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Asst Sette Laghi, va quasi deserto il concorso per infermieri

A fronte di 150 posti disponibili si sono presentati solo 35 candidati, di cui 20 già dipendenti con contatto a tempo determinato. Il presidente di Opi Varese, Aurelio Filippini, spiega a Varese News perché la professione manca di appeal tra i giovani.

Poco meno di 150 posti da coprire, 64 le domande di partecipazione al bando, 35 i candidati presenti, di cui 20 già dipendenti con contatto a tempo determinato. Sono i numeri dell’ultimo concorso indetto dall’Asst Sette Laghi per assumere infermieri. Un risultato che stupisce e preoccupa. Solo deici anni fa, per un’offerta del genere, si sarebbero presentati fino a 2mila candidati. Se i candidati saranno ritenuti idonei, la graduatoria servirà a coprire solo una parte residuale della richiesta di personale.

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È chiaro che oggi la professione risulta poco attrattiva per i giovani, anche perché richiede una buona dose di flessibilità. Stando a fonti sindacali, le ore di straordinario accumulate nel comparto (le figure sanitarie non mediche) ammonterebbero a 11mila giorni, l’equivalente di 31 anni. La pandemia e poi il recupero delle liste d’attesa con il 110% dell’attività – che la Sette Laghi ha superato, registrando un’attività del 117% rispetto al 2019 – ha contribuito ad aumentare la pressione sui dipendenti.

Ma la mancanza di figure professionali non riguarda solo la Sette Laghi. E’ un problema generale, come spiega il dottor Aurelio Filippini, presidente di Opi Varese: “Che ci sia un problema è ormai evidente da tempo. La sanità è maltrattata da anni. Ed è su questa condizione che si deve aprire una riflessione seria per spiegare la flessione delle vocazioni. Oggi fare l’infermiere non è attrattivo: o hai una profonda vocazione o diventa difficile, da giovane, scegliere un lavoro che ti obbliga a fare turni, a lavorare nei weekend e durante le feste. Una professione che non apre ad avanzamenti congrui di carriera. Io amo profondamente il mio lavoro, ma mi rendo conto che i giovani possano non essere attratti”.

Quali le soluzioni?
“Innanzitutto si deve arrivare a sdoganare le lauree magistrali cliniche, a cui abbinare però carriere professionali definite con una remunerazione che valorizzi impegno e capacità. Se un infermiere si specializza in pronto soccorso, in geriatria e come infermiere del territorio, quel valore aggiunto va riconosciuto sia professionalmente sia economicamente. Pensate che oggi chi vuole seguire corsi di specializzazione per diventare infermiere di famiglia deve sostenere i costi di corsi e master. Nessun rimborso è previsto. Ma il problema dell’equità dei commenti riguarda anche la base: oggi abbiamo stipendi tra i più bassi d’Europa. Per riportarci a un livello medio occorrerebbero almeno 600 euro in più al mese. Il contratto ha fatto oggi un piccolo passo avanti, riconoscendo le figure di infermiere esperto e specialista”.

La richiesta che Regione sostenga di più la professione l’avete fatta in campagna elettorale. Quali sono state le risposte?
“Tutti hanno sottoscritto il nostro documento. Ora passeremo all’incasso. Ci sono molte questioni sul tavolo. Anche quella della fascia di confine è delicata: noi ci aspettiamo che si cominci a parlare seriamente di un welfare di confine per trattenere chi può scegliere offerte più vantaggiose, ma anche per far rientrare chi ha scelto di andarsene. Ci attendiamo che la Regione dimostri con i fatti quanto crede nella nostra professione e nel ruolo che ricopriamo”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Varese News

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