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Conoscere e convivere con il diabete: terapia e alimentazione

Il diabete è noto sin dai tempi più remoti, e le descrizioni di questo disordine mettono in evidenza le gravi conseguenze della carenza di insulina

Aratèo di Cappadocia (81-138 d.C.) descrisse questa patologia come lo “sciogliersi della carne nell’urina” accompagnata da “una sete terribile che non può essere spenta”.

L’elevata produzione di urine cariche di glucosio ha dato il nome alla patologia: diabete si riferisce al flusso di liquido attraverso un sifone, mentre mellito deriva dalla parola miele (e quindi dolce). Nel Medioevo il diabete era definito come “il male che fa urinare”. Distinguiamo principalmente due tipi di diabete: di tipo 1 e di tipo 2, che tratteremo qui di seguito.

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Areteo di Cappadocia, medico greco, vissuto nel II secolo d. C.

Diabete mellito di tipo 1

È una malattia cronica causata dalla distruzione da parte di autoanticorpi delle cellule beta del pancreas che producono insulina. Per questo motivo il diabete mellito di tipo 1 rientra nella categoria delle malattie autoimmuni. La distruzione di queste cellule comporta un’insufficiente produzione di insulina, determinando l’incapacità dei tessuti dell’organismo di utilizzare glucosio.

L’aumento della concentrazione di glucosio nel sangue è una condizione riconosciuta con il nome di iperglicemia. Il diabete mellito di tipo 1 esordisce in misura maggiore in età giovanile, ma non sono rare presentazioni in età adulta (per questo motivo fino a poco tempo fa veniva chiamato diabete infantile).

Poiché le persone affette da questa patologia presentano deficit d’insulina, l’unico trattamento possibile sono le iniezioni dell’ormone.

Prima dell’avvento dell’ingegneria genetica, le maggior parte dell’insulina utilizzata farmacologicamente era ottenuta da pancreas bovino, suino ed ovino. Una volta clonato in gene dell’insulina umana, è cominciata la produzione di insulina umana artificiale per uso terapeutico.

Questo diabete ha esordio acuto, ma alcune forme di diabete autoimmune possono avere, invece, una più lenta progressione in età adulta come nel caso del diabete tipo LADA (latent autoimmune diabetes of the adult).

In seguito ad un pasto, l’assorbimento intestinale dei nutrienti procede normalmente (è un processo non insulino-dipendente). La captazione dei nutrienti dal sangue e il metabolismo cellulare a livello di molti tessuti però sono insulino-dipendenti e quindi, in assenza di insulina, le cellule fanno affidamento sul metabolismo tipico della condizione di digiuno.
Ecco perché, a livello del metabolismo dei grassi, il tessuto adiposo degrada i propri depositi e trasferisce al fegato i propri acidi grassi.
Ma la capacità del fegato di degradare gli acidi grassi è limitata, e quindi gli acidi grassi in eccesso vengono convertiti in corpi chetonici, rischiando di portare ad una condizione di chetoacidosi.

L’iperglicemia diabetica aumenta l’osmolarità del sangue, innescando la secrezione di vasopressina (ADH) e la stimolazione della sete (polidipsia) nel tentativo di conservare acqua e far rientrare l’osmolarità nel normale intervallo.

Se l’iperglicemia del diabetico supera la soglia renale per la concentrazione del glucosio, una parte di  questo zucchero filtrato non viene riassorbita e viene quindi escreta nelle urine (per cui avremo la condizione di glicosuria).

Inoltre la maggiore quantità di soluti a livello renale fa si che vi sia un minor riassorbimento di acqua ed una maggiore escrezione. Questo determina aumento del volume urinario (poliuria) che, se non controllato, può determinare disidratazione.

Diabete mellito di tipo 2

Il diabete mellito di tipo 2 è conosciuto anche come diabete insulino-resistente poiché è caratterizzato da un duplice problema: non viene prodotta una quantità sufficiente di insulina per soddisfare le necessità dell’organismo (deficit di secrezione di insulina), e l’insulina prodotta non agisce in maniera soddisfacente (insulino-resistenza).
Anche in questo caso abbiamo come conseguenza l’elevata concentrazione di glucosio nel sangue (iperglicemia). È la forma di diabete più diffusa (interessa il 90% dei casi) ed è tipica dell’età adulta.

Le cause alla base dell’insorgenza della malattia vanno generalmente ricercate in fattori ereditari ed ambientali. All’ereditarietà si affiancano aspetti caratteristici della persona quali l’obesità: le cellule hanno bisogno di zucchero per vivere, tanto maggiore è il numero di cellule da alimentare tanto maggiore sarà il fabbisogno di insulina.

