Bergamo, dpi tra i temi di un’inchiesta della Procura: chi doveva fornirli?

L’Inail al ministro della Salute: “Spetta al datore di lavoro”. Il governatore lombardo Fontana: “Spetta ai medici di medicina generale: sono lavoratori autonomi”.

L’approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (mascherine chirurgiche, guanti in lattice, camici e altro) è uno dei temi dell’inchiesta sulla pandemia aperta dalla Procura di Bergamo. Tra le carte acquisite dai pm c’è anche un carteggio tra funzionari del ministero della Salute e Inail nel primissimo periodo, quando mascherine e altri dpi risultavano introvabili. Una carenza che aveva costretto molti medici di medicina generale a tutelarsi, evitando visite a domicilio a pazienti con sospetti sintomi di coronavirus.

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In particolare, in una mail dal ministero si chiede a Inail chi, contrattualmente, era deputato a fornire i Dispositivi ai dipendenti. Dal ministero rispondono che è sempre il datore di lavoro che deve provvedere. Con queste carte in mano, i pm avevano chiesto al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, durante le due ore e mezzo di audizione andate in scena il 29 maggio in Procura a Bergamo, perché non si era provveduto. Il governatore, sentito come persona informata sui fatti, aveva risposto che i medici di medicina generale sono lavoratori autonomi e che dunque spettava a loro stessi dotarsi dei dpi.

“Non è questo il punto – dichiara Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici bergamaschi, all’Eco di Bergamo –. Può essere vero dal punto di vista contrattualistico, ma il problema è che non c’erano canali di approvvigionamento e i medici cercavano appunto di capire dove acquistare questi dispositivi. La questione non è che si rifiutavano di comprarli, perché avrebbe dovuto pagarli l’azienda sanitaria. Ma vi pare che un medico avrebbe rischiato di essere contagiato e di morire per non spendere una manciata di euro”

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E ancora: “La questione è che anche ai medici di medicina generale bisognava garantire un canale di approvvigionamento privilegiato, così come è successo per il personale degli ospedali, per i dipendenti comunali, per le forze dell’ordine. Si pensi che le prime mascherine venivano messe a disposizione da qualche assistito, di solito artigiani che fornivano quelle che utilizzavano al lavoro per le verniciature. Così è capitato che uscire per le visite senza mascherine e camici comportava il rischio di essere contagiati o di contagiare: su 650 medici di base bergamaschi 150 si sono ammalati e sei sono morti. E a un certo punto è stata la stessa Ats a dire stop alle visite a domicilio”.

Redazione Nurse Times

Fonte: L’Eco di Bergamo

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