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Colesterolo, un killer silenzioso: il 40% degli italiani lo sottovaluta

Lo evidenzia una ricerca di Sanofi e SWG sulla percezione delle malattie cardiovascolari.

Silenzioso, invisibile e sottovalutato. Il colesterolo è oggi tra i principali responsabili delle oltre 18,6 milioni di vittime per patologie cardiovascolari nel mondo, che in Italia rappresentano il 34,8% dei decessi totali. Ma queste malattie sono ancora sottovalutate, con meno di un italiano su due che riesce a distinguere il colesterolo “buono” da quello “cattivo”.

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A scattare l’allarmante fotografia è l’indagine SWG per Sanofi, presentata a Milano in occasione dell’incontro “La prevenzione che sta a cuore. Malattie cardiovascolari e colesterolo nei pazienti ad alto rischio: agire prima, in modo intensivo e efficace, per ridurre la mortalità“. Oltre il 40% degli intervistati sottovaluta i rischi legati ad alti livelli di colesterolo, mentre circa 1 su 3 ritiene che il rischio di mortalità legato all’ipercolesterolemia debba preoccupare solo chi ha problemi cardiaci pregressi. E ancora, meno di 1 su 2 (il 43% del campione) sa che è il colesterolo LDL ad essere dannoso per la nostra salute.

L’obiettivo della ricerca, condotta su un campione di oltre 1.200 soggetti di età compresa tra i 45 e i 74 anni, è stato quello di analizzare la conoscenza delle malattie cardiovascolari e la percezione circa le conseguenze dell’ipercolesterolemia, per offrire spunti di riflessione e stimoli concreti a pochi giorni dalla Giornata Mondiale del Cuore prevista per il 29 settembre.

“Siamo nel 2022, ma la conoscenza delle malattie cardiovascolari in Italia non è brillante, anzi”, commenta Emanuela Folco, presidente della Fondazione italiana per il cuore (FIPC). “Nel nostro Paese, oltre 1 decesso su 3 è imputabile alle patologie cardiovascolari. Sono la prima causa di morte sia per gli uomini, con 98mila decessi l’anno (31,7% del totale), che per le donne, con 127mila decessi l’anno (37,7% del totale)”.

ContinuaFolco: “I numeri sulla mortalità delle donne rappresentano un dato molto importante, perché la donna spesso non è consapevole di essere a rischio di malattie cardiovascolari perchè, per una definizione che ci portiamo dietro da anni, queste malattie sono malattie maschili. Ma questo non è vero. Le donne muoiono con una differenza di circa 10 anni rispetto agli uomini, ma muoiono per malattie cardiovascolari e non per tumore al seno. Questo ce lo dicono i numeri dell’Iss”.

Ma la difficoltà nel combattere le malattie cardiovascolari, prosegue ancora Folco, sta anche nella loro “particolarità” di essere “malattie silenti”, ovvero che “si sviluppano e noi non ce ne accorgiamo, a meno che non si facciano gli esami periodici: non ci fanno paura, ma questo è drammatico perché i numeri sono drammatici”.

La chiave per combattere queste patologie “silenziose” è quindi la prevenzione. Ma se il 92% degli intervistati si dice convinto che i problemi cardiocircolatori possano essere evitati, a questa convinzione non corrispondono azioni concrete. Solo per il 17% del campione, infatti, è opportuno eseguire periodicamente visite di controllo, mentre solamente il 31% si è sottoposto ad una valutazione del rischio cardiovascolare negli ultimi 12 mesi. A non poter però sottrarsi a controlli regolari sono, più degli altri, i pazienti ad alto rischio cardiovascolare che rappresentano, in base alle linee guida internazionali, la vera e urgente priorità nell’ambito degli interventi preventivi.

“Il tema della prevenzione è di grande importanza per tutti noi, ma diventa cruciale quando si parla di paziente ad alto rischio cardiovascolare – commenta Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia -. Chi è stato colpito da un evento cardiovascolare, infatti, corre un rischio elevato di andare incontro ad un nuovo infarto o Ictus negli anni successivi. Eventi che potrebbero essere sensibilmente ridotti se venissero sempre più implementate le strategie di prevenzione secondaria”.