Nelle persone obese, quindi, l’insulina viene prodotta ma non in quantità sufficiente.

Altra causa è da ritrovare in una dieta eccessiva e/o sbilanciata, particolarmente ricca di alimenti ad alto contenuto di glucidi, soprattutto raffinati e ad alto indice glicemico.

I sintomi nel diabete di tipo 2 non sono così severi come nel tipo 1, poiché l’insulina di solito è presente e le cellule presentano comunque un certo livello di metabolismo del glucosio. Le complicanze di questo tipo di diabete sono aterosclerosi, disturbi neurologici, insufficienza renale e cecità da retinopatia diabetica.

Molte persone al momento della diagnosi sono asintomatiche, motivo per cui possono essere restie a cambiare stile di vita e iniziare la terapia, dato che non si sentono ammalate.
Purtroppo quando i sintomi cominciano a comparire, il danno ai tessuti e agli organi è già avanzato

, e a questo punto la terapia può avere il solo scopo di rallentare il procedere della patologia. La prima terapia raccomandata è quella di perdere peso e aumentare l’esercizio fisico: in alcuni pazienti la sola perdita di peso risolve la resistenza all’insulina. L’esercizio fisico riduce l’iperglicemia, perché il muscolo scheletrico in attività non richiede insulina per la captazione del glucosio.

Come si fa diagnosi di diabete?

È necessario misurare la concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia): questo valore, nei soggetti sani, può oscillare tra 60 e 130 mg/dl nell’arco della giornata.
Se a digiuno rileviamo valori tra 110 e 125 mg/dl, parliamo di alterata glicemia a digiuno (IFG), una condizione che dovrebbe invitare il paziente a porre maggior attenzione al suo stile di vita e in particolare alla sua alimentazione.
Un valore maggiore di 126 mg/dl è un probabile sintomo di diabete, così come afferma l’American Diabetes Association.

La diagnosi di diabete è certa con un valore di glicemia di 200 mg/dl, rilevato in qualunque momento della giornata o due ore dopo un carico di glucosio.

Valori di glicemia compresi fra 140 a 200 mg/dl dopo un carico di glucosio definiscono, invece, la ridotta tolleranza al glucosio (IGT). L’alterata glicemia a digiuno e la ridotta tolleranza al glucosio, in conclusione, possono evolvere nel tempo verso un diabete conclamato.

Terapia ed alimentazione

Attualmente non esiste una cura per il diabete mellito di tipo 1 e l’unica terapia possibile è la somministrazione esogena di insulina.
Di fondamentale importanza è il controllo quotidiano della glicemia attraverso i glucometri, che analizzano in breve tempo i valori glicemici su di un piccolo campione di sangue.

Per mezzo di questo controllo, il paziente possiede gli strumenti per conseguire un adeguato compenso metabolico, prevenire o ritardare l’insorgenza delle complicanze acute e croniche.

Elementi imprescindibili sono una dieta sana e bilanciata e la pratica costante di attività fisica, entrambi fondamentali per la gestione di questa malattia.

L’alimentazione per il paziente diabetico si basa sul raggiungimento di obiettivi come il controllo glicemico, il mantenimento del peso corporeo e di uno stato di benessere fisico e psichico.

I carboidrati assunti in un giorno dovrebbero essere compresi in un range tra 130 e 300 gr, ed essere provenienti da alimenti ricchi di fibre come legumi, vegetali, cereali integrali e frutta.

È indispensabile preferire carni magre e bianche alle rosse e cercare di consumare due porzioni di pesce a settimana. Moderare l’assunzione di latticini e formaggi e scegliere  l’olio di oliva o di semi evitando i grassi “saturi” come burro, strutto, panna e pancetta.
Infine ridurre il consumo di alcolici.

La terapia insulinica è talora indispensabile anche nel diabete mellito di tipo 2. A volte solo temporaneamente al momento della diagnosi o in caso di eventi particolari (traumi, operazioni chirurgiche, malattie concomitanti), a volte in via definitiva. Ciò accade in genere quando la malattia dura da molti anni e le cellule che producono l’insulina sono molto ridotte.

In alcuni casi la terapia insulinica è necessaria nel diabete tipo 2 perché i farmaci orali sono controindicati o non tollerati.

Biscosi Francesca

Francesca Biscosi

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Francesca Biscosi

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