.

Redazione Nurse Times

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