Indolfi spiega quindi: “Proprio nella direzione di un trattamento precoce e rapido va l’abbassamento delle soglie di colesterolo LDL per l’accesso ai nuovi farmaci anti-colesterolo PCSK9, recentemente pubblicate in Gazzetta Ufficiale da AIFA. Evidenze scientifiche dimostrano come il colesterolo LDL sia causa delle patologie cardiovascolari, non un fattore di rischio, e come la sua riduzione rappresenti uno degli obiettivi principali per limitare eventi cardiovascolari quali l’infarto miocardico e contrastare la mortalità”.

Il presidente della Società italiana di cardiologia aggiunge: “Le linee guida della Società europea di cardiologia suggeriscono in prevenzione secondaria livelli di colesterolo LDL inferiori a 55 mg/dl e, in alcuni pazienti particolarmente a rischio, livelli di LDL-C ancora più bassi e inferiori a 40 mg/dl. Questi obiettivi così ambiziosi possono essere oggi raggiunti grazie a nuovi farmaci come gli anticorpi monoclonali, che sono inibitori della proteina PCSK9, capaci di ridurre del 60% il livello di colesterolo cosiddetto cattivo, dimostrando un chiaro beneficio clinico nei pazienti con elevato rischio cardiovascolare”.

Il paziente ad alto rischio cardiovascolare ha subìto uno o più eventi cardiovascolari ed è un paziente cronico, che come tale va trattato. Sebbene sia spesso in terapia con farmaci orali come le statine e ezetimibe, continua a registrare alti livelli di colesterolo LDL. Per questo la sua gestione rappresenta oggi una delle principali complessità per i Sistemi sanitari nazionali.

“La cosa più importante è trattare dal punto di vista terapeutico e farmacologico il profilo lipidico – spiega Giuseppe Di Tano, presidente Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (ANMCO) Lombardia -. La misura dell’adeguatezza del trattamento ce le danno le LDL, un parametro silente dal punto di vista sintomatico ma facilmente riproducibile e oggettivo, che permette al medico di famiglia o al cardiologo di essere molto incisivi”.

“Se le statine, che sono i farmaci più correntemente utilizzati, non riescono a garantire un livello di Ldl adeguato, bisogna aggiungere un altro farmaco – aggiunge ancora Di Tano -. La ricerca sta aiutando perché rispetto alla cura dell’ipercolesterolemia adesso abbiamo farmaci molto aggressivi e molto efficaci, perché agiscono su dei parametri molto fini e quindi permettono di raggiungere dei livelli più bassi di Ldl, a fronte di effetti collaterali più bassi”.

Ma se la ricerca va avanti, sulla percezione dell‘ipercolesterolemia che c’è ancora tanto da fare. Secondo la ricerca, infatti, il 20% degli italiani non conosce neppure i rischi derivanti da alti livelli di colesterolo, mentre per il 42% il controllo del livello del colesterolo dipende solamente dalla dieta alimentare e dall’attività fisica, trascurando quindi l’efficacia terapeutica. Ma questa condizione cronica ha un impatto anche sulla vita del paziente: sale fino all’80%, infatti, la percentuale di persone con colesterolo alto che dichiara di aver cambiato le proprie abitudini, con maggior riguardo alla vita familiare (24%) e perfino lavorativa (11%).

“In Sanofi siamo quotidianamente impegnati nello studio di soluzioni terapeutiche innovative e programmi per il miglioramento della qualità di vita e della sopravvivenza dei pazienti con malattie cardiovascolari – dichiara Andrea Rizzi, Medical Head General Medicines di Sanofi Italia -. È un impegno concreto che si esplicita anche in un contributo in termini di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, pazienti e caregiver, su come vada alzato il livello di attenzione relativo all’impatto che questo tipo di malattie hanno sulla nostra società e sul sistema sanitario nazionale”.

Redazione Nurse Times

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