Coronavirus: il problema delle possibili azioni legali contro gli operatori sanitari.

Riceviamo e pubblichiamo un contributo a cura del collega Nicola Colamaria.

Gentile Direttore, alcuni autori, esperti di problematiche medico-legali, negli ultimi giorni stanno evidenziando la necessità di una maggior tutela dei professionisti sanitari da future azioni legali intraprese dai pazienti colpiti dall’infezione da coronavirus oppure dai loro familiari. Tali richieste possono trovare riscontro in alcune delle considerazioni di seguito riportate. È frequente che in contesti di emergenza sanitaria la compilazione e la corretta conservazione della documentazione sanitaria possa essere deficitaria. La necessità di utilizzare DPI quali tute protettive, occhiali e/o maschere facciali e doppi guanti incide significativamente sulla già ridotta propensione alla compilazione della documentazione che, peraltro, quando cartacea, rischia di divenire una potenziale fonte di contaminazione che segue il paziente durante il percorso clinico. Contesti organizzativi e operativi stravolti, temporanei quando non addirittura campali, contribuiscono a limitare ulteriormente la possibilità di documentare l’assistenza erogata. Si pensi all’assistenza sanitaria in extraospedaliero, generalmente attestata in modo cartaceo, oppure a quella erogata nei pronto soccorso dove anche le modalità di accettazione (triage) sono state modificate in maniera tale da limitare l’utilizzo dei supporti informatici. La tipologia di emergenza sanitaria che si sta affrontando, com’è noto, impone l’isolamento dei pazienti che, quindi, non possono fare affidamento sul sostegno e la vicinanza fisica delle persone care. Queste ultime, dal canto loro, sono costrette a riporre una fiducia incondizionata nei sanitari e nell’organizzazione che hanno in cura il proprio congiunto, non potendo verificare in prima persona la congruità e l’efficacia del processo di cura intrapreso. Il recente dibattito sulle linee guida prodotte da SIIARTI, nei quali i professionisti sanitari denunciano pubblicamente l’esistenza di un criterio meramente anagrafico che limiti l’accesso ai reparti di terapia intensiva e, quindi in alcuni casi la sopravvivenza, potrebbero divenire un facile innesco per eventuali controversie medico legali. Diversi tra i professionisti attualmente coinvolti nell’assistenza diretta dei pazienti sono neo-laureati, provenienti da altre UU.OO. non specializzate, la gran parte, oppure in quiescenza e quindi hanno conoscenze limitate oppure non hanno ricevuto formazione sulle specifiche linee guida/buone pratiche cliniche che potrebbero metterli al riparo da eventuali errori. Si pensi, ad esempio, all’utilizzo di specifiche tecniche e strumenti di ventilazione al di fuori dei naturali setting assistenziali perché ritenuti fondamentali per il supporto ventilatorio di alcuni pazienti. Le scarse conoscenze scientifiche dei professionisti unite all’inesperienza e alla formazione insufficiente potrebbero rivelarsi addirittura dannose per il paziente già in precarie condizioni di salute. Senza entrare nel merito di tecnicismi forensi, che competono agli esperti, è opportuno a questo punto riflettere sulla relazione esistente tra la complessità e l’atipicità del contesto clinico assistenziale descritto e la necessità di documentare la qualità dell’assistenza sanitaria erogata. In caso di eventuale richiesta di risarcimento danni per colpa professionale i professionisti coinvolti hanno l’obbligo di dimostrare di aver operato con perizia, diligenza e prudenza producendo la relativa documentazione clinica (rintracciabilità) che deve essere veritiera, completa, chiara e contestuale. Con l’auspicio di un adeguato e opportuno intervento legislativo teso a equilibrare le legittime garanzie costituzionali in termini di salute con il contesto emergenziale ad elevato rischio di errori, si veda, ad esempio, l’istanza presentata ai ministri della Salute e della Giustizia per conto di AIOP, ARIS, FIASO e FEDERSANITA’ appare sensato il rimarcare alcune semplici indicazioni:
  • documentare in modo chiaro, corretto, puntuale e soprattutto rintracciabile l’assistenza erogata, anche realizzando modulistica provvisoria da allegare alla cartella clinica;
  • descrivere il contesto nel quale l’assistenza è erogata, ad esempio tenda da campo, struttura non sanitaria, domicilio del paziente, ecc.;
  • documentare l’eventuale richiesta di attivazione e/o supervisione da parte di personale esperto;
  • richiedere, anche in modalità differita, e allegare alla cartella clinica, la documentazione attestante le prescrizioni;
  • dare rilievo all’assistenza erogata in condizioni di cosiddetto “stato di necessità”;
  • documentare e segnalare le condizioni che possono pregiudicare l’agire in sicurezza.
Il rispetto di queste semplici accorgimenti potrebbe consentire ai professionisti di operare con il necessario livello di tranquillità, anche in situazioni straordinarie caratterizzate da uno squilibrio tra le necessità assistenziali e la quantità e la qualità delle risorse disponibili. Nicola Colamaria – Infermiere Segui l’evoluzione dell’epidemia in tempo reale  
Redazione Nurse Times

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