Durante un processo patologico acuto che interessa la funzione respiratoria, è di vitale importanza che organi e tessuti siano adeguatamente ossigenati. Per questo motivo, in situazioni d’emergenza, decade la necessità di prescrizione per l’O2[1], che deve essere erogato il più precocemente possibile ad alte concentrazioni[2] (tramite Ventimask, Maschera con reservoir, ambu, ambu con reservoir, va e vieni), col fine di prevenire complicazioni come aritmie cardiache, danni tissutali, lesioni agli organi vitali e morte.
L’obiettivo della somministrazione di O2 nel trattamento dell’ipossiemia acuta è quello di mantenere la SpO2 > 90%, in quanto sotto a tale valore, per piccole variazioni vi sono grandi abbassamenti della PO2 sanguigna[3]. Nello specifico: l’ossigenoterapia dovrebbe garantire una saturazione di 94-98% nei pazienti di età < 70 anni, di 92-98% in quelli di 70 o più e di 88-92% per i pazienti affetti da BPCO[4]. Ma perché nei pazienti con Broncopneumopatia è prevista questa significativa variazione?
I termini più popolari “bronchite cronica” ed “enfisema”, infatti, non vengono più utilizzati e sono ora inclusi nella diagnosi di BPCO. Questa rappresenta la più frequente e più studiata causa di Insufficienza Respiratoria Cronica: si stima che in Italia circa il 10% della popolazione ne sia affetta[5].
La BPCO prevede una progressiva diminuzione, poco reversibile, del flusso d’aria in bronchi e bronchioli, un’anormale risposta infiammatoria dei polmoni e l’aumento della loro compliance per la distruzione delle fibre che ne garantiscono il ritorno elastico dopo l’espansione toracica. Clinicamente si manifesta con una dispnea ingravescente, tosse, catarro cronico, frequenti bronchiti in inverno, FEV1 e FEV1/CVF diminuiti[6]. È altresì soggetta a peggioramenti, riacutizzazioni, complicazioni infettive e rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità nella popolazione adulta. Si stima infatti che dopo 10 anni dalla diagnosi di malattia, la sopravvivenza si riduca a circa il 50% dei pazienti; questo soprattutto a causa dell’Insufficienza Respiratoria ipossiemico-ipercapnica progressiva tipica della patologia, responsabile di quasi un terzo delle morti per BPCO[7].
Le persone affette da BPCO sono soggette ad un ingravescente incremento del lavoro respiratorio che, col proseguire della malattia, cresce in maniera proporzionale alla riduzione del calibro delle vie aeree ed alla distruzione delle fibre elastiche polmonari. Eventi che danno luogo a un aumento del tempo di svuotamento polmonare e al fenomeno di air trapping[8] (intrappolamento d’aria nelle vie aeree distali).
In una ventilazione difficoltosa e insufficiente, che causa una cronica ritenzione di CO2 nel sangue. Ed è qui che casca l’asino: ciò, infatti, fa sì che il loro centro respiratorio divenga progressivamente insensibile al normale stimolo per la ventilazione, costituito dall’aumento della PCO2, facendo dell’ipossiemia il principale stimolo. Correggendo quindi l’ipossiemia con erogazione di O2 a flussi troppo elevati, si corre il rischio di una ulteriore diminuzione della ventilazione polmonare, con conseguente inevitabile crescita dell’ipercapnia e peggioramento del quadro clinico del paziente.
Alessio Biondino
Fonti:
[1] British Thoracic Society, Guidelines for Emergency Oxygen use in Adult Patients
[2] Murphy R. et al., Emergency oxygen therapy for the breathless patient
[3] Catenacci P., Ossigenoterapia
[4] Kelly C. et al., Best Practice: Emergency Oxygen for respiratory patients
[5] Corrado A., Rassegna – Gestione dell’insufficienza respiratoria cronica
[6] Barnes T.A. et al., Spirometry use: detection of chronic obstructive pulmonary disease in the primary care setting; Fromer L., Diagnosing and treating COPD: understanding the challenges and finding solutions
[7] Corrado A., Rassegna – Gestione dell’insufficienza respiratoria cronica
[8] Torri G. et al., Ventilazione artificiale meccanica, p. 123
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